Attenti a quei due: Chaplin e Churchill in riva al mare


FRANCESCO GRECO - Un progetto cinematografico a quattro mani? Una spregiudicata avventura finanziaria o l’immancabile complotto ebraico, dei Savi di Sion? Spremevano le loro meningi i reporter inglesi ma non riuscivano a capire di cosa parlassero i due illustri compatrioti quando le parabole delle loro schizofreniche esistenze riuscivano a incrociarsi, dandosi all’inizio del lei e in seguito del tu.

E non saremo certo noi a farlo ex abrupto, togliendo ai lettori il piacere di scoprirlo da soli. Due indizi però possiamo buttarli giù: si allearono per combattere il “cane nero” e Nietsche ne parla spesso e fu un espediente escogitato da Seneca, Van Gogh, Annibale, Jack London e tantissimi altri…

Due uomini abissalmente distanti come provenienza sociale e tendenze politiche (uno pensa al comunismo sol dell’avvenire, l’altro crede che Gandhi è solo un fachiro), ma che si vivevano l’uno il riflesso dell’altro, un transfert che intrigherebbe assai qualsiasi analista.

Ma l’argomento preferito delle loro conversazioni è, a ben vedere, solo una tattica, una password letteraria per raccontare due personalità forti che hanno segnato in profondità il Novecento. Le loro biografie assai complesse con tutti i chiaroscuri sono ripercorse da Michael Köhlmeier in “Due signori in riva al mare” (Lo strano incontro tra Chaplin e Churchill), Archinto editore, Milano 2021, pp. 240, € 24,00.

Due uomini inquieti, tormentati, uno cancelliere dello Scacchiere di Sua Maestà, (buona penna e con l’hobby della pittura), l’altro in quel momento l’uomo più famoso del mondo dopo le prime opere, sotto attacco del sistema mediatico-giudiziario (“Hollywood smaniosa di scandali”), che si raccontano le minuzie della vita, i ricordi dell’infanzia, le traversie quotidiane, con evidente complicità e condivisione intellettuale, anche per chiarirle a sé stessi.

Più distanti antropologicamente non avrebbero potuto essere: il regista e attore è figlio d’arte. Il padre era nel mondo dello spettacolo, ma senza ingaggi finisce nell’alcol che lo brucia a 38 anni: “Morto per l’Arte” è scritto sull’unica cor0na di fiori al suo funerale.

La madre è una ballerina con i capelli lunghi fino alle ginocchia. Anche lei senza fortuna: quando arriva un’altra più vistosa, detta “la sgargiante”, scivola dietro le quinte. E tuttavia non si perde d’animo e con mille acrobazie riesce a svezzare Charlie (fra un sottotetto e un orfanatrofio) e il fratello maggiore, Sydney, che diventerà il suo manager. La poetica del monello, del vagabondo, del circo è nell’infanzia del genio Chaplin.

Churchill invece nasce bene, infanzia con la bambinaia dalla forte personalità e grande immaginazione, molti giocattoli ma genitori freddi che lo mandano al college sbarazzandosene come fosse un importuno.

Si incontrano la prima volta nella primavera del 1927, a una festa a Santa Monica (California) nella villa sul Pacifico del miliardario William Randolph Hearst e la sua amante Marion Davies, invitati da Douglas e Mary Fairbank. Il regista è sotto processo per pedofilia, la sua United Artists sta fallendo, la stampa non risparmia colpi bassi: l’aria è densa dell’odore pesante del maccartismo. Si annoiano, così fanno una passeggiata sulla spiaggia dopo essersi rimboccati i calzoni e nonostante le scarpe di vernice. “Colloqui spassosi. Molto spassosi. Ma il loro spirito era tutt’altro che allegro”.

Scritto come un romanzo, dal ritmo evocativo e incalzante, senza sbavature né orpelli, lo si può leggere anche come il documento di un’epoca attraverso le vite sovrapposte di due uomini che si dicevano tutto sperando di esorcizzare le loro ansie e i loro dèmoni, o almeno di leggere più chiaro negli abissi del loro tempo e delle loro coscienze.

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