Da Annamaria Franzoni alla contessa Alberica Filo della Torre, passando per Parolisi, Bossetti, etc., i casi di cronaca con la tv nel ruolo di stalker. Persone, sentimenti e valori asfaltati, centrale l’audience, divinità morbosa e avida di sacrifici più di Artemide con Agamennone.
Alla Lubrano, la domanda nasce spontanea: per avere cosa? Ognuno si dia la risposta che più gli aggrada per formazione culturale, sensibilità , senso socratico o kantiano dell’etica, ma la più cattiva potrebbe essere: la tv-spazzatura? Del dolore? La variante nazionalpopolare? Ne parliamo con Adriana Pannitteri.
Domanda inevitabile: lei fa parte del circo mediatico, e ai livelli più alti e di prestigio: ha dovuto scrivere un saggio appassionato e colmo di etos civile per testimoniare la patologia?
“Credo che il tempo di riflessione di un saggio (soprattutto perché accompagnato dal contributo prezioso di un magistrato) sia determinante per aprire varchi nella coscienza. Mi riferisco anche alla coscienza personale, al valore del giornalismo, e alla difficile mediazione tra il dovere di raccontare e quello di rispettare la dignità delle persone.
Il confine è una sfida ardua. A volte siamo sopraffatti dagli eventi e da un meccanismo quasi inconscio che ci porta a divorare tutto”.
Si può tentare di risalire a quando è iniziata la deriva? C’è chi la fa coincidere con l’ingresso in politica di un imprenditore tv, chi la sposta ancora più indietro, facendola coincidere con Pertini (1981) affacciato sulla bocca del pozzo dove il povero Alfredino Rampi sta morendo…
“Quando iniziò la sfida con Mediaset io ero una giovane cronista e mi ricordo che l’imperativo categorico divenne: avere una notizia in più o solo un’immagine in più del tg5.
Forse la deriva è iniziata da quel momento e dall’irrompere dei dati di ascolto e dello share persino nei telegiornali.
Certo, c’era stato Alfredino Rampi, ma forse nessuno immaginava che il bimbo sarebbe rimasto intrappolato in quel pozzo senza fine. Di certo quelle ore scandirono l’inizio della cosiddetta tv del dolore. Ma credo, per assurdo, che fossimo tutti più innocenti e ansiosi di riportare Alfredino dalla sua mamma”.
Il giornalismo-spettacolo, specialità forse solo all italian, ha condizionato indagini, processi e infine le sentenze?
“Non dovrei dirlo ma penso che quando un caso di cronaca diviene vicenda pubblica in tutte le sue mille sfaccettature, quando ogni dettaglio è rivelato, quando si violano i confini dell’intimità , il rischio è che si imponga l’idea di giungere a una sentenza esemplare.
Una tentazione alla quale non sempre i giudici riescono a sottrarsi. Ma la pena esemplare non esiste nel nostro ordinamento ed è un vero e proprio obbrobrio”.
Autori e vestali della tv tossica, sempre trillanti, empatiche, annunciano scoop inesistenti (Oriana Fallaci si rivolta nella tomba) e dicono: il pubblico vuole questo, e noi glielo diamo, variante del pensiero: più abbassi il livello, più c’è audience e gli inserzionisti gongolano, tradotto: mettetevi l’anima in pace, è il mercato, bellezza, the show must go on…
“Purtroppo abbiamo assistito anche al mercimonio delle interviste e delle testimonianze costruite a tavolino pur di raggiungere un punto in più di share.
Al contrario abbiamo assistito anche a straordinari picchi di auditel con trasmissioni belle. Penso a Alberto Angela. O a inchieste assolutamente dignitose anche su fatti di cronaca.
Quindi è possibile? Non credo in una tv pedagogica ma allo stesso tempo ritengo che in particolare il servizio pubblico abbia il dovere di tenere l’asticella alta”.
L’oblio: diritto od opzione?
“Il diritto all’oblio ha una sua precisa configurazione. Ma ci sono fatti di rilevanza storica che meritano di essere ricordati anche molto tempo dopo sebbene in un contesto giusto. E’ sempre questione di equilibrio”.
Ogni codice di autodisciplina è bypassato, appelli delle istituzioni ignorati: ma nel suo saggio brilla un lumicino di speranza: ha qualche idea terra terra per uscirne senza penalizzare alcun soggetto in campo?
“Ho imparato a pormi alcune domande nel tempo e mi faccio quelle domande tutte le volte che mi avvicino a una vicenda delicata, nella quale le persone hanno pagato un prezzo altissimo. Mi chiedo: questo dettaglio è funzionale all’obiettivo che voglio raggiungere? Sto accendendo i riflettori su una questione che interroga l’opinione pubblica? Sto sensibilizzando chi mi ascolta e mi vede affinché certi fatti non avvengano più? Sono gli interrogativi imprescindibili, quelli che devono guidare il lavoro di un cronista”.