BARI - «Trent’anni fa, in un pomeriggio di luglio, in via D’Amelio, la mafia uccideva il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. A meno di due mesi di distanza dalla strage di Capaci, l’Italia si riscopriva fragile, contro un nemico che sembrava invisibile ma fortissimo. Un momento davvero buio per tutto il Paese. I cittadini, in quell’estate del 1992, hanno capito che la mafia va combattuta con tutte le armi possibili, e che chi la combatte non deve essere lasciato solo. Borsellino diceva: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”. E proprio sui giovani dobbiamo continuare a lavorare, per far sì che la mafia non sia mai vista come una alternativa, ma solo come una strada da non seguire. Il mio pensiero oggi va non solo a Paolo Borsellino e alla sua famiglia, ma anche agli agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina e a tutte le vittime di mafia. Nella speranza di arrivare un giorno a non dover più celebrare giornate come questa»: così il deputato Pd Marco Lacarra nel trentennale della strage di via D’Amelio.
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