Epitteto il resiliente

FRANCESCO GRECO - Più che la morte, gli stoici temevano una vita banale, mediocre, caratterizzata da modulazioni inespresse, sciupata nell’indifferenza, corrotta dalle paure, le fughe, le passioni spente, diremmo un’esistenza da vegetali. La virtù è ontologica al buon vivere, senza alcuna prospettiva che non sia l’etica del bene comune condivisa con i propri simili e la polis, la comunità d’appartenenza.

In fondo è la concezione che ne avevano i Greci sin dai primi passi del pensiero filosofico codificato, materialista, panteista, affatto preoccupati e men che mai consolati da visioni ultraterrene, tantomeno di premi da inseguire.

Nel primo secolo d.C., Epitteto rimodula i postulati fissati da Zenone e Crisippo, i “padri” dello stoicismo, quattro secoli prima. E lo fa mentre il Cristianesimo inizia a parlare di salvezza delle anime. Seneca lo aveva preso troppo alla lettera, accumulando ricchezze immense, che suscitarono la gelosia e l’invidia persino dell’imperatore Nerone.

Venti secoli dopo, non senza un filo di sottile ironia e di provocazione, contestualizzandolo nel relativismo della cultura occidentale in cui siamo tuttora immersi, Spengler chiosa: “i primi fra i Romani a consegnarsi al cristianesimo furono quelli che non potevano permettersi di fare gli stoici”. E Carlos Lévy, da parte sua, ridefinisce lo stoicismo come “una delle fonti permanenti più feconde del pensiero occidentale”.

Nell’Ottocento fu Leopardi a inciampare nel “Manuale” di Epitteto (un liberto frigio vissuto a Roma e scacciato da Diocleziano in un clima da caccia alle streghe), con la traduzione dal greco (a fronte) riproposta nel 2021 da Nino Aragno editore di Torino in “Enchiridion”, pp. 138, € 13,00, con un bel contrappunto di Giuseppe Raciti che decodifica il testo nelle mille e passa sedimentazioni e contaminazioni di cui è stato oggetto nel tempo. E che ha il valore di una bella lectio magistralis tanto magmatica è la bibliografia cui fa ricorso e della cui cernita gli siamo grati.

“L’esercizio della filosofia stoica – ci dice fra l’altro in prefazione il vate di Recanati – non si confaccia se non solamente agli spiriti virili e gagliardi oltremisura“.

Di nostro noi sic stantibus – dopo aver messo in risalto la straordinaria modernità e freschezza del testo che fu trascritto da Arriano - possiamo operare arbitrariamente un transfert portando al nostro tempo confuso e folle la lezione stoica fra pandemie e guerre.

Ma forse è solo un gioco di società, di elzeviri e terze pagine: un divertissment in attesa che, rileggendo Epitteto, riusciamo a metterci alle spalle la nuttata. In fondo Eduardo non era forse un pò stoico e resiliente anche lui quando parlava con i suoi fantasmi?

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