VINCENZO NICOLA CASULLI - Il Covid-19 sta interessando tutti gli aspetti della nostra vita e, inevitabilmente, anche quello della giustizia, mettendo a dura prova l’art. 111 della Costituzione secondo cui “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo, regolato dalla legge…” e l’art. 27 della Costituzione secondo cui la pena deve, in primo luogo, essere rispettosa della dignità della persona, a partire dal rispetto del diritto fondamentale alla salute (oggi oggettivamente compromesso negli istituti penitenziari sovraffollati sia per i detenuti che per chi vi lavora).
In un contesto emergenziale come quello che stiamo vivendo, il sistema giustizia può legittimamente subire limitazioni volte a contenere la diffusione del virus, come, ad esempio, la restrizione dell’accesso del pubblico alle cancellerie dei tribunali e della partecipazione in aula alle udienze delle parti processuali. Tali limitazioni dei diritti andrebbero circoscritte, però, esclusivamente ad interventi che frenino la diffusione del virus e non comportino effetti negativi per l’imputato, il diritto ad un equo processo da svolgersi nel pieno contraddittorio, il buon funzionamento della giustizia e, più in generale, per il cittadino che è alle prese con la giustizia.
Da quando è esplosa l’emergenza coronavirus in Italia sono stati diversi gli interventi del governo anche nel campo della giustizia.
A disciplinare la materia nella fase di emergenza è intervenuto il Decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, che all’art. 83 introduce nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenere gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare. In proposito, si ricorda l'intervento che ha sancito il rinvio di tutte le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari a data successiva al 15 aprile 2020, con contestuale sospensione dei termini processuali.