Medici legali nelle emergenze umanitarie, l’appello di SIMLA: “Occorre un network europeo di specialisti”

BARI - “La medicina legale ha una vocazione umanitaria perché sta sempre dalla parte delle vittime. È fondamentale negli scenari di guerra e, più in generale, in tutte le situazioni di crisi e di catastrofi umanitarie”. A definire il contesto di riferimento di una delle sessioni più attese del 45° Congresso SIMLA che si sta svolgendo in questi giorni a Bari, è la professoressa Antonella Argo, vicepresidente SIMLA e ordinario di Medicina Legale dell’Università di Palermo, che ha coordinato la tavola rotonda “La medicina legale in tempi di guerra e disastri”, presieduta dal professore Franco Introna. Si è anche discusso di “Valutazione della sofferenza correlata e della personalizzazione del danno alla persona”, sessione presieduta dai professori Alessandro Dell’Erba, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Bari, e Riccardo Zoja, past President SIMLA e ordinario di Medicina Legale all’Università di Milano. A introdurre i temi della sessione è stato il dott. Franco Marozzi, vicepresidente e responsabile della comunicazione di SIMLA: “Affrontiamo la problematica relativa a quello che va al di là del danno biologico inteso dal punto di vista valutativo medico legale e quindi degli aspetti che interessano precipuamente la sofferenza morale. L’attività medico legale dovrebbe interessarsi anche del tema della sofferenza relata alla menomanzione e a questioni relative all’influenza del danno biologico sull’attitudine lavorativa senza che questa interessi il patrimonio del soggetto offeso”.

“Operiamo da decenni ormai su terreni delicati e rischiosi – sottolinea il professore Introna, presidente SIMLA, ordinario di Medicina Legale dell’Università “Aldo Moro” di Bari –, dal lavoro sul riconoscimento dei migranti morti nel Mediterraneo all'esperienza in altri teatri di guerra, fino ai disastri naturali. Noi medici legali non ci siamo mai tirati indietro di fronte alle condizioni più avverse, consapevoli del nostro ruolo e della cura che si richiede alla nostra professione nel trattamento di informazioni preziose e fondamentali”.


I teatri di guerra vanno immaginati, in questo senso, come scene del crimine che meritano appunto un trattamento adeguato. Aspetti che riguardano da vicino la tragica vicenda del conflitto in corso, a partire dalla strage di Butcha dove proprio le autopsie dei medici forensi ucraini hanno fornito elementi indispensabili per appurare responsabilità e tipologia di violenze commesse. Pertanto, le misure reali delle circostanze di un conflitto “hanno una rilevanza tutt’altro che formale - precisa l’eurodeputata Luisa Regimenti, delegata SIMLA al parlamento UE -, perché sono indispensabili nella determinazione di azioni di risposta, sostegno, ma soprattutto, e lo esprimo sulla scorta della mia ‘seconda’ professione, deputata europea, delle decisioni politiche da adottare”.

Solo le valutazioni degli specialisti medico-legali, proprio per la loro metodologia, fornirebbero quegli elementi necessari all’Unione Europea e ai paesi membri quando adottano sanzioni economiche in capo a paesi aggressori, perché è necessario che possano contrare su dati certi derivanti da indagini affidabili e tecniche. Per queste ragioni, si propone la creazione di una ‘task force’ europea di medici legali che “potrebbe essere basata su una sorta di istituto ‘virtuale’ - conclude -, col compito di istituire e mantenere rapporti duraturi e saldi tra i diversi partner coinvolti, e una vera e propria dirigenza con responsabilità per le decisioni strategiche, consentendo la condivisione delle competenze”.

Il ruolo dei medici legali nelle grandi catastrofi umanitarie è stato al centro anche dell’incontro “I cadaveri senza nome: aspetti politico-sociali”, presieduto dalla professoressa Cristina Cattaneo, consigliere SIMLA e ordinario di Medicina Legale all’Università di Milano, e dal professore Vincenzo Lorenzo Pascali, ordinario di Medicina Legale all’Università del Sacro Cuore di Roma.

La professoressa Cattaneo, una delle scienziate forensi più riconosciute a livello internazionale, lavora da anni per dare un nome e un cognome a migliaia di cadaveri di migranti deceduti nel Mediterraneo e sepolti nei cimiteri europei senza riferimenti anagrafici. Nei mesi scorsi ha consegnato al Parlamento Europeo la proposta di avviare un progetto di collaborazione tramite la condivisione delle banche dati europee dei morti senza nome nel Mediterraneo e la creazione di strutture dedicate alle interviste dei parenti degli scomparsi che potranno fornire informazioni determinanti nell’identificazione.

“In questo periodo - sottolinea la docente -, stiamo affrontando la più grande catastrofe umanitaria del nostro tempo che è la migrazione. Dagli anni duemila, ci sono stati circa 40 mila morti nel Mediterraneo e una parte consistente rimane tuttora senza identificazione”. La responsabilità di questi volti senza identità impone una riflessione all’Europa, visto che, ad oggi, “non è stato attivato nessun sistema europeo di identificazione, a parte qualche sporadico tentativo di organizzazioni non governative (ONG), di gruppi isolati di equipe universitarie o tramite stanziamenti limitati dei singoli governi”.

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