LIVALCA - E’ stata mia moglie Angela ad inserire Vito Maurogiovanni nella non nutrita schiera di scrittori cui si addice il motto ‘un loro libro letto è sempre un libro ancora da rileggere’.
Da cronista - sua la definizione di cronista convertito al giornalismo - di razza Vito metteva sempre la memoria, la sua memoria di acuto osservatore, al servizio del cuore, quel cuore che aveva un unico ‘motore di ricerca’: l’amatissimo caffè paterno in via De Rossi al numero civico 119, quello con l’insegna solenne e bonaria allo stesso tempo “Antico Caffè”.
Il 27 dicembre del 1924 è il “Dies Natalis” di Vito Maurogiovanni , esattamente 18 giorni dopo veniva inaugurato quel faro di civiltà che ha rappresentato per il Sud l’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI, oggi dedicata ad Aldo Moro.
Nel 2002 è stato Mario Cavalli a volere fortissimamente la pubblicazione di “Cantata per una città”: il volume fu pubblicato ad un anno esatto da quella fatidica data, 11 settembre, che ha visto il nuovo millennio partire con l’attentato alle Torri Gemelle di New York.
Di questo libro conosco ogni virgola avendo con Vito concordato - attenzione il Nostro era senz’ altro di generosità accertata, ma non facile, per cui con il permesso della moglie e delle figlie, mi permetto di attribuirgli uno ‘spericolato’ colmo di un affetto che entrambi sappiamo essersi consolidato proprio sulle ‘omissioni’ che l’ho convinto a praticare nei suoi appunti cartacei e ‘visivi’- l’intero testo ad eccezione di 10 righe con cui viene giustificata la “Cantata supplementare” dedicata al prof. Nicola Tridente…che Vito apprese dal libro e con cui ammisi di essere stato ‘sconfitto’… a tavolino.
Il 29 novembre 2002 nella sala Murat andò in ’scena’ una di quelle rappresentazioni in cui il regista sa che, comunque vada, sarà un successo: presentammo “Cantata per una città” in una maniera esemplare, in modo che fosse la festa di Vito ma anche della Bari dei baresi. Solo per la cronaca in quella sera si manifestò il carisma di un magistrato che da 4 lustri è protagonista della scena pugliese e nazionale: Michele Emiliano.
E venne a dicembre 2005 il volume “Come eravamo” con una presentazione di Lino Patruno:« Dico soltanto che, siccome a tutti noi, diciamo a quasi tutti, piacerebbe addormentarsi ascoltando una favola, c’è Vito per questo, molto meglio di Marzullo. Basta tenere questo libro sul comodino e leggersene una pagina in attesa del miracolo di ogni nuova alba…». Queste parole sono tratte da quella premessa per un volume che non ha bisogno di commento, basta il titolo. Al termine del libro vi è un corredo fotografico, curato da chi scrive queste note, che, oltre ad essere una parte della storia per immagini della famiglia Maurogiovanni, ricorda a tutti noi una verità da prendere come medicina omeopatica “Vediamoci più spesso, ci accorgeremo meno di stare invecchiando”
Maurogiovanni mi fece giurare che, comunque, il suo libro ‘TEATRI’ sarebbe stato pubblicato (ciò avvenne a marzo 2010 ad un anno esatto dalla sua salita in Cielo) e per questo motivo mi chiese di affiancargli un amico che potesse seguire ed eseguire i suoi ‘desiderata’.
Con lucida determinazione mi telefonava tutti i giorni e, bando alle frasi fatte, andava subito alla sostanza del problema. Dopo una breve pausa di riflessione gli proposi l’amico Francesco De Martino, immediata la sua reazione:«Figurati se Francesco può pensare a me, non riesce neanche a telefonare a Celeste»(testo ‘limato’). In verità anche De Martino, pur lusingato, mi fece notare che non aveva tempo a disposizione.
Ci volle tutta la mia diplomazia (anche se mi viene riconosciuta, sono il primo a…dubitarne) di cui ero ‘portatore cosciente’ per evitare le scintille che avrebbero fatto naufragare il progetto. Posso solo dire che dopo lunghe giornate di studio il contatto telefonico fu instaurato, solo che Vito comprese, a sue spese, che il mio consiglio di telefonare solo dopo una certa ora la mattina era fondamentale e andava rispettato ‘categoricamente’. Maurogiovanni, dopo ogni contatto con Francesco, mi chiamava per mettermi al corrente degli sviluppi e il suo entusiasmo era più eloquente di qualsiasi interpretazione.
Fin dal primo momento la mia meta fu quella di realizzare un testo che, nel tempo, sarebbe diventato il testamento morale e letterario di Vito. Nelle giornate in cui prevaleva il ‘dolore’ mi diceva:« Gianni questi libri si dedicano ai morti e, quindi, sono alla fine» ed io rispondevo con la frase corazza che mi ero costruito «La maggior parte degli uomini muore perché non se ne può fare a meno» e lui…si rimetteva in viaggio.
Maurogiovanni con quella innata signorilità - forgiata e fortificata nei dieci anni passati a Matera dove, come sempre, si era proposto come paladino dei più deboli nel tentativo di sanare antiche ingiustizie - ringraziò Francesco riconoscendogli doti professionali ed umane che solo «Gianni conosceva».
Fra trentasei mesi sarà trascorso un secolo dalla nascita di Vito e sono convinto che tutta la famiglia stia già operando al meglio per celebrarne la data. Le quattro donne di Vito: Anna, Celeste, Elivira e Genny hanno dimostrato finora di essere capaci di far ricordare al meglio il loro caro nel segno di una continuità encomiabile.
Una volta mentre stavamo discutendo sul ‘senso’ della vita comunicai a Vito una riflessione di Montale «Il piacere di vivere nasce dalla ripetizione di certi gesti e di certe abitudini»…non ricordo con precisione quello che mi riferì, ma in sintesi lui diceva che ‘uno che ha ricevuto il premio Nobel da senatore a vita’ può permettersi tale affermazione. Sapevo che Montale aveva ricevuto il Nobel per la letteratura nel 1975, ma apprendevo da Vito che era senatore a vita già da otto anni. Quante cose sapeva Vito…era un lettore instancabile, che non si occupava soltanto de «I santi di casa mia».
E’ stato Tommaso Fiore a scrivere le parole più appropriate, oserei dire ‘calzanti-aderenti’, sul Vito poeta:«Non è un poeta, cioè potrebbe anche essere un poeta e non fare nessuna impressione. Invece quest’uomo si distingue facilmente, mi ha colpito sempre per qualcosa di singolarmente puro, ecco, francescano. La sua faccia, come di un bambino, senza pelo, bianchissima, gli occhi grandi e neri pensosi e assorti, sempre. A che cosa pensa? Non so, ma ha sempre qualcosa cui pensare… Non è facile far nascere la poesia dalle comuni vicende quotidiane. Invece tutta la poesia a stampa di questo poeta non è che un’appendice dell’uomo. Scrive “Quando mia madre era ammalata” per un fatto reale, scrive “Il cappotto” perché gli hanno rubato il cappotto e la moglie si è messa a piangere davvero. Il nome del poeta è Vito Maurogiovanni». Ora un messaggio che solo Vito capirà: scriveva Tommaso Fiore nel suo «Un popolo di Formiche.Lettere pugliesi a Piero Gobetti» ( Adriatica,Bari 1968)«Qualche volta mi viene in mente il Catullocalvos pascoliano: Sui campi brulli pesano le nubi,/sopra le nubi volano i rapaci,/ma sempre van le allodole garrendo,/su questi e quelle».
Missione compiuta caro Vito nel tuo 97° ‘Dies Natalis’.