Quando Gorbaciov faceva footing a Castro

via Corriere.it

FRANCESCO GRECO.
CASTRO (Le) - Calzoncini e maglietta bianchi, scarpette da tennis. Accanto, una ragazza bella, alta e bionda, pure lei vestita di bianco. Intorno 3 o 4 poliziotti in tuta. Erano le 5 del mattino di un giorno d’estate del 2003. Il gruppetto spuntava da un vialetto di ghiaia che correva nella folta vegetazione.

Correvano gli anni a cavallo fra i ’90 e i 2000. Come tutte le mattine, Gorbaciov (da poco vedovo di Raisa, mancata il 20 settembre 1999) e la figlia Irina facevano footing nel Parco delle Querce di Castro, a quell’ora solitaria silenzioso, senza mamme e bambini.

Mikhail Gorbaciov (mancato ieri a 91 anni, Nobel per la pace nel 1990), era giunto in Terra d’Otranto anni prima su invito dell’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina, che gli aveva trovato come dimora una villetta in zona Argentara, da dove si scendeva direttamente al mare.

Ci era tornato un’altra volta in via diciamo ufficiale e due in incognita: ormai non aveva più cariche politiche. Nel 2003 fu l’ultima volta, il Comune di Calimera (Lecce) gli diede la cittadinanza onoraria. Era innamorato di questa bellissima località dell’Adriatico fra Otranto e S. Maria di Leuca e ci passava le vacanze.

Il giornalismo è faccenda di contatti, oggi è quasi un fatto di lupi solitari. I miei dell’epoca mi suggerirono che il leader di glasnost e perestrojka stava cercando casa a Castro.

Andai ovviamente subito per appurarlo: non trovai conferme né smentite. Il viaggio comunque non fu inutile. Incontrai il cuoco del ristorante “Panoramico” che mi descrisse il menu del pranzo e cena di Gorbaciov e Irina: sempre a base di pesce.

La fortuna era dalla mia: spuntò un tale che raccontò che i Gorbaciov la mattina presto facevano footing al Parco lì a due passi, entrata maestosa sull’incrocio.

Davanti alla mia esitazione nel credergli aggiunse di avere le prove: le foto. Non era possibile farne, padre e figlia erano sempre circondati da guardie del corpo, ma lui ci era riuscito.

Gliele chiesi, non voleva darmele. Lo convinsi promettendogli che gliele avrei firmate. Me ne diede due. Si chiama scoop, di solito si mette su una pagina e lo si strilla in prima. Portai il pezzo e le foto al giornale cui collaboravo. All’epoca vendeva 25 mila copie e usciva solo, oggi è “panino” di una testata nazionale.

Il giorno dopo mi ritrovai schiacciati articolo e foto su un colonnino e senza firma, né la mia né quella dell’autore delle fote ”rubate” all’alba (all’epoca non c’erano ancora i cellulari).

Il caporedattore le aveva così compresse che la fitta vegetazione e il gruppetto di persone si confondevano. Capii che il giornalismo stava agonizzando, era ormai agli ultimi rantoli. Chiusi ogni collaborazione.

Ero così amareggiato che non chiesi indietro le foto. L’autore mi telefonò per una meritata lavata di testa: non sapeva che ero vittima quanto lui del giornalismo della domenica che sta asfissiando i giornali portandoli alla fine.

Non le ho più riviste, ma penso che l’autore abbia i negativi e così dal 30 agosto 2022 è in possesso di un documento storico.

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