DELIO DE MARTINO - L’emergenza covid è stata un vero flagello, non solo per la sua recrudescenza ma anche per il suo inesorabile protrarsi, essendo ormai in procinto di compiere due anni. Non sorprende che abbia messo a dura prova lo stato psicologico individuale e collettivo. Accanto al bisogno di raccontare le proprie ansie si è andata così sviluppando anche una vera e propria “scrittura emergenziale”, che ha indotto molti scrittori a condensare emozioni, angosce, speranze, funzionando al contempo come naturale valvola di sfogo, se non proprio come “terapia” ma anche come testimonianza del particolare periodo che stiamo ancora vivendo. La scrittura è diventata una cartina tornasole dello stato d’animo in tutti i sensi “generale”, persino degli operatori sanitari, dei formatori, alle prese con una nuovissima pedagogia ed una didattica d’emergenza, e addirittura degli stessi professionisti della psiche, come mostra il libro di Donato Favale, psichiatra e psicoterapeuta, intitolato Inattese metamorfosi, pubblicato da Primaedizione (Roma, 2021).
Come ho ricordato nella Prefazione, psichiatria e psicologia, fin dalle origini, hanno intessuto con la letteratura legami fitti e fruttuosi. Le scienze della psiche hanno infatti avuto un impatto notevole oltre che sulla società civile anche nello specifico letterario, rivoluzionando i canoni estetici e tematici degli scrittori in particolar modo agli albori del secolo breve. A ben vedere il tema della follia è infatti un file rouge che attraversa l’intera storia della letteratura fin da Dante: si pensi al celeberrimo “folle volo” oltre le colonne d’Ercole dell’Ulisse del canto XXVI dell’Inferno o alla follia dell’Orlando furioso, il cui senno dev’essere recuperato da Astolfo sulla luna, quasi una metafora della prima psicoterapia ante-litteram, fino al celebre e sempre attuale Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam.
Nonostante i numerosi precedenti è però nei primi del ’900 che il tema del disagio mentale esplode rivoluzionando al contempo anche i canoni estetici fino ad allora vigenti. Con Pirandello scopriamo che ormai Il treno ha fischiato e la follia si annida dietro la maschera dell’uomo moderno, con l’Ulisse di Joyce il flusso di coscienza diventa una modalità narrativa capace di distruggere persino la punteggiatura, per arrivare alle nevrosi raccontate da Italo Svevo, che, con La coscienza di Zeno, già nel titolo preannuncia la psicanalisi come tema centrale del romanzo. Poi nella seconda metà del ’900 con la caduta delle dittature e la ventata democratica, secondo una nuova logica inclusiva, si afferma il principio dell’integrazione del malato psichico nella società arrivando a comprendere, per dirla con Orwell, che “un pazzo non è che una minoranza costituita da una sola persona”. Di lì alla Legge Basaglia il passo è breve. E, nell’epoca della rivoluzione informatica, la voce di un altro premio Nobel, Dario Fo, chiude il millennio doppiando il celebre spot della Apple computer intitolato Think different, spiegando al nuovo homo digitalis che “solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero”.
I rapporti tra queste discipline non sono stati però a senso unico. La letteratura dal canto suo ha fornito strumenti fondamentali per comprendere la mente umana, che si struttura e si cerca di curare proprio attraverso la narrazione. La letteratura ha difatti fornito e continua a fornire exempla fondamentali delle più profonde pulsioni dell’anima cristallizzate in celebri archetipi letterari. Si pensi in primis alla mitologia, che costituisce la base di tutti i principali complessi (di Edipo, di Giocasta, di Elettra, etc. etc.) indagati dagli psicoterapeuti.
Allo stesso tempo le scienze della psiche hanno fornito nuovi strumenti e metodologie d’analisi dei testi letterari stimolando la critica letteraria in chiave psicanalitica e dunque favorendo percorsi ermeneutici nuovi legati all’inconscio e alle pulsioni più profonde dell’animo.
In questo mare magnum di rapporti si inseriscono le Inaspettate metamorfosi di Donato Favale, una raccolta di favole scritte in un’epoca, quella della pandemia di coronavirus, che ha messo a dura prova la stabilità psichica del mondo intero.
Psichiatra, ma anche appassionato di letterature classiche e moderne, Favale si affaccia alla scrittura creativa con un’antologia di racconti avvincenti e di facile lettura e racconta con la leggerezza di un novello Fedro piccole storie col tono adatto al mondo infantile, ma il cui spessore psicologico emerge evidente. Dietro l’infantile giocosità di ogni favola, Favale racconta infatti pulsioni, ossessioni, moti dell’animo dell’uomo postmoderno, messo ancora più in crisi dall’inferno del lockdown. Con i suoi racconti indaga, dietro una patina apparentemente spensierata, quella zona grigia della coscienza e dell’animo umano che spesso sfocia nel male di vivere. Lo stile favolistico infantile e leggero predilige frasi corte e paratattiche adatte ad una lettura rapida, senza perdere in profondità, per coinvolgere il lettore di oggi sempre più distratto dal multitasking tecnologico, ancora più pervasivo nell’epoca della Dad.
Con la leggerezza, alla quale Calvino dedicò una delle sue esemplari Lezioni americane, e con la delicatezza di una farfalla, di una psyché, come si poteva chiamare in greco con lo stesso nome dell’anima, Favale accompagna il lettore tra storie fantastiche che, come spiega il titolo, hanno nella metamorfosi la chiave narrativa che le accomuna.
Esemplare è il primo racconto, C’era una volta il virus regale. Scritto per primo e già pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno il 6 aprile 2020, nel corso della prima ondata pandemica, narra di un fantastico viaggio in bus di un gruppo internazionale di scimmiette che si sposta da Londra verso la Cina per curare il coronavirus. Dopo una serie di allegre peripezie sanitarie durate vari anni, il viaggio termina dove era iniziato, a Londra, come un classico nostos. Lì le scimmiette ricreano un Arcobaleno di farfalle, di psychai appunto. Esse assumono coralmente il significato di una catarsi, sanitaria ma soprattutto psicologica, agognata da tutto il mondo già nel 2020. La scelta programmatica di inserirlo per primo, ne fa quasi una dichiarazione di poetica. La vita è presentata come viaggio di speranza per curare un grande male (simbolizzato dal coronavirus) che porta ad attraversare tutti insieme in un allegro bus tutta l’Europa e il mondo. Il viaggio, vissuto con straordinaria gioia da parte di scimmie sempre allegre e pimpanti, si svolge tra numerose tappe curative e sanitarie per scimmie che, nonostante il male e i pericoli che le affliggono, riescono a non perdere il sorriso grazie anche alle figure professionali che le assistono. Accompagnate significativamente anche da uno psichiatra e una pediatra oltre che da un domatore, i primati riescono a trasformare la loro odissea in una scampagnata europea, alla fine della quale si guarisce e si può affrontare la vita con nuovo slancio.
Questi miti ci ricordano che in fondo dietro le nevrosi che spesso viviamo ancora oggi si nasconde la mitizzazione di figure presunte perfette, delle quali non cogliamo i limiti, immancabili e fisiologici, e da cui non riusciamo a liberarci. Secondo la tradizione classica dei grandi favolisti, Esopo e Fedro, Favale predilige come personaggi animali esotici, scimmie, leoni, dromedari e fenicotteri. Il messaggio è che in ogni piccolo eroe c’è un animale archetipico, nel quale a volte effettivamente poi si trasforma. La forma animale è esito della metamorfosi e ciò sottolinea la valenza simbolica e metaforica.
Le metamorfosi narrate da Donato Favale sono emblematicamente “inattese” come spesso, in psicoterapia, le trasformazioni dei pazienti e come la vita stessa, obbligata spesso a imboccare percorsi imprevisti. Anzi proprio la chiusura verso l’insondabile e la presunzione ossessiva di ponderare l’imponderabile è oggi una delle cause più frequenti di disagio psicologico. La resilienza, tanto in voga oggi, è proprio una forma di apertura all’inatteso e alla capacità di metamorfosi di fronte ai possibili contraccolpi della vita. La capacità di fare epochè e di accettare senza pregiudizi il fluire della vita è una prima forma di sollievo dell’animo. E questo è forse l’insegnamento più generale che tutte le favole di questa raccolta propongono. D’altronde, benché manchi il classico ho logos deloi, l’interpretazione si presenta spontanea e facilmente accessibile a tutti, specie attraverso un approccio psicologico e sociologico.
Dal punto di vista formale tutti i racconti sono accomunati dal modulo “C’era una volta” utilizzato come titolo nel primo racconto e incipit di tutti gli altri che si presentano come “favolette per i più piccoli”, alla maniera di Gianni Rodari, raccontate da un classico narratore omnisciente di impostazione quasi ottocentesca. Il “C’era una volta” richiama dunque un’altra cruciale tradizione, quella delle piccole favole per bambini che ancora oggi popolano l’immaginario collettivo, spesso nella loro edulcorata versione disneyana.
Come il primo anche gli altri racconti prendono spunto da vicende e conoscenze reali, ma interpretate e narrate da visuale psicocentrica, ed hanno ciascuno una metafora. Il meccanico dal cuore d’oro recupera il topos dell’’automatos bios adattandolo ad un tecnico dell’auto. Il nonno e il nipote sceglie emblematicamante come protagonisti due categorie rimaste distanziate durante tutta la pandemia. Il maestro e le stelle è una metafora pedagogica del bambino al quale le lucciole segnalano il cammino verso casa. Il Vecchio racconta il legame, più simbiotico che bioetico, tra padre e figlia. Nonna Irene è una clochard con amici emarginati (una zingara, una prostituta un ragazzo di colore, un ragazzo psicotico) ma che alla sua morte trasforma il suo spazio, davanti alla ferrovia di Foggia, in un “centro di gentilezza”. Il dromedario e il cammello ruota intorno al tema dell’amicizia e della diversità. La domestica equina delinea nostalgicamente la figura anch’essa a modo suo “pedagogica” della domestica quale antidoto alla solitudine di un bambino, finché resta bambino. Melinda e la raccolta delle mele, con una protagonista felliniana dai teratologici capezzoli a frusta, simboleggia una visione briosa e leggera dell’eros, ostacolato e spesso proibito nell’era del virus. La fissità e la mutevolezza ha come protagonista ancora una volta una coppia antitetica, due fratelli che si trasformeranno l’uno in quercia, l’altro in ruscello. L’usignolo di Dio è la storia di un giornalaio di Polignano dispensatore di felicità a bambini e non solo. Sirenottolo è la storia di due gemelli creativi, un pittore al mare e un poeta in montagna, con un sogno simile a quello della Sirenetta di Andersen. Up e down è un racconto eziologico, in cui due amici, antitetici di fisico e di carattere, si trasformano in una statua abbronzante per chi la tocchi. La tunica che unisce i popoli racconta un altro aition, la storia di una ragazza che gira il mondo in bici per predicare la pace e diventerà alla fine una colomba dal cui ramoscello nascerà il corso di “Scienze della Pace”, effettivamente attivo presso l’università di Pisa.
In conclusione un campionario di metafore di riscatto di emarginati della società, di speranze di benefiche trasformazioni spesso sociali, non ancora avvenute o che forse non avverranno mai.
Il senso finale della raccolta è proprio questo. La psiche ha bisogno, sempre e tanto più quando è in sofferenza, di storie, di sogni ad occhi aperti, di “metamorfosi”, inattese, persino inattendibili, ma delle quali è, per sua stessa natura, perennemente in attesa.