Il pizzo non è solo ‘tangente’ ma soprattutto un ricamo

VITTORIO POLITO - Per ‘pizzo’, solitamente si intende la tangente estorta dalle organizzazioni mafiose e camorristiche. Pizzo (o Pizzo Calabro) è anche il nome di una città di oltre 9000 abitanti della provincia di Vibo Valentia in Calabria, famosa per la produzione del tartufo e per la qualità gelatiera in generale, al punto che è definita ‘città del gelato’. Ma queste sono altre storie. Il pizzo vero e proprio è un tessuto trasparente, lavorato con ago, uncinetto e altri arnesi che, annodando e intrecciando ogni sorta di fili (lino, seta, cotone e anche argento), si realizza una sorta di ricamo o merletto.

Il pizzo è considerato anche un prodotto fra i più rinomati dell’artigianato barese, una specie di merletto lavorato all’uncinetto, che si utilizzava per adornare vestiti e/o biancheria, e veniva realizzato dalle numerose ricamatrici esistenti nella nostra città. I pizzi più ricercati erano quelli baresi e armeni, come ricorda Vito Antonio Melchiorre (1922-2010) nel suo libro “Storie baresi” (Levante). In un atto del 1385 viene menzionato, in lingua latina “un corsetto di panno di oro filato con maniche scarlatte e con pizzo di Bari” e, in un altro atto del 1397 è citato “un corsetto di panno di oro filato, con maniche di panno di lana scarlatta, con bottoni d’argento, posti in dette maniche, e con pizzi di Bari”.
Del pizzo barese ne parla anche Giovanna Campisi nel suo libro “Il pizzo barese – Breve cenno con illustrazioni” (Stabilimento tipo-litografico Gius. Laterza e Figli, 1914), indagine effettuata per delineare le caratteristiche del pizzo barese, partendo da un documento del 1663, nel quale rende omaggio al Gran Priore Oderisio Piscicelli Taeggi (1840–1916), monaco benedettino e pittore dilettante che, a sua volta, aveva pubblicato nel 1884 e nel 1888 il testo “Paleografia artistica” e un fascicolo con disegni e merletti tratti da codici liturgici di scrittura gotico-corale. L’autrice sottolinea come il lavoro in casa con l’uncinetto poteva essere una soluzione ai problemi che assillavano le famiglie, permettendo alla donna un ruolo consono al suo stato, oltre ad un lavoro finalizzato al miglioramento economico della famiglia.

Una curiosità è rappresentata dal fatto che un gruppo di dame del Patronato di San Nicola fondò una scuola di pizzo, sostenuta dallo stesso Oderisio Piscicelli Taeggi, che essendo stato, in precedenza, come detto, cultore appassionato di Paleografia artistica presso l’Abbazia di Montecassino, si era impegnato nel creare innumerevoli modelli, tratti dalle miniature dei codici liturgici longobardi.