Antonio e Onofrio Petruzzelli: una storia 'teatrale' barese


LIVALCA
- Nei primi lustri del 1800 veniva spesso a Bari un triestino, Onofrio Petruzzelli, membro di una famiglia che possedeva molti velieri e lui stesso era capitano di lungo corso. Sposatosi a Bari ebbe due figli: Antonio e Beniamino, il primo continuò la tradizione di famiglia a Trieste, dove morì senza essersi mai sposato (Come precisa l’Archivio Giovine il cognome Petruzzelli è meramente barese, come lo sono gli ascendenti fino al 1712, ossia dimoranti in Trieste ma di origini baresi).

Beniamino invece diventò un armatore di successo, proprietario di molti velieri, e incrementò la sua flotta sposando Teresa Volpe, figlia di un altro armatore barese che gli portò una dote definita all’epoca ‘invidiabile’. Da questo matrimonio nacquero sette figli di cui solo tre sopravvissuti e sono quelli interessati alla ‘storia’ del Teatro che porta il nome della famiglia: Onofrio (8 gennaio 1850), Antonio (19 dicembre 1851) entrambi mai sposatisi e Maria (1854) che invece convolerà a nozze con l’ingegnere bitontino Angelo Cicciomessere, che era nato a Bitonto nel 1850 e si era laureato a Napoli dove iniziò l’attività professionale prima di vincere nel 1882 un concorso come ingegnere presso il Comune di Bari. Quattro anni dopo viene nominato direttore dell’Ufficio Tecnico ed Urbanistico dello stesso comune e tale carica deterrà fino al 1897 (Attenzione i lavori del Petruzzelli partiranno l’anno successivo… quindi nessun conflitto di probabile interesse).

Onofrio, come prassi dei tempi, iniziò subito a seguire il fiorente commercio che i suoi genitori avevano avviato nell’ambito dei tessuti; il padre si riforniva a Trieste di coperte, stoffe e corredi che il figlio, coadiuvato da abili rappresentanti, distribuiva anche in zone impervie, mentre la madre accresceva la clientela nel negozio di Bari.

Onofrio rivelò subito spiccate doti imprenditoriali tanto da riuscire a divenire esclusivo distributore di una nota marca di tessuti inglese e non riuscendo da solo a tenere testa al lavoro decise di far rientrare in sede il fratello. Antonio, che in effetti era stato inviato a Trieste per studiare, aveva conseguito il diploma di capitano di lungo corso e continuava il suo apprendistato sui velieri di famiglia. Onofrio illustrò al fratello le potenzialità del settore navale abbinato alla vendita di prodotti legati alla tessitura. I fratelli divennero soci in una società che in pochi anni si espanse fino a vendere la merce anche in Campania, Lucania e Calabria. I proventi di questo fiorente commercio furono investiti in terreni ed abitazioni e Onofrio iniziò a frequentare il Palazzo del comune (oggi si direbbe la società del potere) in maniera così appassionata da essere eletto consigliere comunale.


Facciamo un passo indietro: nel 1854 venne inaugurato a Bari il primo effettivo Teatro barese intitolato a Niccolò Piccinni ( le cronache dell’epoca precisano che ‘il popolo’ voleva dedicarlo alla Regina Maria Teresa d’Asburgo e, al suo cortese ma fermo rifiuto, si pensò al grande musicista figlio del borgo antico…la notizia ci appare così inusuale da apparire ‘verosimile’) ma da subito fu ritenuto opera troppo da élite con una programmazione di spettacoli molto severa - lirica, prosa, concerti - e poco propensa a mettere in cartellone operette o drammi giocosi. Questa la spiegazione di facciata, ma è sempre il credo economico a dettare legge: organizzare una stagione di successo richiede che vi siano delle entrate, le quali sono assicurate da spettacoli di massa che segue il pubblico pagante a prezzi accessibili; agli spettacoli ‘seri’ si presentava solo un pubblico facoltoso, ma poco propenso a pagare perché abituato ai biglietti in omaggio. La maggioranza delle persone accorreva dove vi erano teatrini improvvisati, tendoni, baracche: spettacoli in cui era assicurato il divertimento a prezzi ‘stracciati’ (una leggenda di quelle che non si possono smentire affermava che il pubblico ‘serio’ in incognito la sera si mescolava alla massa per condividere le risate).

Egidio Pani nel suo volume del 2007 «La maschera caduta. Il teatro Petruzzelli di Bari», Levante, ricorda che nel 1889 proprio per assecondare le richieste del pubblico e le esigenze del bilancio di cassa si programmò uno spettacolo di una “Compagnia di Operette”: immediatamente vi furono le dimissioni della Deputazione teatrale. Era evidente che andava ideata e costruita un’altra grande opera che potesse assolvere questo compito e alcuni lodevoli tentativi vi erano stati al riguardo. Nel 1877 vi fu addirittura in consiglio comunale una richiesta da parte del consigliere Sagarriga di poter costruire un’arena atta a produrre ogni forma di rappresentazione. Fu nominata una commissione che diede il parere favorevole e, quindi, nello stesso anno venne approvata una delibera che stabiliva di gratificare con un premio di L. 12.000 l’impresa che si impegnava a costruire, secondo un progetto che necessitava dell’approvazione del Comune di Bari, un’arena su un suolo che il comune offriva gratuitamente. Unica clausola a favore del comune: avere un palco riservato di diritto e alcuni posti il tutto in maniera gratuita. Il lavoro doveva essere eseguito entro un anno dall’approvazione dello studio secondo un ottimismo lodevole ma poco pratico anche per quei tempi. Vi fu una sola mosca bianca (un comitato presieduto dall’avvocato Favia) che presentò un progetto, che il comune di Bari non ritenne di prendere in considerazione. Il consiglio comunale convintosi dell’esigenza di tale struttura qualche anno dopo aggiunse, al premio economico, la concessione di un suolo che avrebbe indicato la Giunta comunale. Vi furono due istanze presentate dalle imprese Arnone e Barone, quest’ultima allegava un progetto a firma dell’ingegnere Canedi, ma vi fu una rapida presa di posizione del Prefetto che fece notare che la somma di 12.000 non era inserita in bilancio e che la cifra destinata alle spese fuori-bilancio aveva già superato il limite dal momento che si era a dicembre 1881.

Nel nuovo anno il consiglio decise di abolire il contributo economico e con apposita delibera precisò che si donerà gratuitamente il suolo ad un eventuale soggetto. La giunta comunale riesamina la proposta Barone, la quale viene approvata con una concessione di suolo mq 3224, ma trascorre un anno invano e, su richiesta dell’impresa, il comune concede un altro anno per iniziare i lavori che dovevano essere completati nei due anni successivi. Barone non aveva ‘santi in Paradiso’ a sentire le voci dell’epoca e, dopo quasi quattro anni in cui richiese alcune varianti progettuali, si ritirò lasciando, come ‘dono’ alla città il progetto redatto dall’ingegnere Gaetano Canedi. L’intero consiglio comunale era cosciente che si trattava di una realizzazione necessaria alla città per tanti motivi, ma per due non imprescindibili: l’esigenza di un’opera ritenuta volano per l’attività economica dell’intera città e il bisogno immediato di creare lavoro duraturo e ben retribuito ad una fascia di gente che non aveva alternative. Furono proprio questi due motivi lo stimolo che spinse il Consiglio comunale nel 1892 a mettere in atto un capitolato che potesse essere allettante per le imprese costruttrici: il Comune confermava i 3224 mq di suolo gratuito in zona centrale, concedeva un incentivo di 40.000 lire, regalava il progetto dell’ingegnere Canedi e si impegnava a non gravare la nuova costruzione di tasse comunali.

Il noto imprenditore del legno Giacomo Sbisà (proprietario di un Politeama in struttura precaria molto frequentato) avanzò una richiesta che scelta in un primo momento, fu poi definitivamente abbandonata (da persone ‘responsabili’ si trovò un tacito accordo sulla ‘parola’ per cui tutta la fornitura del legname per costruire il nuovo teatro sarebbe stata acquistata dalla sua azienda). In verità vi furono due proposte: Sbisà e Petruzzelli Antonio. Dopo svariate precisazioni fu una commissione tecnica su relazione dell’ingegnere Chiaia a far trionfare il progetto Petruzzelli. Siamo nel 1885 e bisognerà aspettare ancora fino al 20 giugno del 1898 per vedere finalmente partire il cantiere operativo. In questi tre anni vi erano state molte variazioni e concessioni. All’origine Antonio Petruzzelli presentò il progetto firmato dall’architetto Canedi, ma successivamente, in accordo con il consiglio comunale, fu approvato quello realizzato dall’ing. Cicciomessere; il comune inoltre si impegnava a far demolire il Politeama Sbisà, quello di proprietà dell’imprenditore del legno, che, come già esposto prima, fu indennizzato con la fornitura del materiale di cui era leader non solo in Puglia (ancor oggi tutte le parti in legno del teatro vengono ammirate perché derivanti da alberi di querce della Slavonia, storica regione della Croazia).

Il 28 dicembre 1894, data in cui venne approvato il progetto per la costruzione del Teatro Petruzzelli, a firmare gli atti ufficiali con il Comune di Bari fu soltanto Antonio, dal momento che Onofrio come consigliere comunale in carica non poteva. Il fatto viene attestato dal prezioso volume di Vito Antonio Melchiorre «Il Comune di Bari. Cronologia delle Amministrazioni e dell’attività dal 1806 al 1989», Levante Bari 1989, che ci conferma che quella consiliatura durò dall’11 maggio 1893 al 25 maggio 1898. Onofrio Petruzzelli restò in carica dall’inizio fino al 19 luglio 1895. L’11 maggio 1893 fu eletto sindaco Giuseppe Bottalico, il quale il 1 agosto dell’anno successivo si dimise. Nello stesso giorno il Consiglio elesse Vito Nicola Di Tullio che dovette rinunziare in quanto era anche deputato provinciale. Il 20 ottobre 1894 ci fu l’elezione di Giuseppe Re David che arrivò fino al termine naturale del mandato.

Prima abbiamo ricordato che l’ingegnere Cicciomessere nel 1886 era diventato Direttore dell’Ufficio Tecnico e Urbanistica del Comune, ebbene il 10 luglio 1887 sposa l’unica sorella dei fratelli Petruzzelli (Alfredo Giovine nel suo interessantissimo volume «Bari d’altri tempi», edizioni Fratelli Laterza, racconta come il matrimonio fu ‘combinato’ in un incontro nelle stanze del Palazzo di città fra i due fratelli e il futuro cognato, come spesso avveniva nelle famiglie ‘bene’…non sempre per (il) bene degli sposi, ma spesso le cose ‘filavano’ oltre ogni più rosea previsione). Ora devo spezzare una lancia in favore di questo ingegnere, perché sono convinto che è stato indispensabile per la costruzione del Petruzzelli. Professionista preparato e di grande talento aveva realizzato un Piano organico per risanare il Borgo antico di Bari così valido che nel 1891 fu premiato ad una esposizione di Architettura a Torino. Anche l’ingegnere Cicciomessere ebbe qualche problema per inchieste che possono sempre colpire chi opera, ma il tutto fu chiarito e archiviato. Fu anche un valido imprenditore protagonista della crescita economica della città, spesso in società con i Petruzzelli, altre volte in solitario. Altra tappa importante fu quella che lo vide nel 1900, con un Decreto reale cambiare il cognome in Messeni.

Dell’inaugurazione del Petruzzelli il 14 febbraio 1903 ormai tutti sanno: andò in scena «Gli Ugonotti» di Meyerbeer, ma la vera inaugurazione, importante per i risvolti legali dell’avvenimento, avverrà 25 anni dopo, nello stesso giorno e mese, con la messa in scena della «Turandot» di Puccini. Erano presenti Antonio e Onofrio Petruzzelli con l’ingegnere Angelo Messeni e per tramandare nel tempo la serata vi fu una sontuosa targa in oro che declama: «La Cittadinanza memore e grata - alla benemerita Triade - offre acclamando a solenne ricordo. XIV febbraio MCMXXVIII».


Nello stesso anno, 1928, muore Onofrio Petruzzelli, senza eredi diretti come il fratello Antonio, e l’apertura del testamento fu una sorpresa e una fonte poi di nuove diatribe ereditarie. Onofrio aveva nominato erede universale il nipote Emanuele dimenticando gli altri figli di Angelo Messeni e Maria Petruzzelli: Beniamino, Serafina, Onofrio, Teresa e Antonio. Questi nipoti non accettarono la selezione decisa dallo zio ed iniziarono una vertenza legale contro il fratello, ma dopo vari tentativi di mediazione persero la causa. Non contenti di essere stati sconfitti chiamarono ancora in causa il fratello Emanuele sostenendo che lo zio Onofrio non era nel pieno possesso di tutti i suoi beni avendo costituito nel tempo una società di fatto con il fratello. Antonio Petruzzelli decise di schierarsi con gli altri nipoti e li adottò in modo da far aggiungere Petruzzelli al cognome Messeni, forse temendo ulteriori rivendicazioni del nipote sul Teatro. Nel 1937, pochi mesi dopo che i nipoti firmarono una transazione a Firenze, muore Antonio Petruzzelli. Nell’accordo di Firenze il teatro fu assegnato ad Emanuele nella sua integrità, mentre i fratelli ebbero le altre proprietà immobiliari. L’accordo riveste grande importanza perché il Teatro diventava interamente di proprietà degli eredi di Emanuele, ai cugini veniva riconosciuto solo un diritto di palco.

Emanuele Messeni, grazie a ricerche araldiche, nel 1948 diventa Principe di Nemagna, per cui da questo momento sentiremo parlare di Messeni Nemagna.

Emanuele Messeni Nemagna muore in un incidente stradale nel 1951, lasciando come eredi i figli: Antonio, Vittoria, Maria e Teresa Il 27 giugno 1961 in un altro incidente stradale muore Antonio. Da questo momento la storia di Antonio e Onofrio Petruzzelli passa nelle mani delle sorelle del defunto Antonio e delle sue figlie: Mariarosalba, Chiara e Stefania.

Noi ci fermiamo perché riteniamo che Antonio e Onofrio Petruzzelli, coloro che hanno ideato, cullato e realizzato il Teatro Petruzzelli, a questo punto avrebbero calato il ‘sipario’. In teatro è possibile far scendere il sipario a comando, nella vita puoi solo andare fuori ‘scena’. Il libro del Teatro Petruzzelli è diventato una ‘soap opera’ senza un…attimo di respiro, senza fine.

Sono cresciuto in mezzo ai libri e, rispettandoli molto, ho sempre terminato la loro lettura. Mi piacerebbe portare a termine anche quella dal titolo ‘Il Petruzzelli’, con la speranza che Antonio, Onofrio e Angelo possano ritenerla ‘accettabile’.