VITTORIO POLITO - Termina con la festività dell’Epifania (6 gennaio), il periodo natalizio delle feste dell’anno liturgico.
Il termine “epifania”, che nel mondo greco indicava le azioni con cui la divinità si manifestava, passò nel mondo cristiano a designare la celebrazione di alcune manifestazioni della divinità di Gesù Cristo. Epifania, dal greco apparizione, rappresenta la triplice solennità della Chiesa istituita dagli Apostoli per ricordare tre grandi avvenimenti: l’apparizione dell’astro che guidò i Re Magi dall’Oriente a Betlemme, per consentire loro l’adorazione del neonato, Salvatore del mondo; la conversione dell’acqua in vino alle nozze di Cana in Galilea; il battesimo di Gesù Cristo nel Giordano somministrato da San Giovanni Battista, assistito dallo Spirito Santo in forma di colomba e dall’Eterno Padre, che dichiarò Gesù suo figlio diletto.
L’Epifania è una delle feste più antiche della cristianità, originaria dell’Oriente, differiva dal Natale e, quando il Natale diventò la festa della nascita del Redentore, la ricorrenza, come detto, passò a ricordarne altre come la visita dei Re Magi, il battesimo di Gesù e la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana.
Il simbolo dell’Epifania si è concretizzato lentamente nella figura di un fantoccio di vecchia, detta “Befana”, che vorrebbe rappresentare l’anno trascorso, il freddo e la vecchia stagione. In alcuni paesi viene portata in corteo per essere poi bruciata come segno di rinnovamento della terra e del tempo e della fine del ciclo precedente, annunciandone la ripresa del nuovo.
La figura della Befana che porta doni ai bambini, si è inserita dopo con fantasiosi riferimenti a varie figure storiche o fantastiche. Nella tradizione contadina, invece, ha preso un aspetto bonario di vecchia che andava nella notte con l’asinello a portare doni ai bambini.
Anticamente le feste in suo onore erano numerose e celebrate, il cui fantoccio era portato in giro per città e paesi con al seguito maschere, fiaccole, scoppio di petardi, ecc. Poi solitamente era bruciato in piazza nell’allegria generale.
Una leggenda narra che un giorno i Re Magi partirono carichi di doni (oro, incenso e mirra) per Gesù Bambino. Attraversarono molti paesi guidati da una stella, e in ogni luogo in cui passavano, gli abitanti accorrevano per conoscerli e unirsi a loro. Ci fu solamente una vecchietta che in un primo tempo voleva andare, ma all’ultimo minuto cambiò idea, rinunciando a seguirli. Il giorno dopo, pentita, cercò di raggiungere i Re Magi, che, però erano già troppo lontani. Per questo la vecchina non vide Gesù Bambino, né quella volta né mai. Da allora, nella notte fra il cinque e il sei Gennaio, volando su una scopa con un sacco sulle spalle, passa per le case a portare ai bambini buoni i doni che non dette a Gesù.
L’iconografia è più o meno fissa: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate.
Dalle nostre parti la tradizione vuole che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, i ragazzi lasciavano in cucina o sull’uscio di casa una parte del loro pasto serale o altre cose insieme alla classica calza, che allora era un normale calzino, che non ha nulla a che vedere con quella odierna. Quella della Befana era una notte di paura e di raccoglimento e tutti i bambini andavano (e vanno) a letto presto per consentire alla Befana di non trovare ostacoli durante il suo passaggio.
Man mano che gli anni passano ed i piccoli diventano adulti, si dimenticano della simpatica vecchina e dei suoi doni, e così i sogni della Befana svaniscono rimanendo solo un pallido e, perché no, piacevole ricordo.
Vediamo che dicono i proverbi.
La vecchietta mette le feste nella sacchetta. Per analogia la “Vecchietta” è la Befana e porta via le feste nello stesso sacco con cui ha portato i doni.
La notte della Befana nella stalla parla l’asino, il bove e la cavalla. La notte dell’Epifania è una notte di sortilegi: in varie regioni è diffusa la credenza che in questa notte gli animali parlano.
Di Befana la rapa è vana. Le rape, tipico ortaggio invernale, sono migliori all’inizio della stagione fredda, quando hanno sentito soltanto il primo gelo, di gennaio è già troppo tardi. Dopo fioriscono e perdono il sapore.
Curiosità
Arturo Santoro (1902-1988), poeta dialettale barese, memore dei ricordi di giovinezza, invecchiando, credette di sognare la Befana. In realtà si trattava di un altro personaggio, ‘Gevendù’ (Gioventù), che così descrive nella poesia che segue.
LA BEFANA
Stève a dermì, a sènne chjine, stanòtte,
quànne vèrse la menzannòtte,
cìtte-cìtte, me sò viste, d’arrevà,
nà bella fèmmene, berafàtt’assà,
vestùte a la mòde, come se jùse mò,
tutta scollàte, da ddò fìngh ddò!
Chèsse’jè la Befàne, ji so penzàte,
ma chèdde s’à fàtt nà resàte,
e à dìtte: « - Ma come, sì fàtte vècchie, segnerì,
e crìt’angòre a chisse fessarì? - »
« - Ma come? – à ditte – nò me canùsce cchiù?
- U nome mì te sì scherdàte, tù?
- U nome mì jè Gevendù,
- ca se ne va e non retorne cchiù».
E che chèdda resatèdde, com’jère venùte,
m’à lassàte e se n’à sciute!
_______
(Stavo dormendo a sonno pieno, stanotte / Quando verso mezzanotte
In pieno silenzio ho visto arrivare / Una bella donna, bella assai
Vestita alla moda, come si usa oggi / Tutta scollata da qui fin qui
Questa è la Befana, ho pensato / Ma quella si è fatta una risata
E ha detto «- Come sei diventato vecchio tu?
E credi ancora a queste sciocchezze?» / «- Ma come – ha detto - non mi conosci più?
Il mio nome ti sei dimenticato? / Il mio nome è Gioventù
Che se ne va e non ritorna più».
E con quella risatina, come era venuta / Mi ha lasciato e se ne è andata!).
(Libera traduzione di Vittorio Polito)
Il termine “epifania”, che nel mondo greco indicava le azioni con cui la divinità si manifestava, passò nel mondo cristiano a designare la celebrazione di alcune manifestazioni della divinità di Gesù Cristo. Epifania, dal greco apparizione, rappresenta la triplice solennità della Chiesa istituita dagli Apostoli per ricordare tre grandi avvenimenti: l’apparizione dell’astro che guidò i Re Magi dall’Oriente a Betlemme, per consentire loro l’adorazione del neonato, Salvatore del mondo; la conversione dell’acqua in vino alle nozze di Cana in Galilea; il battesimo di Gesù Cristo nel Giordano somministrato da San Giovanni Battista, assistito dallo Spirito Santo in forma di colomba e dall’Eterno Padre, che dichiarò Gesù suo figlio diletto.
L’Epifania è una delle feste più antiche della cristianità, originaria dell’Oriente, differiva dal Natale e, quando il Natale diventò la festa della nascita del Redentore, la ricorrenza, come detto, passò a ricordarne altre come la visita dei Re Magi, il battesimo di Gesù e la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana.
Il simbolo dell’Epifania si è concretizzato lentamente nella figura di un fantoccio di vecchia, detta “Befana”, che vorrebbe rappresentare l’anno trascorso, il freddo e la vecchia stagione. In alcuni paesi viene portata in corteo per essere poi bruciata come segno di rinnovamento della terra e del tempo e della fine del ciclo precedente, annunciandone la ripresa del nuovo.
La figura della Befana che porta doni ai bambini, si è inserita dopo con fantasiosi riferimenti a varie figure storiche o fantastiche. Nella tradizione contadina, invece, ha preso un aspetto bonario di vecchia che andava nella notte con l’asinello a portare doni ai bambini.
Anticamente le feste in suo onore erano numerose e celebrate, il cui fantoccio era portato in giro per città e paesi con al seguito maschere, fiaccole, scoppio di petardi, ecc. Poi solitamente era bruciato in piazza nell’allegria generale.
Una leggenda narra che un giorno i Re Magi partirono carichi di doni (oro, incenso e mirra) per Gesù Bambino. Attraversarono molti paesi guidati da una stella, e in ogni luogo in cui passavano, gli abitanti accorrevano per conoscerli e unirsi a loro. Ci fu solamente una vecchietta che in un primo tempo voleva andare, ma all’ultimo minuto cambiò idea, rinunciando a seguirli. Il giorno dopo, pentita, cercò di raggiungere i Re Magi, che, però erano già troppo lontani. Per questo la vecchina non vide Gesù Bambino, né quella volta né mai. Da allora, nella notte fra il cinque e il sei Gennaio, volando su una scopa con un sacco sulle spalle, passa per le case a portare ai bambini buoni i doni che non dette a Gesù.
L’iconografia è più o meno fissa: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate.
Dalle nostre parti la tradizione vuole che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, i ragazzi lasciavano in cucina o sull’uscio di casa una parte del loro pasto serale o altre cose insieme alla classica calza, che allora era un normale calzino, che non ha nulla a che vedere con quella odierna. Quella della Befana era una notte di paura e di raccoglimento e tutti i bambini andavano (e vanno) a letto presto per consentire alla Befana di non trovare ostacoli durante il suo passaggio.
Man mano che gli anni passano ed i piccoli diventano adulti, si dimenticano della simpatica vecchina e dei suoi doni, e così i sogni della Befana svaniscono rimanendo solo un pallido e, perché no, piacevole ricordo.
Vediamo che dicono i proverbi.
La vecchietta mette le feste nella sacchetta. Per analogia la “Vecchietta” è la Befana e porta via le feste nello stesso sacco con cui ha portato i doni.
La notte della Befana nella stalla parla l’asino, il bove e la cavalla. La notte dell’Epifania è una notte di sortilegi: in varie regioni è diffusa la credenza che in questa notte gli animali parlano.
Di Befana la rapa è vana. Le rape, tipico ortaggio invernale, sono migliori all’inizio della stagione fredda, quando hanno sentito soltanto il primo gelo, di gennaio è già troppo tardi. Dopo fioriscono e perdono il sapore.
Curiosità
Arturo Santoro (1902-1988), poeta dialettale barese, memore dei ricordi di giovinezza, invecchiando, credette di sognare la Befana. In realtà si trattava di un altro personaggio, ‘Gevendù’ (Gioventù), che così descrive nella poesia che segue.
LA BEFANA
Stève a dermì, a sènne chjine, stanòtte,
quànne vèrse la menzannòtte,
cìtte-cìtte, me sò viste, d’arrevà,
nà bella fèmmene, berafàtt’assà,
vestùte a la mòde, come se jùse mò,
tutta scollàte, da ddò fìngh ddò!
Chèsse’jè la Befàne, ji so penzàte,
ma chèdde s’à fàtt nà resàte,
e à dìtte: « - Ma come, sì fàtte vècchie, segnerì,
e crìt’angòre a chisse fessarì? - »
« - Ma come? – à ditte – nò me canùsce cchiù?
- U nome mì te sì scherdàte, tù?
- U nome mì jè Gevendù,
- ca se ne va e non retorne cchiù».
E che chèdda resatèdde, com’jère venùte,
m’à lassàte e se n’à sciute!
_______
(Stavo dormendo a sonno pieno, stanotte / Quando verso mezzanotte
In pieno silenzio ho visto arrivare / Una bella donna, bella assai
Vestita alla moda, come si usa oggi / Tutta scollata da qui fin qui
Questa è la Befana, ho pensato / Ma quella si è fatta una risata
E ha detto «- Come sei diventato vecchio tu?
E credi ancora a queste sciocchezze?» / «- Ma come – ha detto - non mi conosci più?
Il mio nome ti sei dimenticato? / Il mio nome è Gioventù
Che se ne va e non ritorna più».
E con quella risatina, come era venuta / Mi ha lasciato e se ne è andata!).
(Libera traduzione di Vittorio Polito)
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Cultura e Spettacoli