FRANCESCO GRECO - Pietra a secco anno zero. Il paesaggio del Salento si desertifica, migliaia di ulivi secolari malati sono stati abbattuti, a ciò si aggiunge il fuoco assassino che ogni notte distrugge i loro “cadaveri” e la vegetazione intorno.
Emergono come ombre i manufatti fatti dai nostri antenati, testimonianze di quell’architettura rurale tipica del Mediterraneo fatta di muretti a secco e pajare (trulli a tolos) ereditata dai popoli del passato, densi di semantica: raccontano storie su di loro, la loro vita, l’economia, etc., oltre che ad ancorare le radici, la memoria, la storia.
Eppure, paradossalmente, questi reperti non sono protetti dalle leggi: potremmo abbattere un muretto a secco e una pajara e tornarcene a casa felici e contenti, farla franca.
La distopia è servita: piaccia o no, a tutt’oggi non esiste, su base regionale, una normativa a loro tutela e valorizzazione, quindi oggettivamente se ne conclude che ogni approccio delle maestranze è privo di un retroterra legislativo, potenzialmente abusivo. Eppure, altra contraddizione, in questi giorni la Regione sta finanziando il loro recupero.
Della questione parliamo col giovane artigiano del settore Gianni Bozzi (“Pietrarustica”) che col suo staff si occupa della materia da decenni ed è appena tornato dalla Francia dove, su invito dell’Istituto Italiano di Cultura, con uno stage, ha mostrato al mondo le tecniche di lavorazione.
DOMANDA: E quindi non ci sono leggi che difendono queste opere d’arte dell’architettura rurale?
RISPOSTA: “Le leggi che tutelano queste costruzioni vi sono, ma di fatto sono poco chiare e difficilmente applicabili, anzi, dal mio punto di vista sono proprio queste leggi che causano lo stravolgimento delle strutture e l’abbandono delle campagne, con il continuo e lento crollo di quelle che sono ancora rimaste”.
D. Per cui le pajare possono essere tranquillamente abbattute senza che succeda nulla?
R. “Quello che da tempo e ancora oggi succede alle pajare è come se potessero essere abbattute: secondo me questa è la triste realtà dei fatti”.
D. E’ una negligenza diciamo culturale o è voluta?
R. “Voglio pensare che sia negligenza, perché altrimenti non ci sarà veramente più nulla da fare. Serve una presa di coscienza da parte delle istituzioni regionali per rivedere il PPTR, aprendo un tavolo di confronto anche con gli addetti ai lavori, perché sarebbe un valore aggiunto avere informazioni importanti che potrebbero realmente far cambiare il destino di questo nostro patrimonio rurale”.
D. Cosa fare per la tutela e la valorizzazione?
R. “Innanzitutto rivedere totalmente il PPTR che le regolamenta facendo come prima cosa una distinzione in base al territorio in cui queste costruzioni si trovano, perché ogni zona ha la sua storia e il suo vissuto, come le strutture stesse dimostrano, la tecnica costruttiva è quasi uguale per tutte, ma la roccia e la conformità dei luoghi danno loro diversità e destinazione d’uso. La seconda è quella di aprirsi di più al confronto, coinvolgendo gli addetti ai lavori e capire realmente se una legge può essere realmente applicabile, perché se non lo è si ottiene l’effetto contrario, con un risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti.
Più volte io stesso ho cercato di mettermi in contatto con la Regione ma non ho mai ricevuto risposta, e ciò dimostra quanto realmente hanno a cuore il nostro territorio.
Quando, poche settimane fa, sono stato invitato a portare ed esporre a Parigi all’Istituto Italiano di Cultura i nostri muretti a secco, ho avuto l’occasione di parlare di questo problema al nostro attuale direttore generale di turismo e cultura della Regione Puglia Aldo Patruno presente anche lui alla mostra.
Ovviamente, anche lui conosce bene il problema e mi ha assicurato che ne avrebbe parlato nelle sedi opportune”.