VITTORIO POLITO – Il maiale (detto anche porco), è forse un nome derivante da Maia, personaggio della mitologia greca, madre del dio Ermes (Mercurio). Corpo tozzo e testa grande è allevato per l’ottima carne e per i prodotti secondari che si ricavano. L’appellativo porco è riferito anche a chi pensa solo a mangiare e a stare in ozio, ad un individuo eccessivamente grasso e flaccido, a colui che si lava di rado. Frequente la similitudine con persona a cui si attribuiscono caratteristiche ritenute proprie di questo animale: persona sudicia, ingorda, indolente, oppure immorale, viziosa, sboccata nel parlare.
In Cina, il maiale è l’ultimo dei dodici segni zodiacali. Le persone nate sotto questo segno, pare siano diligenti e rette, quindi ottengono facilmente la fiducia altrui. Offrono facilmente una mano agli altri, rimanendo così buoni amici. Anche il forte senso di responsabilità fa sì che il le persone nate sotto il segno del maiale non risparmiano le fatiche sul lavoro.
Il maiale che noi consideriamo il simbolo della sporcizia, nella cultura antica era spesso simbolo della fecondità e del benessere. Nei misteri greci il maiale rappresentava l’offerta sacrificale alla dea Demetra, una divinità della religione greca, figlia di Crono e Rea, che presiedeva la natura, i raccolti e le messi.
Per maiale s’intende anche il mezzo d’assalto, usato dalla Marina militare italiana nella seconda guerra mondiale.
Il maiale, per la superstizione, è collegato alla sporcizia e alle cose più basse, infatti, in senso figurato, evidenzia una persona con la passione per le cose peggiori e immonde. Gli egizi sacrificavano il maiale solo nel plenilunio e lo mangiavano solo in quel giorno.
In Scozia se si pronuncia la parola “porco” si provoca una pronta reazione in chi l’ascolta e si cerca subito un pezzo di ferro e gridare “Ferro ferro!”.
Nella simbologia cristiana il maiale è associato a Sant’Antonio Abate, con il bastone a T, tau, 19ª lettera dell’alfabeto greco, e un maiale. Cosa c’entra il maiale, che per i cristiani era simbolo del male? Secondo gli studiosi all’inizio si trattava di un cinghiale, attributo del dio celtico Lug, dio del gioco e della divinazione, venerato in Gallia a cui erano consacrati cinghiali e maiali. Gli stessi sacerdoti venivano chiamati “Grandi Cinghiali Bianchi”, mentre il dio Lug regnava anche sugli inferi. In realtà il maiale rappresenta simbolicamente il maligno e le seduzioni che i piaceri della carne provocano.
Vito Lozito (1943-2004), nel suo volume “Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante Editori), fa una esauriente descrizione di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, morto ultracentenario nel 356. Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggio nel tempo, da Alessandria a Costantinopoli, fino in Francia nell’XI secolo a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore. In questo luogo per venerarne le reliquie, affluivano folle di malati, soprattutto di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala, usata all’epoca per fare il pane. In epoche successive si adoperò il grasso di maiale che, posto sull’immaginetta del Santo, veniva portato dai monaci all’ammalato e usato per guarire le ferite del “fuoco sacro”. In questo modo era completa la figura di Sant’Antonio Abate, padrone del fuoco, vittorioso sulle tentazioni del demonio, del male e protettore del maiale.
La storia di Sant’Antonio Abate è stata oggetto anche di una tesi di laurea in “Storia delle tradizioni popolari” di Isabella Battista (relatrice prof.ssa Anna Maria Tripputi), nella quale la laureanda fa un’ampia disamina della storia di Sant’Antonio Abate nella tradizione popolare barese tra agiografia, iconografia, culto, tradizioni, ecc., completata da interviste e corredo fotografico. Battista nella sua tesi narra anche della Chiesa sul “Fortino” di Bari, le cui prime notizie risalgono al 1226, ove fino a qualche anno fa il Rettore della Basilica di San Nicola, officiava la benedizione degli animali.
Per gli affezionati al gioco del lotto, i numeri da giocare relativi a Sant’Antonio Abate sono: 4 il porco, 17 Sant’Antonio Abate, 81 il campanello, 8 il fuoco e 20 la festa. E buona fortuna!
I proverbi
Il maiale impara presto la strada del pero. Le pere sono i frutti dei quali il maiale è ghiotto. Non occorre spiegare alla gente quello che impara subito da sola, vale a dire come conseguire il proprio vantaggio.
Un bel maiale è un bel vedere. Spesso si ammira come bello l’utile e il vantaggioso. Si valuta qualcosa non tanto per come è, quanto per quello che se ne può ricavare.
Per avere il lardo bisogna ammazzare il maiale. Per avere un vantaggio bisogna fare un sacrificio, rinunciare a qualche utile.
Il porco senza scienza delle ghiande ha conoscenza. In fatto di conoscenza delle ghiande si può dire che il maiale sia un’autorità.
Chi ammazza il maiale e la gallina non chiede consiglio alla vicina. In campagna quando si festeggiava qualche evento si cercava di farlo con riservatezza per evitare che venissero a bussare alla porta sbafatori e questuanti. Chi ha un’occasione favorevole di qualche tipo non va a dirlo troppo in giro.
Ai peggiori porci vanno le migliori pere. La roba migliore va a coloro che non la sanno apprezzare, la sciupano, la disprezzano.
Il porco è un salvadanaio. Tutti gli avanzi che si mettono nel suo trogolo si ritrovano poi trasformati in salsicce, salumi, pancetta… come se si trattasse di un salvadanaio.
Curiosità
Cesare Palumbo, napoletano, laureato in Lettere Moderne, con la tesi in sociologia: “Prostitute, morale e religione”, ottiene con il prof. Franco Ferrarotti il massimo dei voti e la lode, ma rifiuta la pubblicazione del lavoro per non essere denunciato, secondo lui, per incitamento intellettuale alla prostituzione.
Per vendicarsi della sua malasorte (specie economica) rinuncia alla carriera universitaria, ma non a quella di docente negli istituti superiori, e continua a svolgere il lavoro tra i giovani, tenendo in particolar modo al suo impegno di Porco-Pensante-Peripatetico, ricambiato dai suoi allievi con affetto ed entusiasmo. Autore del libro “Così parlò il Porco di Sant’Antonio Abate”, (Levante).
Il testo vuole essere la storia a frammenti di come un porco, suo malgrado, riuscì a diventare uomo attraverso almeno uno dei seguenti stadi: quello della cognizione, del sogno e della preghiera.
Un libro dell’ottimismo: comico, satirico, di goliardica e profonda riflessione. Prende atto che l’uomo è accerchiato dalla materia, ma gli riconosce la capacità di sfondarla e svuotarla del suo peso tragico, per andare al di là di essa e riappropriarsi di quello che gli manca. Insomma una serie di spiritosi grugniti, detti aforismi, dell’animale più antico del mondo. Qualche esempio: «In Italia la scuola privata è una scusa per far soldi. La pubblica, o statale, è una scusa per darli; Il Fisco ermafrodita disse al proprio amante contribuente: “Finché respiri ti succhio”».