La cucina pugliese alla poverella


VITTORIO POLITO -
Vi sono pietanze o meglio “ricette culinarie”, cosiddette dei poveri, che non si trovano in nessun ricettario, poiché nati da ristrettezze economiche o a causa di eventi bellici, per cui le nostre massaie si sono “inventate” pietanze, anche dai sapori eccezionali, pur non avendo la “materia prima” indispensabile. Si utilizzava il pane raffermo, il caffè senza caffè e al suo posto una bevanda a base di cicoria, o la maionese senz’olio, i dolci senza zucchero, frittate senza uova o la cioccolata senza cacao. Insomma una cucina che doveva fare i conti con la mancanza della materia prima e con i razionamenti imposti. Chi poteva si rivolgeva alla “borsa nera”, ossia al contrabbando, pagando profumatamente gli alimenti di cui aveva necessità.

In Puglia che succedeva? Ci ha pensato Luigi Sada (1920-1995), con il suo libro “Cucina pugliese alla poverella” (Edizioni del Rosone, 1991), a riportare alla memoria alcune ricette, per cui il lettore scoprirà non solo l’ingegno delle nostre massaie, ma anche l’intelligenza dei nostri contadini “scarpa grossa e mènda fine”, che si sono inventate pietanze che ancora oggi non sono del tutto scomparse, dal momento che la semplicità ed il gusto sono gradevoli al palato.

Nel Salento troviamo “Baccalà e vermicelli”, “Baccelli verdi di fave”, “Crespigni stufati” (Zanguni a pignatu), una pianta erbacea le cui foglie si mangiavano come companatico o cotte con pomodoro, cotenna e molto formaggio; a Noicattaro le “Carrube infrante” (u padditte), una ricetta ormai in disuso per la scarsità delle carrube, che sostituiva la minestra o il pane. Da Cerignola viene la ricetta di “Maccheroni di grano bruciato, che noi oggi chiamiamo “grano arso”, di colore scuro, che si condiscono con sugo di pomodoro e ricotta dura grattugiata. La ricetta “Vermicelli aglio e olio” (Vremecìedde agghjie e uglie), a cui si aggiunge pepe o peperoncino, in uso nel napoletano è diventata barese, ricetta che ancora oggi si gusta gradevolmente.

Ma le ricette di maggior successo sono i “Vermicelli col sugo di pesce fuggito” (Vremecìedde cu suche d-u pèssce fesciùte), e “Patate con l’agnello fuggito (Petate cu l’aùnu scappatu), quest’ultima salentina.
La prima, ricetta settecentesca, dice Sada, è la prova solare di chi è misero, piatto poverissimo perché il pesce non c’è, ma il profumo e il suo sapore lo conferiscono alcune pietre in aggiunta ad alghe di mare non inquinato. Le versioni sono due, ma riporto per brevità quella moderna: Fare soffriggere mezza cipolla bianca tritata e aggiungervi, dopo, 3-4 sassi di mare con alga appena raccolta e versare una quantità di pomodori pelati e allungare il sughetto con un po’ d’acqua. Lasciare bollire per 30 minuti. Cuocere la pasta al dente, scolarla e versarla nel sughetto, dopo aver eliminato sassi e alghe, rimestare e servire caldissimo. I vermicelli si possono sostituire anche con i tubettini.

La ricetta “Patate con l’agnello ‘fuggito’”, invenzione superlativa per chi è povero, si prepara così: tagliare le patate a rondelle, dopo averle pelate e lavate, e sistemarle in una teglia con l’aggiunta di mezza cipolla affettata, olio, pepe o peperoncino, prezzemolo tritato, qualche foglia di alloro, mezzo bicchiere di vino rosso, sale. Passare in forno a fuoco moderato, fino a cottura completa. Il sapore e il profumo che esaleranno saranno identici a quelli dell’agnello cotto in forno.

E, un’altra curiosità barese (ed anche salentina) è il cosiddetto gelato della povera gente che a Bari si chiama “grattamarianne” e nel Salento “gratta-gratte”. Il venditore con un particolare attrezzo chiamato “pialletto”, lo passa sulla sbarra di ghiaccio e dalla parte superiore esce il ghiaccio “grattato” che viene poggiato su un pezzo di carta o in un bicchiere e “condito” con un pseudo-sciroppo all’aroma di menta, orzata, limone, fragola o al caffè. Insomma una granita popolare.

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