FRANCESCO GRECO - “Con tutto quello che c’è ancora da fare / Passano il tempo a cinguettare”.
La Peronòspera è una malattia della vite ma anche una solare allegoria. Uno stato d’animo, una filosofia di vita, una sensibilità estrema con cui si coglie il tragico irrompere della bruttezza e della corruzione del paesaggio, il mondo, la coscienza, un popolo, un uomo.
“Mentre sto mondo va i fottìo / Se giocano a carte er culo mio”.
Fu la prima “filosofia” artistica del busker pugliese Umberto Papadia, che ne fece un concept musicale di successo. Correva l’anno di disgrazia 2010 e il paesaggio di Terra d’Otranto (Umberto è nato nel Salento meridionale, Alessano, è figlio di Gigi e Luigia, le belle persone dell’altro secolo) cominciava a scolorare nel grigio causa xylella, una lebbra dalle infinite letture.
“Siamo in mano a senatori / Che governano ascensori”.
L’artista colse la devastante tragedia di una terra e un popolo per cui una pianta di ulivo che muore è un lutto senza possibilità di elaborazione e negli angoli del Salento più compromessi prese a scrivere con lo spray la parola “Peronòspera”.
“Sali e scendi che pretendi / Di risolvere il G20?”.
Il dolore per quello che stava succedendo divenne un progetto musicale che U’ Papadia portò in giro per l’Italia informando la gente del dramma che viveva, e vive tuttora, la Puglia.
“Si è otturato il lavandino / Non ho preso il cappuccino”.
Nel 2014 altro progetto, titolo: “Razza Ommu” e nel 2020, inevitabile, “La Pandemia!!”. E poi il singolo “Pedo de Vaca”, trasmesso da radio e piattaforme musicali e che per i critici potrebbe essere il tormentone dell’estate 2022 (cercatela in rete, vi sorprenderà).
“Non ho i soldi per la mensa / Non resisto alla tua assenza”.
Il cantautore folk-rock è appena tornato da Roma, dove vive stabilmente. Si è chiusa la sua stagione da busker nelle piazze della Città Eterna: era partita il 7 febbraio e ha prodotto 72 performance di durata media 150 minuti (cioè, 72 concerti veri).
Ironico com’è nell’uomo e nel personaggio, Umberto celia: “Affluenza pubblico, chevvelodicoaffà, decine di migliaia? centinaia di migliaia? milioni di migliaia?
Cachet regolarmente elargiti senza mai dover discutere a fine performance. Incassi? Non posso svelarlo, non vorrei essere rincorso dall’agggenzia delle entrattte. CIT.).
Un’attività che mi ha ridato la spinta per lavorare ai miei nuovi spunti”.
“Alla cassa ho litigato / Il vicino mi ha insultato”.
Confida: “Ho chiuso Pedo de Vaca quale single della mia prossima produzione che, quantu è veru Santu Nuddu, completerò in autunno. Per realizzare tutto questo ho il supporto di persone di cui godo molta stima e grande affetto e che al momento non trovo le parole per ringraziare”.
“Mentre sto a schiattà de callo / Al congresso stanno in stallo”.
Ora il busker si prende qualche giorno di meritato riposo nel favoloso mare di Novaglie e poi si metterà al lavoro per l’allestimento dello spettacolo che debutterà il 20 luglio. Informa: “Comunicherò le date di volta in volta. La line-up promette spriculamentu seriu”.
“Ho finito il dentifricio / Si è ammalato il capufficio”.
Parliamo di “Pedo de Vaca”? Umberto premette: “E’ una canzone dal ritmo funky/blues che rappresenta un’evoluzione del mio percorso artistico”.
“Non mi prende il cellulare / Non mi lascio accalappiare”.
Tra filosofia e sociologia: “Il testo mette in luce la cattiva abitudine a non sentirci mai responsabili di quello che accade, siamo sempre alla ricerca continua di un capro espiatorio, anche quando si tratta della salute del pianeta. Ma deve essere sempre così? E’ tutta colpa di un peto di vacca se questo mondo va in fottio? La colpa è solo di un peto di vacca o me ne prendo un poquito anch’io?”. E’ la stagione dell’impegno in chiave ambientalista.
“Si dissolvono i ghiacciai / Stanno a cresce i focolai”.
Con un ritmo travolgente e un ritornello che non esce dalla testa, “Pedo de Vaca” ha, ripetiamo, le caratteristiche per sfondare nell’estate italiana segnata dalla guerra.
“Hanno perso la partita / M’è cresciuto il girovita”.
Filosofo e bohemièn, un pò bardo e un pò menestrello, scuola Gaber e Brassens, un po’ di Dylan e De Andrè, U’ Papadia è il poeta col cuore da bambino di questo nostro tempo delirante e folle, che ci costringe a guardare il mondo intorno a noi (xylella, pandemia, guerra oltre alle “vecchie” patologie), ma soprattutto quello che c’è dentro di noi. E ci strappa un turbamento, un sorriso aspro come la malvasia della sua terra. Un sorso per dimenticare, almeno per un po’…