ROMA - Braccia incrociate e imbarcazioni ferme al porto. Dalla scorsa notte è partito lo sciopero dei pescherecci contro il caro benzina. Il comparto incontrerà il governo mercoledì, e ha già fatto sapere che chiederà un sostegno economico.
La decisione, secondo quanto comunicato dall'Associazione produttori Pesca, è stata presa durante un'assemblea avvenuta a Civitanova Marche, in provincia di Macerata. Presenti all'incontro i rappresentanti dell'80% delle marinerie italiane che, al termine di un'accesa assemblea hanno deciso di proclamare lo sciopero generale per tutti.
"Il caro gasolio non permette più di sostenere l'attività di pesca e il comparto ha deciso di fermarsi". Queste le parole dell'Associazione produttori Pesca al termine dell'incontro e dopo aver proclamato lo stato di agitazione del settore.
Un incontro con il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali è stato comunque fissato per il prossimo mercoledì 9 marzo a Roma. Nel frattempo si attende un forte contraccolpo sulla disponibilità e sul prezzo del pescato in tutti i mercati italiani.
Secondo Francesco Scodella, presidente dell'Associazione armatori Pescara, da dove è nata l'idea di cominciare lo sciopero, astenendosi dalla pesca, la protesta è legata a più di una questione. "Le barche non usciranno per la pesca da dopo la mezzanotte di domenica per protesta contro l'aumento del costo del gasolio che è la goccia che ha fatto traboccare il vaso - sostiene Scordella -. Il carburante è sempre in aumento. Noi lavoravamo, dall'inizio della pandemia, con il gasolio a 30 centesimi. Piano piano il costo è aumentato ed è arrivato ad 1 euro e 10 oggi. Più che raddoppiato se non triplicato. Ora le barche più grandi in mare consumano 2.500 euro al giorno rispetto alle mille di prima".