Libri, “Machiavelli social” e global

FRANCESCO GRECO - Quirinale vs Palazzo Chigi. Equilibri politici scossi, come il maestrale quando urla e biancheggia il mare. La politica al tempo della pandemia. Quanti politici la sera sul comodino hanno l’immortale opera del Machiavelli, “Il Principe”?

Sprezzato come servo sciocco dei Medici e letto grossolanamente come master di cinismo, realpolitik e politically correct (ma il Segretario dei Medici fu anche un gaudente, amava la carne), l’opera contiene numerose password, in certi snodi declina sul fatalismo, modula nel misticismo. Ma sullo sfondo c’e sempre l’interesse del Principe, tutto il resto è relativo, sovrastruttura, poesia. Ciò lo rende universale, sospeso perennemente fra Oriente (Averroè, Confucio) e Occidente (Cartesio, Montesquieu).

 Rimodulare Machiavelli (1469-1527) al tempo dei social media, rileggerlo ancorato alla modernità e i suoi feticci, può apparire quasi blasfemo, un azzardo, una provocazione in un tempo che di contaminazioni si nutre. E invece il format binario, ieri-oggi, tardissimo Medioevo era del pixel, funziona e rinfresca un intellettuale all’alba dei Lumi, citato spesso a cavolo, talvolta per giustificare le trovate surreali dei politici che impallidiscono dinanzi alla sua statura di ambasciatore alle corti di mezza Europa, alle prese con Sovrani e Pontefici.

Ecco allora “Machiavelli social” (Gli italiani rispondono al Principe), di Matteo Minà e Filiberto Passananti, Vallecchi Editore, Firenze 2021, pp. 164, euro 16,oo. Un divertissment impreziosito da un’intervista impossibile al diplomatico, storico, politico, filosofo, scrittore, drammaturgo, dove, alla domanda se si ritenga il fondatore della politica moderna, si schermisce: “Non credo di aver fondato nulla…”) che lo attualizza nella sua essenzialità e lo porge all’uomo d’oggi, meno noioso di Proust, palloso di Eco, prolisso di Stefano D’Arrigo. E’ come se, a circa 5 secoli dalla morte, Machiavelli (che caduta la Repubblica prese la via dell’esilio curando un piccolo campo) indossasse un abito nuovo adatto al XXI secolo.

Da Sgarbi a Veneziani, da Domenico De Masi a don Ciotti, fino a Marcello Lippi, intellettuali e non di varia formazione politica e culturale (ma dalla Chiesa all’Ue, relativismo e secolarizzazione ormai avvolgono tutto come perfida gramigna), embedded e cani sciolti senza collare, riflettono sul “Principe”, col risultato di farlo apparire sotto i riflettori di un’eccezionale modernità, perché l’uomo, il potere, la politica, dalla Polis all’Urbe fino ai “palazzi”, è sempre una. 

 E magari, in queste ore febbricitanti per le sorti della (povera) Patria (Battiato dixit), “nave senza nocchiero in gran tempesta” (Dante), sta decidendo chi andrà al Quirinale e chi a Palazzo Chigi, i sommersi e i salvati, gli apocalittici e gli integrati, come ai tempi di Messer Niccolò….

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