Che tuttora trova storici negazionisti: la cancel culture ha radici antiche. Le narrazioni artefatte non sono un atout di questo secolo che può contare sugli algoritmi e gli hacker. Una menzogna ripetuta all’infinito diventa “la” verità odorosa di canfora (è la massima di Goebbels).
Lasciare la propria terra è sempre doloroso, anche se il governo turco-ottomano promise il risarcimento dei beni abbandonati: casa e terre, almeno in teoria. Curiosamente, gli Armeni deportati morivano quasi tutti di infarto sulla via che portava alla “terra promessa” (i deserti della Siria). Anche chi osava ospitarli era passato per le armi.
Per la curatela (edizione italiana) di Antonia Arslan, Taner Akçam ricostruisce l’annientamento di un popolo condannato da un secolo alla damnatio memoriae in “Killing Orders” (I telegrammi di Talat Pasha e il Genocidio Armeno), Guerini e Associati, Milano 2020, pp . 312, € 25,00.
La ricostruzione si regge su materiale che ha vissuto infinite peripezie, viaggiando fra Marsiglia, Manchester e Gerusalemme e che un sacerdote cattolico, padre Krikor Guerguerian (scampato per miracolo alla sorte toccata alla sua numerosa famiglia) ha avuto la tenacia di proteggere e far giungere sino a noi attraverso un nipote. Lo studioso turco è riuscito a intercettarlo e a scommettere sulla loro autenticità .
I carnefici di ieri hanno dei riferimenti in quegli storici che oggi li considerano spazzatura. E’ anche qui l’unicità dello sterminio: nel negarlo pervicacemente.
Se il negazionismo ha molte facce, raffinate e perverse, palesi o carsiche, la Turchia che oggi, XXI secolo, indugia alle porte dell’Europa col gioco delle tre carte, nel suo interesse, dovrebbe dare prova di trasparenza e squarciare ogni velo d’omertà fornendo i documenti esistenti (se è vero che molto materiale fu nascosto, non bruciato). Sarebbe più credibile. Un secolo di oblio e di negazionismo basta e avanza, perché “ogni atrocità di massa, lascia inevitabilmente delle tracce”. Nella memoria e nelle coscienze dei popoli.