Se il fuoco brucia un Sud che non c’è

 FRANCESCO GRECO - Smith & Wesson poggiate su tavoli di plastica negli scantinati di sale da gioco clandestine, “Beretta pendula a tracolla come una bisaccia”, i criminali di piccolo taglio che si ossequiano con il più classico “baciamo le mani”: mera archeologia (in Salento non s’è mai udito a memoria d’uomo).

Benvenuti nell’improbabile Terronia (alias Torre Languorina) vista da Omar Di Monopoli in “Brucia l’aria”, Feltrinelli editore, Milano 2021, pp. 208, € 17,00, collana “I Narratori”.

Una continua citazione da Saviano un pò più a Sud di Gomorra. Stereotipi di un romanzo di genere, molto condizionato dalle serie tv (N.C.I.S. soprattutto), anche nel substrato socio-culturale. Che dà per scontato l’esistenza del noir salentino: una forzatura, è un’invenzione dei suoi narratori.

Uscito di galera con l’ingombrante presenza-assenza di un padre pompiere che vent’anni prima chiedeva il pizzo per spegnere gli incendi, Rocco Caraglia è deciso a rifarsi una vita pulita e si dà al commercio dell’acqua.

Rapita da una dialettica rarefatta sul nulla e sul tfm, la politica-spazzatura è incapace persino di portarla dove l’estate arrivano migliaia di turisti.

Mentre era al “transito”, Nunzia, la donna che amava, ha messo su famiglia con una guardia giurata, ma curiosamente è la badante della vecchia madre assisa su mucchi di cuscini sudati mentre il paese pullula di rumene che lo fanno per “due lire”.

Il fratello minore Gaetano, invece, nonostante tutto, vive nel mito dei soldi facili, perché solo così pensa che otterrà la stima e la rispettabilità del paese che, altro luogo comune e altra forzatura, si gira dall’altra parte.

Dal letto della vecchiaia infida, nella masseria quasi diroccata (una delle poche sfuggite ai neo-ricchi che le comprano e vi si barricano dentro), la matriarca fa di tutto per tenere la baracca su una dimensione di normalità, fosse anche apparente, ripensando con mestizia a “quando la gente scambiava la loro per una famiglia felice”.

Sullo sfondo, l’operazione-Montenegro che ha scompigliato un mondo arcaico dove si vive di contrabbando, pizzo e altre amenità, con i delinquenti che vogliono ricomporre il puzzle usando una spietatezza trucida da Er Monnezza (Tomas Milian).

E’ una mala sgarrupata, da macchietta, che non usa più manco in Calabria, Sicilia, Campania, dove pure ha un retroterra etico, storico e sociologico, con le rispettive delocalizzazioni. Per cui quei malavitosi brindisini reggono come improbabili citazioni: se andassero a chiedere il pizzo, più che paura provocherebbero ilarità e al massimo della potenza criminale, sarebbero capaci solo di dar fuoco a un’auto.

Il mondo è andato avanti, c’è il deep-web, le istituzioni “controllate” e infiltrate, ora si teme i denari del Pnrr. Anche il noir (o il gothic) hanno mutato i loro codici virando nel surreale: dice nulla la bellissima serie dei “Topi” di Antonio Albanese?

Anche il lavoro sulla lingua appare un po’ datato, oltre che lezioso: riecheggia Camilleri, che già avevo preso da Gadda (“Quer pasticciaccio…”) e D’Arrigo (“Horcynus Orca”). E non essendo il salentino/brindisino un dialetto con dignità di lingua (come il napoletano o il romanesco: non ha mai avuto un Eduardo, né un G. G. Belli o un Trilussa), appare uno slang forzato e un po’ criptico.

L’architettura sociale imbastita da Di Monopoli non regge, né le dinamiche socio-culturali: manca il background antropologico. L’omertà, per dirla tutta, non è il collante che cementa la più sfaccettata società salentina: forse accade in altri topos del Sud, non certo nel Salento terra di gente solare e trasparente, dove c’è certo l’hybris (in senso buono), ma dove ancora prevale la philìa.

L’idea della redenzione di Rocco e suo fratello ricalca uno stereotipo cattolico deamicisiano, mentre la crudeltà di un microcosmo criminale di provincia, di uomini che si atteggiano a padrini sol perché sono stati in galera, richiama alla mente le atmosfere costruite da Saviano con le “paranze”. Archetipi un pò sciatti e moralisti.

Per cui il fuoco inarrestabile diviene quasi un atout metafisico: brucia un mondo che come la famosa isola non c’è, sommatoria di miraggi letterari ben costruiti, sicuro, ma che fuori dalla pagina si nebulizzano nella loro banalità.