I giochi della memoria in dialetto barese


TERESA GENTILE -
Anche se datato (2006), il testo “Cape o Croce?” (Levante editori), è davvero uno scrigno interessante e suadente. Il libro è impreziosito dalla presentazione del giornalista e scrittore Vittorio Polito, dalla postfazione della scrittrice Paola Rampini, dalle significative e artistiche illustrazioni grafiche realizzate per ogni gioco da Fausto Bianchi che ha saputo mirabilmente coniugare tradizione e modernità.

Sfogliando il testo leggiamo notizie relative a 70 giochi illustrati sottratti all’oblio, scritti in dialetto barese con agile e suadente sintesi in lingua italiana a fronte. Essi sono giochi di velocità, osservazione, agilità e attenzione che richiedevano molto impegno… per non dover poi pagare un pegno (es. pronunciare l’alfabeto in senso inverso, dire uno scioglilingua, prendere un fazzoletto da terra con la bocca tenendo le braccia incrociate dietro la schiena, ecc.). Non mancano poi giochi che avevano una sorta di magia, come “Gigino e Gigetto” e altri che richiedevano fantasia (es. manipolazione di Scooby-Doo o scatole magiche). Ci sono poi giochi per i più piccoli: i girotondi, batti batti le manine, Madama Dorè, Regina reginella, ecc., quelli più adatti per i ragazzi (cavallina, freccia, fionda, lo schiaffo, ecc.) e quelli per le ragazze (bambole, cucina, campana). Erano giochi capaci di cancellare distanze sociali, lingue, differenze etniche. I bambini che non partecipavano ai giochi evidenziavano un difetto cognitivo innato o malattie mentali.

I giochi sono stati rintracciati in modo davvero certosino dall’instancabile autore Felice Alloggio, che è uno scrittore e commediografo profondamente innamorato della parlata popolare barese ed è per questo che quando la utilizza manifesta una avvincente e delicata sensibilità degna di un poeta, rintracciando il suo io bambino e facendo riavvertire anche a chi legge le sue pagine echi della propria infanzia. Quindi ci parla di un tempo incantato in cui noi non eravamo costretti a isolarci con il computer o playstation o internet o giochi preconfezionati… ricchi di immagini mostruose, violente e di sagome che invitano a lanciare coltelli o fare scommesse con la morte... per colmare le nostre solitudini o il vuoto dato dall’assenza dei genitori assillati dalla… fuga di un tempo sfuggente e dall’accumularsi di impegni e, a loro volta schiavi, se presenti dei messaggi facebook che sottraggono oggi tempo per il dialogo intergenerazionale sereno, costruttivo e ricco di saggezza e annullano ogni reale comunicazione umana intersoggettiva condannando a uno snervante isolamento e alla fragilità caratteriale e decisionale e quindi a impulsi isterici, rabbiosi e sempre più violenti e volti a schernire, beffeggiare, ridere alle spalle dei più deboli e indifesi evidenziando una non realizzazione personale e tanta fragilità non presenti invece in coloro che sanno prendersi cura responsabile di se stessi, degli altri e anche di madre natura. Ma noi, ragazzi, avevamo tempo per poter godere e apprezzare le bellezze del mondo e della vita pur essendo figli di povera gente (netturbini, barbieri ecc.), avevamo sguardi non biechi e odiosi ma buoni, sereni limpidi e ci cibavamo anche di friselle e fichi secchi profumati di limone e conservati nei “capasoni”.


Potevano giocare, ridere, rincorrerci, cantare, esplorare e i giochi che facevamo li ereditavamo dagli anziani e influenzavano potenzialità culturali, riflessione, creatività, fantasia acuendo il senso della libertà e spesso ci consentivano di scoprire i semi del lavoro che avremmo fatto da adulti... Ci sentivamo protetti non solo dalla famiglia ma anche dalla società che ci dava delle regole di condotta. Avevamo vicini papà, nonni o zii o fratelli maggiori o amici artigiani pronti a ritagliare pezzi di legno, incollare, fissare chiodi a improvvisati carretti, gonfiare o riparare palloni e fare burattini semoventi. In più vivevamo all’aria aperta, facevamo giochi di strada che ci servivano per socializzare, superare le nostre fragilità, esplorare, osservare, divertirci, correre nei vicoli. Sostavamo incuriositi accanto alle botteghe artigiane, potevamo fare giochi bellissimi anche nei giardini pubblici tenuti molto bene da giardinieri-artisti esperti in arte topiaria e che in ogni stagione sapevano far sbucare dalla terra fiori dai colori meravigliosi e foggiavano, da veri maghi, i cespugli di bosso facendo apparire nanetti o anfore o aquile pronte a spiccare il volo.

Erano tempi in cui non c’era ricchezza di giochi elettronici costosi ma spesso noiosi nella loro ripetitività ma ci bastava un po’ di fantasia , unita alla sapienza delle mani nostre e degli anziani per accendere il nostro entusiasmo, alimentare in noi il desiderio di poter utilizzare anche pietre o pezzi di legno per trasformarli come per magia in animaletti buffi, con pochi tratti di colore o in carretti o in pinocchietti che con elastici sapientemente disposti potevano muoversi dando vita a originali burattini. Senza saperlo… non avevamo ancora accanto gli odierni mostri tecnologici, che, se non bene utilizzati possono essere molto pericolosi ed… eravamo davvero felici nel pianeta dei giochi ereditati da popoli antichi (palla, mosca cieca, monopattini, monete, cerchi, archi, fionde tiro alla fune, altalena, trottola ecc.), e con l’improvvisazione imparavamo ad acuire la nostra capacità di vivere la realtà, conoscere la nostra vera essenza, scoprire le nostre curiosità, i nostri sogni, i nostri talenti. Si trattava quindi di giochi che traevano humus vitale dal passato, e ci facevano crescere in progettualità e fantasia consentendoci di vivere gli spazi presenti nei vicoli o nei condomini incentivando fantasia, creatività, intuito, capacità di dialogo e progettualità. È cosa magica, oggi, poterli rintracciare in uno splendido testo e poter rivivere belle e liete atmosfere ricche di amicizia, sana allegria e libertà.

(Felice Alloggio)
GRAZIE Felice Alloggio per consentire anche ai nostri figli e nipoti di avere questa preziosa eredità di giochi recuperati dalla memoria e scritti in dialetto barese con relativa sintesi in lingua italiana. Non dimenticare radici identitarie sempre e comunque… porta a ripensare con più responsabilità alla nostra vera essenza e, recuperare giochi del passato, aiuta a divenire più degni della nostra umanità.

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