(LIBOR HAJSKY/AP) |
SIGNOR PRESIDENTE…
Ho interrogato l’erba, signor Presidente.
Rispondeva senza esitazione
Che nessuno si è sdraiato su di lei,
che nessuno l’ha odorata,
che non l’hanno calpestata a piedi nudi.
Impiccarla?
Sono dello stesso parere.
L’indomani mattina all’alba per essere più sicuri,
l’hanno bruciata.
Dopo nemmeno una settimana un uomo andava urlando: Soldati,
quell’erba già domani sarà di nuovo verde!
LIVALCA - Come noi giovani studenti di quegli anni possiamo dimenticare quella che è passata alla storia come la "Primavera di Praga" che vedeva i carri armati ( che novità!) sovietici invadere quella nazione, denominata ancora Cecoslovacchia, perché un politico di nome Dubçek cercava di riformare un regime oppressivo e autoritario con il famoso "Socialismo dal volto umano".
In breve sintesi: alla fine della prima guerra mondiale il “Comitato nazionale di Praga”, creato nel 1916 ad opera di Masaryk e Beneš, promulgò la repubblica affermando che dovevano ritenersi sciolti i vincoli con la dinastia degli Asburgo.
I confini del nuovo stato furono legittimati dai trattati di Versailles e di Saint-Germain: va specificato che con slovacchi e cechi furono incluse minoranze ungheresi, ucraine (guarda un po’ la storia come si diverte!) e forse tedesche. Alcuni anni dopo fu creato un volenteroso patto con la Romania e la Jugoslavia, denominato “Piccola intesa” tra stati balcanici, instaurando, subito dopo, rapporti collaborativi con Francia e Italia. Va precisato che la Cecoslovacchia nel 1933, con anticipo sulla storia, sciolse il partito fascista, il movimento nazista e tedesco-nazionale provocando la disapprovazione della forte Germania e le proteste della Polonia per come veniva trattata la minoranza di Cieszyn.
A fine settembre del 1938 vi fu quello che viene ricordato come il “Convegno di Monaco” che vide l’inglese Neville Chamberlain ("In guerra non ci sono vincitori, ma sono tutti perdenti, qualunque parte affermi di aver vinto", sorge spontanea la riflessione su quanto avrebbero da imparare da questo linguaggio gli attuali leader mondiali - sulla carta eletti democraticamente - che sembrano affascinati da parole che potrebbe pronunciare chi scrive per lo sdegno che prova nel vedere innocenti, civili e militari, russi e ucraini morire per una malsana idea di potere, ma non chi governa il mondo, nel nome della democrazia, giustizia e libertà, con il fine preciso di rispettare la VITA), il tedesco Adolf Hitler, l’italiano Benito Mussolini e il francese Édouard Daladier accogliere tutte le richieste e delimitare il territorio della Cecoslovacchia.
A marzo del 1939 i soldati tedeschi occuparono l’intera Cecoslovacchia. Iniziò la resistenza armata cecoslovacca che raggiunse l’apice nel 1942 con l’uccisione di un gerarca nazista Heydrich, ma la repressione fu spietata e si ricorda il massacro di Lidice. Nel 1945 sempre Beneš costituì un governo provvisorio a Praga e accettò di cedere all’Unione Sovietica la Rutenia Carpatica; con le libere elezioni dell’anno successivo i comunisti ottennero la maggioranza relativa ed espressero il capo del governo, mentre Beneš diventava presidente della Repubblica. In piena ‘guerra fredda’ fra Est ed Ovest la Cecoslovacchia, pur avendovi aderito all’inizio, respinse il Piano Marshall e ciò diede la stura agli avvenimenti del febbraio del 1948.
Molti ministri non comunisti si dimisero dal governo, morì - ancor oggi non si sa come e perchè - il ministro degli esteri Masaryk, figlio del precedente presidente della repubblica, e, dopo qualche tentennamento, abbandonò anche Beneš. Agricoltura e industria furono collettivizzate e la Cecoslovacchia aderì al patto di Varsavia e al Comecon (“Consiglio di mutua assistenza economica” creato nel 1949 con l’adesione di Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Albania, Ungheria, Polonia, Romania e Bulgaria per coordinare e favorire lo sviluppo economico; in seguito aderì anche la Repubblica democratica tedesca - ha abbandonato nel 1990 - e paesi come il Vietnam, Cuba e la Mongolia. Con la crisi dei paesi socialisti dell’Est europeo, nel 1991, il Comecon è stato sciolto di comune accordo).
Nemmeno la morte di Stalin nel 1953 e la successiva destalinizzazione di Nikita Kruscëv, segretario del PCUS, riuscirono a far assorbire ai più giovani i rigori intollerabili di un sistema poliziesco e le continue, inspiegabili epurazioni organizzate in nome del partito comunista. Nel 1960 la Repubblica Socialista Cecoslovacca varò la sua terza costituzione e il volontario passaggio verso una società orientata al comunismo. Al potere andò Novotny, l’uomo forte del regime, ma intellettuali, studenti e nuovo ceto sociale si affidarono ad Alexander Dubçek che proponeva riforme ‘eccezionali’. Il politico cecoslovacco appena prese il posto di segretario del partito, subentrando allo stalinista Novotny, abolì la censura ed intraprese un percorso di rinnovamento e liberalizzazione, ma commise l’errore - per noi diritto sacrosanto ! - di volersi sganciare dal controllo dell’URSS.
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia, con la sola eccezione della Romania, invasero con i loro carri armati la Cecoslovacchia: questo racconta la storia, nella sostanza l’invasione fu russa che ‘comandava’ su tutto e tutti. Non solo la dirigenza del popolo invaso, ma lo stesso popolo fu compatto nel tentativo di opporsi all’invasore e resistette fino all’aprile del 1969, quando Gustav Husak prese il posto di Dubcek. Mosca instaurò la sua ben nota normalizzazione: processi politici a senso unico, specialmente nei riguardi dei militanti di Carta 77.
A gennaio del 1969 i giovani di tutto il mondo, anch’io fra loro, abbiamo testimoniato in silenzio per rendere omaggio al coraggio di cinque patrioti cecoslovacchi, due operai e tre studenti, che hanno immolato le loro vite per rivendicare il diritto di essere uomini liberi. Jan Palach fu il primo che, recatosi a Praga in piazza Venceslao, si cosparse il corpo di benzina e si diede fuoco con un accendino. Tre giorni dopo morirà, come tutti i suoi compagni, e il 25 gennaio per il suo funerale furono oltre mezzo milione di persone a sfilare pacificamente. Le autorità non consentirono che fosse tumulato nel cimitero degli eroi nazionali.
Chissà cosa faceva quel giorno del 1969 Wladimir Putin, lui che nato nel 1952 a Leningrado, oggi San Pietroburgo, l’anno prima aveva provato a farsi arruolare nel KGB? Putin nasce in una povera famiglia operaia e dopo una carriera perentoria sale al potere dopo Boris Eltsin nel 2000. Al suo quarto mandato che scadrà nel 2024, ottenuto con un consenso del 75%, si è imbattuto nella tornata elettorale dell’Ucraina che ha portato al successo nel 2019 Volodymyr Zelensky.
Il resto è storia recente che non sappiamo come andrà a finire.
Ormai tutto il mondo considera eroi non solo i morti innocenti che la presunta ragione di Putin costringe a morire all’interno delle proprie case, ma anche coloro in Russia che, pur comprendendo il rischio cui vanno incontro, manifestano contro l’ottuso modo di imporre il proprio volere di un capo che è fuori dalla storia e non ho detto dalla civiltà. Il dissenso di russi e ucraini famosi e meno noti è così evidente che molti si aspettano dai militari russi, eroi anch’essi, un atto di estremo coraggio che dia senso alla parola VITA. Un militare non spara mai su un civile, anche se a chiederglielo è il diretto superiore. L’autore di quel volume "Arcipelago Gulag", che resta pur sempre un documento agghiacciante sulla repressione di massa, ha cercato, senza riuscirci, di fare capire che fra capitalismo e socialismo vi è una terza via che porta alla libertà e al diritto alla VITA: "Non credo che la letteratura, nei confronti della società e dell’individuo, debba nascondere la verità o attenuarla. Nessuno può impedire che la VERITA’ si faccia strada, e per adempiere a questo compito sono pronto ad accettare anche la morte" (Solženicyn).
Presidente Putin lei che è un esperto di quella nobile arte che si chiama Judo saprà senz’altro che il fondatore di questa disciplina, tale Jigoro Kano, sentenziava: "La flessibilità può neutralizzare la forza bruta" e poi un altro di cui non ricordo le generalità "Quando qualcuno ti attacca, ti regala la sua forza. Per usufruire di questo dono devi sapere come riceverlo". Palach, senza essere esperto di arti marziali, ha sacrificato la sua vita e mi dicono che il PADRETERNO non ha ritenuto il suo suicidio tale da meritare l’inferno, lei non pensa che un suo nobile gesto possa far scaturire quella PACE cui aspirano le sue mogli, i suoi figli e mi dicono i suoi nipoti?
Ci pensi: la VITA merita il suo rispetto e lo meritano i morti, eroi che avrebbero fatto volentieri a meno di tale eroismo, perché i mali che lei ha provocato, mettendosi fuori della storia, non sono in grado di ricomprare neanche la vita di Wladimir Putin.
Rispondeva senza esitazione
Che nessuno si è sdraiato su di lei,
che nessuno l’ha odorata,
che non l’hanno calpestata a piedi nudi.
Impiccarla?
Sono dello stesso parere.
L’indomani mattina all’alba per essere più sicuri,
l’hanno bruciata.
Dopo nemmeno una settimana un uomo andava urlando: Soldati,
quell’erba già domani sarà di nuovo verde!
LIVALCA - Come noi giovani studenti di quegli anni possiamo dimenticare quella che è passata alla storia come la "Primavera di Praga" che vedeva i carri armati ( che novità!) sovietici invadere quella nazione, denominata ancora Cecoslovacchia, perché un politico di nome Dubçek cercava di riformare un regime oppressivo e autoritario con il famoso "Socialismo dal volto umano".
In breve sintesi: alla fine della prima guerra mondiale il “Comitato nazionale di Praga”, creato nel 1916 ad opera di Masaryk e Beneš, promulgò la repubblica affermando che dovevano ritenersi sciolti i vincoli con la dinastia degli Asburgo.
I confini del nuovo stato furono legittimati dai trattati di Versailles e di Saint-Germain: va specificato che con slovacchi e cechi furono incluse minoranze ungheresi, ucraine (guarda un po’ la storia come si diverte!) e forse tedesche. Alcuni anni dopo fu creato un volenteroso patto con la Romania e la Jugoslavia, denominato “Piccola intesa” tra stati balcanici, instaurando, subito dopo, rapporti collaborativi con Francia e Italia. Va precisato che la Cecoslovacchia nel 1933, con anticipo sulla storia, sciolse il partito fascista, il movimento nazista e tedesco-nazionale provocando la disapprovazione della forte Germania e le proteste della Polonia per come veniva trattata la minoranza di Cieszyn.
A fine settembre del 1938 vi fu quello che viene ricordato come il “Convegno di Monaco” che vide l’inglese Neville Chamberlain ("In guerra non ci sono vincitori, ma sono tutti perdenti, qualunque parte affermi di aver vinto", sorge spontanea la riflessione su quanto avrebbero da imparare da questo linguaggio gli attuali leader mondiali - sulla carta eletti democraticamente - che sembrano affascinati da parole che potrebbe pronunciare chi scrive per lo sdegno che prova nel vedere innocenti, civili e militari, russi e ucraini morire per una malsana idea di potere, ma non chi governa il mondo, nel nome della democrazia, giustizia e libertà, con il fine preciso di rispettare la VITA), il tedesco Adolf Hitler, l’italiano Benito Mussolini e il francese Édouard Daladier accogliere tutte le richieste e delimitare il territorio della Cecoslovacchia.
A marzo del 1939 i soldati tedeschi occuparono l’intera Cecoslovacchia. Iniziò la resistenza armata cecoslovacca che raggiunse l’apice nel 1942 con l’uccisione di un gerarca nazista Heydrich, ma la repressione fu spietata e si ricorda il massacro di Lidice. Nel 1945 sempre Beneš costituì un governo provvisorio a Praga e accettò di cedere all’Unione Sovietica la Rutenia Carpatica; con le libere elezioni dell’anno successivo i comunisti ottennero la maggioranza relativa ed espressero il capo del governo, mentre Beneš diventava presidente della Repubblica. In piena ‘guerra fredda’ fra Est ed Ovest la Cecoslovacchia, pur avendovi aderito all’inizio, respinse il Piano Marshall e ciò diede la stura agli avvenimenti del febbraio del 1948.
Molti ministri non comunisti si dimisero dal governo, morì - ancor oggi non si sa come e perchè - il ministro degli esteri Masaryk, figlio del precedente presidente della repubblica, e, dopo qualche tentennamento, abbandonò anche Beneš. Agricoltura e industria furono collettivizzate e la Cecoslovacchia aderì al patto di Varsavia e al Comecon (“Consiglio di mutua assistenza economica” creato nel 1949 con l’adesione di Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Albania, Ungheria, Polonia, Romania e Bulgaria per coordinare e favorire lo sviluppo economico; in seguito aderì anche la Repubblica democratica tedesca - ha abbandonato nel 1990 - e paesi come il Vietnam, Cuba e la Mongolia. Con la crisi dei paesi socialisti dell’Est europeo, nel 1991, il Comecon è stato sciolto di comune accordo).
Nemmeno la morte di Stalin nel 1953 e la successiva destalinizzazione di Nikita Kruscëv, segretario del PCUS, riuscirono a far assorbire ai più giovani i rigori intollerabili di un sistema poliziesco e le continue, inspiegabili epurazioni organizzate in nome del partito comunista. Nel 1960 la Repubblica Socialista Cecoslovacca varò la sua terza costituzione e il volontario passaggio verso una società orientata al comunismo. Al potere andò Novotny, l’uomo forte del regime, ma intellettuali, studenti e nuovo ceto sociale si affidarono ad Alexander Dubçek che proponeva riforme ‘eccezionali’. Il politico cecoslovacco appena prese il posto di segretario del partito, subentrando allo stalinista Novotny, abolì la censura ed intraprese un percorso di rinnovamento e liberalizzazione, ma commise l’errore - per noi diritto sacrosanto ! - di volersi sganciare dal controllo dell’URSS.
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia, con la sola eccezione della Romania, invasero con i loro carri armati la Cecoslovacchia: questo racconta la storia, nella sostanza l’invasione fu russa che ‘comandava’ su tutto e tutti. Non solo la dirigenza del popolo invaso, ma lo stesso popolo fu compatto nel tentativo di opporsi all’invasore e resistette fino all’aprile del 1969, quando Gustav Husak prese il posto di Dubcek. Mosca instaurò la sua ben nota normalizzazione: processi politici a senso unico, specialmente nei riguardi dei militanti di Carta 77.
A gennaio del 1969 i giovani di tutto il mondo, anch’io fra loro, abbiamo testimoniato in silenzio per rendere omaggio al coraggio di cinque patrioti cecoslovacchi, due operai e tre studenti, che hanno immolato le loro vite per rivendicare il diritto di essere uomini liberi. Jan Palach fu il primo che, recatosi a Praga in piazza Venceslao, si cosparse il corpo di benzina e si diede fuoco con un accendino. Tre giorni dopo morirà, come tutti i suoi compagni, e il 25 gennaio per il suo funerale furono oltre mezzo milione di persone a sfilare pacificamente. Le autorità non consentirono che fosse tumulato nel cimitero degli eroi nazionali.
Chissà cosa faceva quel giorno del 1969 Wladimir Putin, lui che nato nel 1952 a Leningrado, oggi San Pietroburgo, l’anno prima aveva provato a farsi arruolare nel KGB? Putin nasce in una povera famiglia operaia e dopo una carriera perentoria sale al potere dopo Boris Eltsin nel 2000. Al suo quarto mandato che scadrà nel 2024, ottenuto con un consenso del 75%, si è imbattuto nella tornata elettorale dell’Ucraina che ha portato al successo nel 2019 Volodymyr Zelensky.
Il resto è storia recente che non sappiamo come andrà a finire.
Ormai tutto il mondo considera eroi non solo i morti innocenti che la presunta ragione di Putin costringe a morire all’interno delle proprie case, ma anche coloro in Russia che, pur comprendendo il rischio cui vanno incontro, manifestano contro l’ottuso modo di imporre il proprio volere di un capo che è fuori dalla storia e non ho detto dalla civiltà. Il dissenso di russi e ucraini famosi e meno noti è così evidente che molti si aspettano dai militari russi, eroi anch’essi, un atto di estremo coraggio che dia senso alla parola VITA. Un militare non spara mai su un civile, anche se a chiederglielo è il diretto superiore. L’autore di quel volume "Arcipelago Gulag", che resta pur sempre un documento agghiacciante sulla repressione di massa, ha cercato, senza riuscirci, di fare capire che fra capitalismo e socialismo vi è una terza via che porta alla libertà e al diritto alla VITA: "Non credo che la letteratura, nei confronti della società e dell’individuo, debba nascondere la verità o attenuarla. Nessuno può impedire che la VERITA’ si faccia strada, e per adempiere a questo compito sono pronto ad accettare anche la morte" (Solženicyn).
Presidente Putin lei che è un esperto di quella nobile arte che si chiama Judo saprà senz’altro che il fondatore di questa disciplina, tale Jigoro Kano, sentenziava: "La flessibilità può neutralizzare la forza bruta" e poi un altro di cui non ricordo le generalità "Quando qualcuno ti attacca, ti regala la sua forza. Per usufruire di questo dono devi sapere come riceverlo". Palach, senza essere esperto di arti marziali, ha sacrificato la sua vita e mi dicono che il PADRETERNO non ha ritenuto il suo suicidio tale da meritare l’inferno, lei non pensa che un suo nobile gesto possa far scaturire quella PACE cui aspirano le sue mogli, i suoi figli e mi dicono i suoi nipoti?
Ci pensi: la VITA merita il suo rispetto e lo meritano i morti, eroi che avrebbero fatto volentieri a meno di tale eroismo, perché i mali che lei ha provocato, mettendosi fuori della storia, non sono in grado di ricomprare neanche la vita di Wladimir Putin.
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