“Gilgamesh, dove vai? La vita che cerchi, non la troverai. Quando gli dei crearono l’umanità …”.
Frugò nel pr0fondo alla ricerca dell’immortalità . Forse accidentalmente la trovò e, essendo un poema work in progress (ogni tanto in Mesopotamia e dintorni spunta una tavoletta, un frammento su cui gli studiosi si accaniscono essendo diverse le redazioni, le scritture, i periodi) chissà , lo apprenderemo in futuro. Le tavolette prendono il nome dal museo dove sono conservate.
Una certezza però c’è: dalla sontuosa architettura del poema babilonese, sia le religioni che le epopee successive (e le loro narrazioni), ma potremmo dire le culture e le civiltà , hanno preso qualcosa: anche Odisseo ed Enea compiono un viaggio, gli Argonauti vanno in cerca del vello d’oro, che trovano, i popoli sul punto di ribellarsi ai sovrani avidi di tributi. C’è anche l’arca dell’alleanza, col diluvio universale che incombe (Gilgamesh lo chiama battello), “tutto l’oro che possedevo lo caricai a bordo”. E poi i sogni…
Sovrapposizioni e citazioni sparse a ogni verso: ne troverà e scoprirà di sue il lettore che si avventurerà in “Gilgamesh” (Il poema epico babilonese e altri testi in accadico e sumerico), appena riproposto in un’edizione (impreziosita dalla scansione di alcuni frammenti e da disegni) da tramandare ai posteri, da Adelphi, Milano 2021, pp. 320, € 24.00, curatela di Andrew George, traduzione di Svevo D’Onofrio.
E dunque, il mitico re della città -stato di Uruk e il servo-compagno Endiku partono per un viaggio nel mondo (la Foresta dei Cedri), nel cuore dell’uomo e dentro sé stessi, in cerca dell’alchimia che consentirà di reimpastare con l’argilla l’uomo per andare incontro a nuove cosmogonie e cosmologie. Un viaggio denso di allegorie, carsiche e di superficie, di insidie e prove che ha il valore di una continua iniziazione, la ricerca dello spiraglio per accedere al mistero, un’empatia con la mente degli dèi sino a fondere le due condizioni in un’unica essenza.
Gli dèi sono gelosi della loro condizione, non vogliono condividerla, né farne dono e considerano il sovrano reo di superbia, accusano Gilgamesh di trascurare il governo e la felicità del suo popolo.
Il postulato di partenza pertanto appare l’intercambiabilità dello status fra uomini e dèi: nel senso che le divinità assumono forma antropomorfa, gli uomini a loro volta si immaginano come dèi. Vivono insomma in una continua, ontologica contaminazione, scambiandosi i ruoli.
In un Occidente secolarizzato, ai piedi di divinità surrogate e straccione, dove ogni spiritualità appare formattata e ogni epopea eterodiretta, all’uomo global confuso e in cerca d’una miserabile password, Gilgamesh (“simile a un toro selvaggio, è più potente di ogni essere umano”) insegna che il viaggio è possibile e la mèta preziosa: non è forse il sogno di ogni uomo dagli albori della civiltà ?
Quel che conta è partire, osare (“solleva il coperchio che cela il segreto…”), rischiare: posto che il viaggio sia ancora possibile…