Figli naturali e figli legittimi


VINCENZO CASULLI
- Il principale cambiamento rispetto alla precedente regolamentazione è rappresentato dal superamento di ogni distinzione nella disciplina tra filiazione legittima e naturale e, dunque, nella parificazione tra figli naturali e figli legittimi.

Prima, con il codice civile del 1942, vi era una differenza fondata sul diritto romano che distingueva i figli in naturali, legittimi e spuri. Infatti, i figli legittimi, avevano una posizione di gran lunga privilegiata rispetto ai naturali, sia nel diritto successorio e sia nei rapporti con i genitori. Anche in termini lessicali si percepiva la discriminazione, infatti i figli nati fuori al matrimonio erano chiamati “illegittimi” e ancor più discriminati se figli “adulterini” o “incestuosi”, i quali non potevano essere riconosciuti e a favore dei quali era vietato fare donazioni e in certa misura anche disporre per testamento.

Un primo cambiamento si ha con la Costituzione che assicura ai figli “illegittimi” ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima ex art. 30 Cost., terzo comma.
In secondo luogo, la riforma del diritto di famiglia del 1975 elimina definitivamente il divieto di riconoscimento dei figli adulterini, attribuendo ai figli naturali gli stessi diritti dei figli legittimi nei confronti dei genitori e una pari posizione successoria.


Tuttavia, nello scenario permanevano alcune discriminazioni e continuava a farsi strada l’esigenza di parificare i figli legittimi a quelli naturali in ottemperanza al divieto di discriminazione sancita anche nella Carta dei diritti fondamentali di Nizza.

Il punto di approdo si ha con la legge sulla filiazione n. 219/2012 e successivo decreto legislativo n. 154/2013 che ha sancito la parificazione dei figli legittimi e non unicità dello status di figlio.
In particolare, sono state eliminate le parole legittimi e naturali e sostituite con “nati nel/fuori dal matrimonio”. È stato altresì statuito che i diritti e doveri valgono per tutti i figli con conseguente possibilità di riconoscere anche i figli incestuosi (art. 251 c.c. si ha riguardo all’esclusivo interesse del minore).

Viene sostituita la parola “potestà” genitoriale con “responsabilità” genitoriale e, quanto all’azione di disconoscimento della paternità, questa può essere esercitata anche da parte di persone diverse dal figlio entro 5 anni, mentre per il figlio l’azione è imprescrittibile.

Il rilievo costituzionale del principio di unicità dello status di figlio, giustifica, inoltre, l’applicazione retroattiva della disciplina secondo quanto previsto dall’art. 104 del d.lgs. 154/2013.

Tale retroattività dello ius superveniens è stata ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza 146/2015, in quanto riconducibile direttamente all’art. 30 co. 1 Cost. e coerente con il bene della “vita familiare” di cui all’art. 8 CEDU, nel senso della tutelabilità anche con riguardo alla famiglia costruita fuori dal matrimonio.