MILANO - È andato in onda nella puntata di ieri sera - 27 aprile - su “Le Iene” il monologo di Gianluca Grignani, in cui il cantante racconta, mettendosi a nudo, di qualcosa che si è lasciato alle spalle, rivolgendo anche un pensiero al futuro che lo attende.
La bottiglia di vodka volteggia nella mia mano lungo il soppalco della villa che si affaccia sulla collina di vigneti. Indosso una vestaglia blu. La sostanza è nascosta sapientemente in bagno: ogni tanto la vado a trovare, per non cedere a qualcosa che neanche io so cosa è. L’alcool non fa effetto, non mi calma. Sono solo. Lo spazio che separa il soppalco dal pavimento è come la caduta dalla cima dell’Everest al fondo della Fossa delle Marianne.
Il mio cervello srotola immagini e pensieri in quest’ordine: padre, madre, figli, lavoro, amici.
Mi sento cadere, ma il mio corpo è ancora lì. Fermo. Immobile.
Grido: “La mia vita per un motivo…aiuto!”
Questo è un episodio della mia vita, mi sono messo a nudo, vi ho raccontato quello che ho lasciato alle spalle. Spero così di aver guadagnato la vostra fiducia in quanto a sincerità .
Permettetemi quindi, ora, di dirvi quello che penso del futuro, partendo da una massima che è da un po’ che tenevo nel fondo di un cassetto: “Non date mai ad un poeta in mano una chitarra, vi racconterebbe quello che i poeti nascondono in fondo al fiume della tristezza e il resto del mondo potrebbe scambiarlo per un grido di guerra”.
Ecco questi siamo noi: il resto del mondo, confusi, influenzabili, incapaci di distinguere il bene dal male, passati anche attraverso una pandemia: alieni che non si riconoscono gli uni dagli altri.
Poi c’è la generazione Z, che io ho ribattezzato V, come vittoria. Quella che io identifico come la mano tesa al mio grido: “la mia vita per un motivo”.
Quelli che non hanno mai avuto bisogno dei libri perché hanno sempre avuto un computer, quelli che per loro è normale che il telefono faccia tutto tranne il caffè.
Loro, che vengono indicati come la generazione dispersa, che non ha radici, invece è la prima che non è stata educata al motto “mors tua vita mea”, che non crede che tutto sia lecito se la vittoria è di uno solo, se vince il più forte. È la generazione dell’inclusività , capace di rendere tutti uguali nelle differenze, la generazione del cambiamento, la mano del futuro.
E da musicista voglio immaginare per loro e per tutti noi un finale diverso di una canzone famosissima “Hotel California” degli Eagles.
In questo finale, anziché rimanere incastrati in un futuro senza immaginazione come nella versione originale, ci troveremo tutti, nessuno escluso, di nuovo nel deserto, liberi, ma con l’orizzonte davanti e con un inferno di fuoco ormai alle spalle.
Ecco il mio augurio: un finale diverso e non un miraggio, una nuova Hotel California.