A 161 anni dalla morte di Cavour possibile non vi sia un ‘tessitore’ di pace?


LIVALCA -
Il 6 giugno del 1861 alle sette, assistito dalla nipote marchesa Giuseppina Alfieri e da padre Giacomo accorso con l’olio santo, moriva in Torino Camillo Benso conte di Cavour. Non aveva compiuto ancora 51 anni, infatti era nato, sempre a Torino, il 10 agosto del 1810. Si racconta che le sue ultime parole siano state “Libera chiesa in libero stato”: affermazione che ci aiuta ad identificarlo da sempre ma che si deve in realtà al politico-scrittore Charles-Forbes-René conte di Montalembert (Londra 1810-Parigi 1870), la cui ‘disinvolta’ esistenza fu oggetto di censure ecclesiastiche e che portò Pio IX a condannare le sue posizioni nell’enciclica ‘Quanta cura’ del 1864.

La morte di Cavour potrebbe rientrare in uno dei tanti casi di ‘malasanità’, non certo per negligenza ma per inadeguatezza, forse, dei medici che lo ebbero in cura. Pensate il Times di Londra affermò testualmente che gli italiani avrebbero voluto ‘strangolare’ il personale sanitario che aveva in cura Cavour e parlò senza perifrasi di assassinio. In verità l’uomo che nella stazione climatica di Plombières mise a punto le linee della nostra nazione fu curato in maniera non confacente alle sue condizioni: una settimana prima di morire fu sottoposto nella stessa giornata a tre salassi, in seguito un primario decise di somministrargli una soluzione di solfato di chinino in pillola, ma pare che gli fu impartita liquida e il paziente la rimise più volte.

Comunque sia andata, una verità resta indelebile: il fisico di Cavour era provato per la critica - dai cronisti dell’epoca definita ingiuriosa e faziosa - cui era stato fatto segno da Garibaldi che, in un intervento alla Camera il 18 aprile del 1961, lo accusava di aver ‘venduto’ alla Francia Nizza, suo luogo natio.

Cavour probabilmente rimase incredulo non solo nel vedersi biasimato, ma soprattutto perché si rendeva conto come fosse difficile spiegare ad un uomo d’azione le complesse manovre per giungere alla soluzione di qualsiasi problema pensando a salvare, anche, vite umane.

Un politico di razza - Cavour lo era nel senso più nobile del termine - che non a caso affermava “il re regna, ma non governa”, “ il re in questo momento sono io” e in una lettera a d’Azeglio, quando il governo da questi presieduto cadde e Cavour, il 3 novembre del 1852, assunse la presidenza del Consiglio scrisse: «Tu conosci il nostro sistema: conservatori liberali all’interno e italianissimi fino al massimo possibile all’esterno».

Garibaldi era risentito con Cavour perché riteneva che quel 26 ottobre del 1860 a Teano aveva dovuto subire un qualcosa che aveva limitato la sua ‘gloria’, dimenticando che, coloro che stavano dietro le quinte, annotarono argutamente “Cavour ha preso con una fava due piccioni: Garibaldi e il Papa”.

Spiegare a Garibaldi il perché Nizza e Savoia andavano sacrificate in una visione più globale di tutta la questione italiana non era impresa facile, anche se i plebisciti, poi, avvalorarono la politica di Cavour. Si racconta che l’abile Cavour quando fu legittimato tutto il passaggio, con il rappresentante francese, esclamò “ Adesso non le sembra, barone, che siamo complici?”. Fortuna volle che non ci fosse nessuna… televisione a far da cassa di risonanza, altrimenti la piazza si sarebbe schierata con Garibaldi.

Ritornando a quel 18 aprile 1861 in cui l’intervento di Garibaldi - che non dimentichiamo faceva parte del consesso anche grazie alla tela tessuta da Cavour - da deputato poteva essere ‘libero’ e spontaneo (anche offensivo, direi) perché era nata un’Italia libera. Cavour, che era uno dei pochi consapevoli che con quel comportamento aveva evitato non solo morti ma sangue innocente e non concepibile fra fratelli, non ebbe però la forza e il coraggio necessari per opporre fatti concreti e storici alla baldanza di Giuseppe: si limitò, addolorato, a testimoniargli che comprendeva il suo dolore ed amore di patria verso Nizza (ora un Garibaldi giramondo viene difficile immaginarlo nostalgico del suo luogo nativo… inoltre quando, dopo Teano, si ritirò a Caprera salì a bordo di un palischermo - tipo di grossa imbarcazione - carico di maccheroni, stoccafisso, zucchero, caffè, e qualche migliaio di lire).

Ora non vorrei che qualcuno interpretasse, la mia affinità d’intenti con Cavour, un fatto di mera casta o attribuirgli indirizzi politici assolutamente inesistenti: raffinata per il conte, plebea per il nostro eroe; educazione in collegio contro quella partorita per mare; schemi classici per la nobiltà, di ribellione, anche giusta, verso tutti per il comandante del piroscafo Piemonte; uno patriota, imprenditore e rappresentante della destra storica, l’altro patriota, condottiero ed eroe dei due mondi (la cifra patriota li accomuna, anzi ci accomuna).

In sostanza dietro ogni atto eroico - quello che serve alla folla per creare ‘miti’ umani - vi è sempre un tessitore che deve operare in modo che le cose procedano per il bene di tutti, e ciò vale anche per la ‘pace’…che difficilmente si può vendere o acquistare, ma è frutto quasi sempre di compromessi.

Quando Francia e Inghilterra chiesero al Piemonte di affiancarli nella guerra di Crimea - ritengo che Vittorio Emanuele II aderisse solo perché aveva capito che Cavour aveva doti che producevano risultati non ‘visibili’ da tutti… ma ‘a lunga gittata’ - il ministro degli esteri Damormida si dimise a gennaio del 1855 e fu sostituito da Cavour che fece sua la volontà del re… che poi era la sua ‘idea’.

In quell’occasione il deputato politico astigiano Angelo Brofferio, esponente della sinistra costituzionale, da sempre fiero oppositore di Cavour, profferì la frase passata alla storia: «L’alleanza economicamente è una grande leggerezza, militarmente una grande follia, politicamente una cattiva azione» (Forse la guerra si faceva, anche, per privare la potenza russa - guarda che caso sempre la Russia - di percorrere le strade del Mediterraneo…).

Cavour inviò un contingente di 15.000 uomini - distintosi il 16 agosto del 1855 nella battaglia della Cernaia - che ci consentì, terminate le ostilità, di sederci, a Parigi il 25 febbraio del 1856 al tavolo dei vincitori, sul piano di perfetta parità con gli altri paesi.

Anche la polvere se ammucchiata può diventare montagna e scongiurare conflitti o scontri più ‘rovinosi’. Cavour era l’uomo che citava Proudhon «Datemi l’imposta progressiva e vi cedo la proprietà» (…certo proprio il filosofo francese che altri, in seguito, hanno ‘rispolverato’); l’uomo che fece balzare il debito pubblico dai circa cento milioni del 1847 ai 700 e passa del 1859, impegnandosi ad incrementare attività produttive e opere pubbliche; l’uomo che ha cercato in tutti i modi di trovare soluzioni con il papato e perciò aveva avviato trattative con Pio IX e il cardinale Antonelli per un accordo e, senza esitazioni, scriveva: «Santo Padre, il potere temporale per Voi non è più garanzia d’indipendenza; rinunziate ad esso e noi vi daremo quella libertà che avete invano chiesta da tre secoli a tutte le grandi potenze cattoliche; di questa libertà voi avete cercato strappare alcune porzioni per mezzo di concordati, con cui voi, o Santo Padre, eravate costretto a concedere dei privilegi, anzi peggio, l’uso delle armi spirituali alle potenze temporali che vi concedevano un poco di libertà. Ebbene quello che voi non avete potuto ottenere da quelle potenze che si vantavano di essere vostre alleate e vostri figli devoti, noi veniamo ad offrirvelo in tutta la sua pienezza, pronti a proclamare nell’Italia questo grande principio: “Libera Chiesa in libero Stato”».

Le cose andarono diversamente per cui, il 27 marzo del 1861 alla Camera, Roma venne proclamata ‘capitale acclamata dall’opinione pubblica nazionale’.

Forse Livalca vuol dimostrare, con queste errabonde e frammentarie notizie, che come diceva Erasmo da Rotterdam «La guerra è sopportabile per coloro che la vivono da lontano»? Anche se così fosse, sarebbe un motivo più che valido per farla tacere.

Umilmente affermo che in questo momento storico la diplomazia mondiale necessita di persone che curino poco la propria immagine personale e molto l’interesse dell’intera globale umanità. Viaggi o iniziative eclatanti e mal concilianti servono poco; viaggi di ‘lavoro’ in prima classe per il bene del prossimo devono essere accantonati: certo quando tutto sarà finito probabilmente diremo grazie a chi è solo l’ultimo anello di una complessa catena e non sarà mai citato e ricordato in nessun libro o articolo. La stessa cosa è stata alla fine del secolo scorso per i tanti artigiani e piccoli industriali che con un lavoro pazzo ed appassionato hanno consentito a loro e al PAESE di togliersi gli ‘stracci’ ed indossare gli abiti di stilisti che, mentre prima lavoravano per dieci individui, poi si sono centuplicati all’infinito. A questa gente nessuno dirà grazie: hanno sacrificato la loro esistenza, perdendo anni che non torneranno più, ma hanno una ‘dignità’ che li rendeva e li rende capaci di ogni silenzioso sacrificio, privazione che derivava dal loro onesto sudore e non da quello del vicino: malattia che continuiamo a non curare con le giuste medicine.

Per invocare una trattativa di pace cedendo e trattando pensiamo a quella frase di Wilde «Non basta che un uomo sia morto per un’idea a provarne la verità» e quando pensiamo al popolo russo ricordiamoci che non mancano gli uomini liberi, ma la libertà di poterlo testimoniare. Il dramma di tutta questa storia è che il popolo russo (o perlomeno una parte che non sapremo mai se ampia o esigua) non avendo metabolizzato il reale concetto di libertà, ritiene giusto poterla togliere agli altri.

Senza voler fare la morale a nessuno, reputo che molti potenti del mondo abbiano interpretato male la frase di Pirandello: « Sapete cosa significa amare l’umanità? Significa soltanto questo: essere contenti di noi stessi. Quando uno è contento di se stesso, ama l’umanità». E’ difficile valutare in Pirandello il suo sottile umorismo quando affermava che è più semplice essere un eroe che un galantuomo, per cui mi limito a far presente, ai tanti Cavour in attesa di essere precettati, che non sempre “Così è” va accettato. Vi pare?