FRANCESCO GRECO - “Questa storia ha avuto luogo tanto tempo fa, quando le grandi foreste si estendevano per tutta la Terra e non c’era alcun segno di villaggio abitato. In quei tempi lontani il mondo era popolato solo dagli animali…”.
Cosa sappiamo della Grande Madre Russia? Della sua anima profonda, la spiritualità, il suo mondo interiore, l’immaginario che lo nutre da millenni?
“Molto tempo addietro, in un villaggio del popolo siberiano degli ulci, viveva un vecchio…”.
Quel che sappiamo ce lo hanno raccontato i suoi scrittori, da Tolstoj a Dostoevskij, i poeti, da Puskin a Majakovskij, sino a Marina Cvetaeva e Nika Turbina.
“Nella sconfinata terra ghiacciata che gli uomini del Nord chiamano tundra, dove soffiano i venti gelidi e le notti sono tanto fredde che persino gli orsi hanno paura…”.
La musica immortale di Tchaikovskj e di Shostakovic. E i politici: “Non si può fare la frittata senza rompere le uova…” (V. I. Lenin).
“Molti anni fa, quando gli spiriti della foresta apparivano ancora spesso, agli uomini, in un villaggio del popolo evenki…”.
Invece di confessare a noi stessi, socraticamente, di non sapere, schiacciamo questo continente sconfinato e il suo popolo melting pot sospeso fra l’Asia e i popoli delle steppe (Avari, Peceneghi, Sciti, Sarmati, Cimmeri, etc.) e l’Europa (non era forse tedesca la zarina Caterina II?) sotto luoghi comuni intrisi di pregiudizio, segno di grossolanità d’animo e di pigrizia mentale.
“Sotto la coltre di neve della taiga siberiana dormono spiriti buoni e malvagi e ogni elemento della natura ha una sua voce…”.
Di più: da tolemaici, ci siamo messi al centro dell’universo e aggrappati a valori ormai quasi tutti relativizzati, ci attribuiamo una superiorità culturale degna di altre cause e con arroganza pretendiamo di capire, e dominare, civiltà, culture, popoli, uomini che hanno una storia diversa dalla nostra.
A metterci in termini dialettici con la Grande Madre Russia ci aiuta lo scrittore Nicolai Lilin (origini siberiane, nato nel 1980 nell’attuale Moldavia, vive in Italia) che ci avvicina allo specifico, complesso immaginario del suo popolo con “Le fiabe della terra addormentata”, ElectaJunior Mondadori, Milano 2021, pp. 144, € 16,90, per bambini dai 7 anni, e per quelli oltre i 70, aggiungiamo noi.
Sono favole estrapolate dall’oralità popolare e riscritte con una sapienza incantata e ricchezza di particolari che commuove e conquista, dal potere evocativo e magico che fa pensare ai balletti del Lago dei Cigni e al Valzer dei Fiori, a steppe sconfinate carezzate dal vento e taighe popolate da mille creature, e ognuna ha qualcosa da raccontare.
“Le volpi bianche, gli orsi, le foche non sono mai quello che sembrano, così come il fuoco, la pioggia, il gelo…”.
Emergono dall’inconscio con l’inafferrabile consistenza dei sogni favole leggere e intense, che reggono i loro topoi nei grandi del passato: da Esopo a Fedro, sino agli autori nordici alla Andersen. Depurate però da ogni morale, da messaggi anche subliminali. La forza della natura letta in senso panteista, i suoi abitanti, uomo incluso, sono dotati di un’ontologia e una maieutica sottintesa, nuda, senza alcun bisogno di una decodificazione che risulterebbe anzi volgare e posticcia, “nascondono spiriti, che stregano e guidano gli uomini e le donne nelle loro imprese, tesori di un folklore secolare…”.
Che, aggiungiamo noi, dicono dell’anima della Grande Madre Russia più dei sapienti che in queste settimane affollano gli studi tv, esperti di geopolitica con analisi da bar sport tagliate con l’accetta. Se si vuol trovare un elemento unificante, è il senso di popolo, di memoria condivisa, di solida appartenenza, che contrasta col nostro esasperato individualismo, solipsismo patologico, alla nimby.
La favola “L’usignolo magico” dice molto di più sul cuore di un popolo di cui, fellinianamente, poco si sa e tutto si immagina. Come Virgilio, Lilin ci guida nell’immaginario popolare denso di allegorie e a ogni pagina c’è una sorpresa, una scoperta, un incontro insospettato, un incanto che intenerisce il cuore dell’uomo eterno bambino.