Doppio cognome. Qualche considerazione sulla recente sentenza della Corte Costituzionale. Si torna al soprannome?


VITTORIO POLITO
- La Corte Costituzionale, ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale sulle norme che regolano, nell’ordinamento italiano, l’attribuzione del cognome ai figli. In particolare, la Corte si è pronunciata sulla norma che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori, stabilendo in una recente sentenza, in relazione alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che, al figlio sarà attribuito il cognome di entrambi i genitori, nell’ordine da essi stabilito, a meno che decidano di dare un solo cognome. In mancanza di un accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, sarà il giudice, in conformità da quanto disposto dall’ordinamento giuridico o legislativo, ad intervenire, per definire gli aspetti legati alla decisione. La Corte ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. È compito del legislatore regolare ora tutti gli aspetti connessi alla presente decisione.

La recente norma ispira a tornare all’antico, quando mancava l’anagrafe della popolazione e la raccolta delle informazioni relative alle persone, su cui si registravano i nomi dei nati, ad utilizzare i soprannomi che si usava aggiungere al nome proprio, derivandolo generalmente dal nome di uno dei genitori, dal luogo di origine, dal mestiere esercitato, o da un appellativo equivalente, al moderno cognome, diverso, sotto certi aspetti, dal nome proprio e dal cognome, prendendo generalmente spunto da qualche caratteristica fisica o altro, con cui si usa chiamare per scherzo o per ingiuria una persona.

Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), nel suo volume “Storie e Patorie ovvero cenni sul folclore barese” (Adda Editore), sostiene che si sa con certezza che presso i Romani, ogni individuo di condizione libera possedeva un prenomen, un nomen, un cognomen e talvolta anche un agnonem o soprannome: il prenome era il nome individuale che ognuno aveva diverso dagli altri, salvo i casi di omonimia; il nome derivava dal gentilizio, il cognome designava la famiglia ed era comune a tutti i membri, l’agnome era un soprannome individuale, attribuito per qualche azione straordinaria o per particolari servizi a favore della comunità. Manlio Cortelazzo (1918-2009), linguista, già professore emerito dell’Università di Padova, uno dei massimi esperti in materia, autore di numerose pubblicazioni scientifiche sull’argomento, sosteneva che «I soprannomi costituiscono il nerbo dell’onomastica, la scienza dei nomi propri: ne accompagnano l’origine, l’evoluzione, i punti d’arrivo. Eppure sono guardati con sospetto e timore, perché sfuggono ad ogni tentativo di spiegazione razionalmente condotto». A Bari, ad esempio, nella città vecchia, esiste una via con il nome di “Roberto il Guiscardo”. In realtà egli si chiamava Roberto d’Altavilla, ma le sue vicende politiche lo portarono, tra l’altro, a circondare il Papa Nicolò II di ogni cura e rispetto, tanto che il pontefice nell’anno 1059 lo investì del titolo di Duca di Calabria e di Puglia per grazia di Dio e di S. Pietro. Si creava così una nuova situazione politica e giuridica nel Mezzogiorno d’Italia, che avrebbe avuto sviluppi di grande importanza storica nei secoli seguenti. Da queste vicende probabilmente il soprannome di “Guiscardo” (furbo, astuto). I nomi di guerra o di battaglia sono invece soprannomi usati nel tempo, soprattutto tra i marinai della Marina Sarda, nella quale era consuetudine per tutti gli imbarcati. Spesso sostituivano il nome vero per impedirne l’identificazione in caso di cattura, ma in generale per evitare l’eventuale omonimia. Con la fusione della Marina napoletana, pontificia e toscana con quella Sarda, il nome di guerra fu sostituito dal numero di matricola. Il soprannome nel mondo popolare barese ha tuttora un ruolo caratteristico ed è maggiormente diffuso tra gli abitanti della città vecchia, per designare una persona, un mestiere o un nucleo familiare di appartenenza, in particolare quando sono presenti molti omonimi.

Il soprannome nel mondo popolare barese ha tuttora un ruolo caratteristico ed è maggiormente diffuso tra gli abitanti della città vecchia, per designare una persona, un mestiere o un nucleo familiare di appartenenza, in particolare quando sono presenti molti omonimi, e Vito De Fano (1989-2011), noto poeta dialettale barese, non si è fatta sfuggire l’occasione per ricordare nei suoi versi qualche soprannome dei baresi.

NGOCCHE SOPANOME DE LE BARISE


di Vito De Fano

Mba Nòfrie u tèrte e don Mechele u ciùmme
nzjeme a Gnagnùdde e Cole mjenze core,
Fafuèche, Fattacciùcce e Cape de cchiùmme,
scèrene da Pasquale manad’ore

pe disce ca Gugù pjette a palùmme,
u figghie de Perchiùse u prefessòre
che Beccone, Brezànghe e mba Chelùmme,
Sparrèdde, Megnerùdde e Ciola gnore,

jèrene sciùte a case de Peddècchie,
u ziàne de Gnessè menza sciàbbue
e canate a Gelòreme quattècchie,

pe demannà percè ca u figghie scàbbue,
apparolàte a Rose mammalàgne,
mò spesàve la figghie de Zù Fagne?

E Peddècchie arraggiàte respennì:
Sciàte da Calandrjedde o Corighì,
ca chisse, amisce, no nzò… fatte mì.

 

Da Benàzze di V. De Fano, Schena Editore, Fasano (Br), 1986, pag. 25

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