Ma don Tonino e San Francesco sarebbero andati a Kiev


FRANCESCO GRECO
- Devastato dal brutto male (“il drago”) che gli prosciugava ogni energia, don Tonino Bello trovò la forza di andare nei Balcani insanguinati, dove i fratelli non si riconoscevano più, alla testa di 500 pacifisti, “l’ONU di base, dei poveri”.
 
Parlò di pace ai serbi, ai croati e ai bosniaci, ai cattolici, ai musulmani e agli ortodossi. Perché ci sono valori universali, propri dell’uomo, del suo intimo dna, non soggetti a relativismi dai tempi, le religioni, le forme di governo, le mode, l’etica, la massa.
 
Le testimonianze di chi c’era - in primis il fratello Trifone - finite nel bel libro di Claudio Ragaini, “Don Tonino, fratello vescovo” (Edizioni Paoline, 2003), sono commoventi, struggenti: fan venire i brividi.
“Siamo entrati nel cuore della guerra – disse il vescovo nato nel 1935 ad Alessano, nel Leccese - e abbiamo sperimentato che ci sono alternative ai processi di militarizzazione, alle logiche delle armi, alle logiche della violenza. Ci sono alternative, sono chiarissime soprattutto perché abbiamo visto noi, gente povera in mezzo ai poveri del posto, questo anelito che si sprigiona dalle profondità della città” (“Molfetta live”).
 
Era l’11 dicembre 1992; il vescovo di Molfetta, Ruvo di Puglia,. Terlizzi e Giovinazzo, nonché presidente di Pax Christi – dal 25 novembre 2021 venerabile – sarebbe morto il 20 aprile 1993.
Estate 1229, San Francesco si imbarcò e si avventurò nel deserto egizio insanguinato attorno a Damietta (delta del Nilo) per tentare di ricomporre il conflitto fra Cristianesimo e Islam che noi abbiamo chiamato crociate (in realtà più complesso, polisemico).
 
Entrò nella tenda del sultano al-Malik-al-Kamil vestito di “un povero saio di lana non tinta, pieno di toppe e di strappi non rammendati…” (Avvenire.it). Il sultano lo ascoltò e lo rimandò con ricchi doni. Solo dieci anni dopo, nel 1229, sarebbe arrivata la politica (Federico II).
 
Don Tonino non era molto amato dalle porpore vaticane. Diciamo che lo tolleravano (era successo già a Padre Pio). Li folgorava con una battuta sottovoce: “Notai dello status quo”.
 
“Stola e grembiule,” il vescovo non era solo un uomo di parole ma anche d’azione. Non si fermava alle affermazioni di principio da abissi iperuranici, buone per lo stupore delle accademie, ma forse, memore della lezione di W. Reich (“E tu, come faresti?”) faceva politica nel senso più alto e nobile e azzardava ipotesi per combattere le disuguaglianze e dare dignità agli “ultimi”.
 
Anche San Francesco non era ben visto dall’aristocrazia da cui proveniva, aveva rifiutato lo status e i gadget. Nei poveri vedeva riflesso il Cristo in croce.
 
Don Tonino e San Francesco furono anche dei profeti, e i profeti hanno “visioni”, vedono più lontano di noi, sicuramente più in là dei politici, impaludati in miserie di opportunismi, carriere, benefit.
 
L’Ucraina chiede pace, noi mandiamo armi. Magari sono come i vaccini regalati alla Nigeria: scaduti. Abbiamo un’atavica vocazione alla menzogna e alla doppia morale. Gli arsenali sono pieni, dobbiamo svuotarli; intanto si svuotano anche i granai. Uno strano, distopico pacifismo da salotto tv: partigiani con la pelle altrui. Non vorremmo ammetterlo a noi stessi, ma un ispido pensiero vaga nell’aria: ci stiamo imbrattando le mani del sangue ucraino?
 
Per fermare la guerra c’è bisogno di diplomatici veri, talentuosi, anche spregiudicati, capaci di spingersi oltre ogni pantomima e scenografia, visto che sinora hanno fallito tutti, o perché collegati a interessi (realpolitik) o incapacità ontologiche.
 
La Santa Sede si è offerta sin dal primo minuto come interlocutore, ma sinora non è successo nulla. Un Papa populista, che da anni parla di migranti e di “ultimi”, senza però scendere nel merito e spiegare come combattere le diseguaglianze, restando a una scansione sociologica: il buon cuore degli uomini (Dostoevskij ci ha insegnato che non esiste, i “dèmoni”), che è come l’araba fenice: che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa.
 
Don Tonino il “politico”, che si sporcava le mani, era una spanna più avanti. Dopo tre settimane di sangue e dolore, la domanda nasce spontanea a mò di provocazione: caro Francesco, dopo essere stato da Fazio a confidare che da ragazzo volevi fare il macellaio (in Argentina è un’aspirazione diffusa), visto che vuole la pace ma se ne sta nelle sacre stanze circondato da cardinali impicciati in traffici finanziari e sessuali, perché non va a Kiev? Il sindaco della città lo ha chiesto espressamente (anche in videoconferenza).
 
Vero, abbiamo letto delle “tre azioni strategiche” in fieri, le interviste col Segretario di Stato Parolin, sinora però sterili, anche perché, più dei corridoi umanitari, l’obiettivo è far tacere le armi. Tonino e Francesco (forse, chissà, anche Wojtyla), vista la situazione, lo avrebbero già fatto…

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto