Mostre: Vito Matera espone fino al 6 novembre presso il Castello Ruffo di Scilla

LIVALCA - Il comune di Scilla ha una particolarità che tutti coloro che decidono di visitarlo sperimentano di persona: viene indicato a circa venti chilometri da Reggio Calabria, ma in realtà bisogna percorrere quasi cinquanta chilometri.

Secondo una delle non poche versioni-interpretazioni mitologiche Scilla, divinità malvagia-mostruosa-spietata con sei teste e dodici tentacoli tutti forniti di tre file di denti, era figlia di Forco (o Tritone) e di Ecate (o Lamia) e il suo ‘regno’ era posto al cospetto dello scoglio di Cariddi e, nonostante ‘le zanne’ cui prima abbiamo fatto riferimento, fagocitava tutti i naviganti che transitavano dalle sue parti, ingoiandoli direttamente.

La cittadina di Scilla è situata a circa 70 metri sul livello del mare Tirreno, all’estremità sudoccidentale della Costa Viola, è vanta una fortificazione da tutti conosciuta come Castello Ruffo di Calabria o, più propriamente, di Scilla. Affermare che stiamo parlando di un patrimonio di eccezionale perfezione e bellezza smentisce quel detto - cosa possibile solo in Italia - che vuole che l’ovvio quasi sempre necessiti di un genio per aver risonanza.

Ruffo, secondo gli storici, è un cognome di una famiglia patrizia che troviamo in Calabria fin dal secolo XI e che, in seguito, si divise in due rami: quello dei Ruffo di Scilla e quello dei Ruffo di Bagnara, cui apparteneva il cardinale Fabrizio. Fu Paolo Ruffo nel 1533 ad acquistare il Castello ed a farlo divenire residenza ufficiale della famiglia, tanto è vero che ancora oggi a testimonianza esiste non solo una lapide, ma lo stemma dei Ruffo. Questo ramo risulta avere anche il titolo di principi di Calabria fin dal 1928 e nel 1959 si legò alla famiglia reale del Belgio con il matrimonio di Paola Ruffo con Alberto di Sassonia, fratello di re Baldovino, che divenne a sua volta re alla morte di quest’ultimo.

In questo posto paradisiaco dal 15 ottobre al 6 novembre andrà in scena l’esposizione di Vito Matera, un pittore artista con un proprio mondo lirico in apparenza semplice, ma colto a tal punto da far apparire il colore al servizio del suo erudito modo di vivere, la qual cosa cerca di trasmettere anche con collaborazioni partecipate a riviste che hanno segnato la storia degli ultimi otto lustri (come non pensare alla rivista ‘Fragile’, edito da Levante editori di Bari - particolare che molti ‘dimenticano’ di citare, anche su carte che poi saranno ‘tramandate’ - che fu distribuita gratuitamente in tutto il mondo e che chi scrive registrò personalmente come direttore responsabile).

L’evento di Vito Matera rientra in quelli programmati per l’Anno Europeo dei Beni Culturali e nasce sotto l’alto patrocinio dell’Università degli Studi ‘MEDITERRANEA’ di Reggio Calabria.

La storia dell’università calabrese parte dal lontano 1967 con un’istanza del Commissario prefettizio, ratificata da un decreto del Presidente della Repubblica nel 1968, con il quale si disponeva la creazione del ‘Libero Istituto Universitario di Architettura’ (IUSA). Il primo anno gli studenti sfiorarono le cento unità e due anni dopo un nuovo decreto presidenziale modificò il nome in Istituto Universitario Statale di Architettura (I.U.S.A).

A partire dal 1972 l’Istituto Universitario calabrese si è dotato di uno stemma che, a mio parere, potrebbe trasmettere a Matera la voglia di provare a raccontare le sensazioni-vibrazioni avvertite nell’osservare questo pezzo ispirato a stateri (unità di peso e monetaria greca antica del valore di due dracme: noti sono il ‘criseide’ coniato da Creso, il ‘darico’ da Dario e il ‘filippo’ e ‘alessandro’ che avevano come riferimento i re macedoni con quel nome) e tetradrammi (moneta comune a molti stati dell’antica Grecia del peso-massa e del valore di quattro dracme) che risalgono al V secolo a.C. quasi certamente.

Vito, licenza ‘classica’ in tutti i sensi, partendo dal retro dello stemma che raffigura una testa leonina che richiama alla mente il mitico leone di Nemea (si narra che il leone fu affrontato e vinto a mani nude da Eracle, che, indossata la pelle del leone, divenne invulnerabile) può dipingere o costruire - la sua abilità di scultore balza evidente al primo riscontro visivo dell’opera che si abbevera alla passione scenografica del Maestro, il quale subito abbandona i panni del ‘matera(no)’ per abbracciare quelli del ‘gravinese’ doc - quel suo mondo in cui l’uomo ha come scopo primario quello di essere sempre umano, di pensare senza annoiarsi e di ammirare l’Artefice di tanta natura con la consapevolezza che ‘governare’ l’umanità è più facile per un’artista che per un politico eletto democraticamente (attenzione non condivido la frase di Churchill: “Da quando c’è la democrazia non abbiamo altro che guerre”).

Per completare il sintetico racconto che riguarda l’Università calabrese va detto che con la legge 590 del 14 agosto 1982 è stata istituita l’Università di Reggio Calabria con le facoltà di Architettura, Ingegneria e Agraria; subito dopo, per la serie la vera pura intelligenza comprende ogni cosa, a Catanzaro si diede vita alle facoltà di Medicina e Chirurgia, Farmacia e Giurisprudenza.

Dell’arte di Vito Matera si è occupato lungamente lo scrittore Raffaele Nigro e ricordo, quasi integralmente, un suo parere che condivido con l’unica eccezione dell’ultima parola: “In un panorama artistico orientato verso i poli dell’arte concettuale, urbanocentrica e tecnocratica Vito Matera continua la sua ricerca in chiave antropologica stemperata da un linguaggio poetico e giocoso”. Io ho difficoltà a percepire il giocoso, pur essendo abituato alla goliardia del critico d’arte e giornalista Raffaele. In azienda custodisco parecchie opere dono di tanti amici, ma non possiedo al momento nessuna opera di Matera, in modo da poter ‘afferrare’ e ‘custodire’ l’allegria ‘nigrana’, ma non potendo ‘confutare’ un vecchio amico che porta a cena il popolo con “Il cuoco dell’imperatore”(La nave di Teseo, Milano, 2021) sempre al suo fianco, nell’attesa dell’arrivo di Federico II e la sua corte, non posso fare altro, da suddito devoto, di inchinarmi a mastro Guimaro con la speranza che “Siete proprio un brav’uomo” possa essere esteso anche a Livalca.

Ho guardato il “Puglia Mitica” (Levante, Bari, 2012) curato da Francesco De Martino e mi sono rivisto un Matera del 1984 ‘Deliadi’, opere che anche se riprodotte in formato francobollo non dimostrano i 40 anni e sembrano se non ‘giocose’, contente di conservarsi bene e di far parte della storia dell’arte. Nella stessa pagina del libro si trova un’altra opera di Matera dal titolo ‘La via in su e in giù di Eraclito’, omaggio che ritengo avrebbe avuto l’approvazione del filosofo greco nato a Efeso, dal momento che l’opera traduce in immagine il suo famoso pànta rèi : tutto scorre, tutto diviene, nulla permane.

Fino al 6 novembre 2022 nel Castello Ruffo di Scilla, a due o tre passi da Reggio, Vito Matera apre il suo scrigno di ricordi, il suo libro di una vita, a tutti coloro che vorranno condividere con lui un messaggio affidato a colori tenui o massicci, deboli o nitidi, sottili o spessi, con l’unico obiettivo che l’arte possa essere lo stratega in grado di offrire ai popoli della terra quella PACE che il mondo aspetta con ansia, prostrato da morte e dolore, e che pochi ‘capi’ ritengono essere nelle proprie ‘illusorie’ competenze.

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