FRANCESCO GRECO - S. Maria di Leuca sospesa fra autunno e inverno
ritrova tutto il suo incanto fiabesco e una magia
annunciata nei vicoli dall’odore intenso dello iodio
che si mescola alla resina dei pini.
Il silenzio diventa la sua password dominante. Lo cercano avidamente i turisti di una certa a passeggio sul lungomare, qualcuno che solitario fa il bagno alla “Rena Ranne” o alla “Rena della Baronessa” e qualcun altro che, muta da sub, esplora le scogliere davanti all’Omomorto.
Al bar tra la banca e la farmacia, i tavolini son tutti occupati, ci si gode l’ultimo sole di un’estate infinita. Le facce degli indigeni si riconoscono fra tutte dalle rughe: pescatori appena tornati dalla fatica notturna. Il tempo di un cappuccino e un pasticciotto leccese e anche senza volerlo si ascoltano le chiacchiere dei leucani. La news del giorno è un finanziamento (fondi Pnrr) giunto per recuperare la Torre dell’Omomorto, un luogo mitico all’inizio del lungomare Cristoforo Colombo, con un alone di mistero, quasi esoterico: non conosciamo infatti nessuno che l’abbia mai visitata.
Se vera, la notizia è golosa. Finalmente sarà resa accessibile al pubblico e ai turisti. Un ulteriore atout per Leukòs. Decidiamo di verificare. Al Comune di Castrignano del Capo risponde Giulia Chiffi, giovane e appassionato assessore da poco più di un anno. Rapida verifica presso il sindaco Francesco Petracca: è una fake. Nel senso che “c’è solo, da prima della nostra amministrazione – spiega Giulia – un’interlocuzione con la proprietà (Famiglia Fuortes, n.d.r.), non solo per un’eventuale acquisizione, ma anche per una ragione di sicurezza di tutta l’area: la Torre è infatti pericolante, in stato di abbandono…”.
Resta però nell’aria l’interrogativo: recupero e valorizzazione, non darebbero più appeal a Finibus Terrae? L’Omomorto ha molte storie e leggende da raccontare. Sorge a pochi metri dal mare e faceva parte del sistema difensivo del territorio a sud dalle incursioni turche e saracene inventato da Carlo V.
Detta anche Torre Vecchia, perchè la prima delle torri di Leuca (per distinguerla dalla nuova, buttata giù per far posto al Faro sul Promontorio Japigio), fu denominata dell’Omomorto (dell’Huomini Morti o Domini Morti) a causa dei ritrovamenti di resti umani nelle grotte dell’area. Insiste su una collinetta ormai inglobata dal centro abitato. E’ classificata come torre a martello. Il basamento presenta muraglie di quasi 5 metri, diametro di 16 metri. All’interno si aprono quattro troniere (quella a nord è sostituita da una porta d’accesso).
Oltre il cordolo a 4 metri di altezza, si sviluppa un corpo cilindrico che si conclude come coronamento del terrazzo di copertura. L’ambiente interno è voltato a cupola. Nello mura è ricavata una scala che porta alla sua sommità da dove il paesaggio lascia senza parole. Al 1987 risale l’ultimo intervento di consolidamento. Da allora, il tempo e gli agenti atmosferici hanno lavorato intensamente. Da qui la preoccupazione dell’assessore Chiffi.
Il background ci dice che la Torre è tracciata in alcuni documenti e nella cartografia antica dal XVI secolo. Citata nel 1569 negli elenchi dei Viceré. Lo storico Tasselli la data al 1555 ad opera di Andrea Gonzaga, Conte di Alessano nel 1560.
Nella seconda metà del XVII secolo era ancora un baluardo per la difesa dalle incursion e fu riparata dopo un crollo causato da eventi atmosferici. Lo prova un documento riportato da Giovanni Cosi nel 1989. Lo storico scrive: “Verso la metà di febbraio del 1694, per le continue piogge e per la neve abbondante e per i forti venti, crolla la muraglia della Torre verso tramontana, con la gettarola in corrispondenza della porta, per circa tre passi di muro. La Torre che, armata di un cannone di tre libbre di palla (in sostituzione della prima arma della portata di due libbre), potrebbe non solo impedire lo sbarco dei nemici, ma anche danneggiarli, ora è inabile a difendersi dai corsari nel caso tentassero lo sbarco.
Il caporale Domenico Greco di Salignano ed il sopra guardia Diego Brigante di Racale, il 20 marzo successivo al crollo, si recano a Lecce dal Capo-Rota e vice Preside della Provincia Giovanni Battista Ravaschiero per presentare rispettivamente un memoriale ed una relazione. Il Ravaschiero dà ordini al segretario Nicolò Serra di spedire le istruzioni per il restauro della Torre all’Università di Giuliano, ma costui fa presente che, essendo la spesa superiore a dieci ducati, bisogna avvertire Sua Eccellenza. Il caporale, poiché si avvicina il tempo della nuova navigazione ed i corsari possono tentare uno sbarco, a discarico di sua responsabilità, il 5 aprile dello stesso anno fa un atto pubblico in cui dichiara quanto sopra”. Nel 1846, secondo un altro storico, l’Arditi, la torre fu disarmata.
Oltre all’Omomorto, andrebbero valorizzate e protette le mitiche bagnalore, icona della “Bianca del Sud” nel mondo e oggi oppresse, soffocate da stabilimenti balnenari sparsi sulle scogliere e fatti di ferro e vetroresina, materiali pacchiani, estranei al paesaggio.
E infine anche i canaloni che da Castrignano scendono verso Leuca si potrebbero recuperare in modo sostenibile e offrire al turista. Come lo scrittore Vittorio Buccarello che qui è nato propone da anni: “Ne conosco 5: Canaleddu, Rena dei Cavaddi, Rena dei Pizzolanti (detto anche Scalo di Salignano), Canale San Vincenzo e un quinto che sfocia verso lo scalo di Castrignano, zona Punta Ristola”. Di lavoro da fare, per chi ama Leuca, ce n’è in abbondanza…
Il silenzio diventa la sua password dominante. Lo cercano avidamente i turisti di una certa a passeggio sul lungomare, qualcuno che solitario fa il bagno alla “Rena Ranne” o alla “Rena della Baronessa” e qualcun altro che, muta da sub, esplora le scogliere davanti all’Omomorto.
Al bar tra la banca e la farmacia, i tavolini son tutti occupati, ci si gode l’ultimo sole di un’estate infinita. Le facce degli indigeni si riconoscono fra tutte dalle rughe: pescatori appena tornati dalla fatica notturna. Il tempo di un cappuccino e un pasticciotto leccese e anche senza volerlo si ascoltano le chiacchiere dei leucani. La news del giorno è un finanziamento (fondi Pnrr) giunto per recuperare la Torre dell’Omomorto, un luogo mitico all’inizio del lungomare Cristoforo Colombo, con un alone di mistero, quasi esoterico: non conosciamo infatti nessuno che l’abbia mai visitata.
Se vera, la notizia è golosa. Finalmente sarà resa accessibile al pubblico e ai turisti. Un ulteriore atout per Leukòs. Decidiamo di verificare. Al Comune di Castrignano del Capo risponde Giulia Chiffi, giovane e appassionato assessore da poco più di un anno. Rapida verifica presso il sindaco Francesco Petracca: è una fake. Nel senso che “c’è solo, da prima della nostra amministrazione – spiega Giulia – un’interlocuzione con la proprietà (Famiglia Fuortes, n.d.r.), non solo per un’eventuale acquisizione, ma anche per una ragione di sicurezza di tutta l’area: la Torre è infatti pericolante, in stato di abbandono…”.
Resta però nell’aria l’interrogativo: recupero e valorizzazione, non darebbero più appeal a Finibus Terrae? L’Omomorto ha molte storie e leggende da raccontare. Sorge a pochi metri dal mare e faceva parte del sistema difensivo del territorio a sud dalle incursioni turche e saracene inventato da Carlo V.
Detta anche Torre Vecchia, perchè la prima delle torri di Leuca (per distinguerla dalla nuova, buttata giù per far posto al Faro sul Promontorio Japigio), fu denominata dell’Omomorto (dell’Huomini Morti o Domini Morti) a causa dei ritrovamenti di resti umani nelle grotte dell’area. Insiste su una collinetta ormai inglobata dal centro abitato. E’ classificata come torre a martello. Il basamento presenta muraglie di quasi 5 metri, diametro di 16 metri. All’interno si aprono quattro troniere (quella a nord è sostituita da una porta d’accesso).
Oltre il cordolo a 4 metri di altezza, si sviluppa un corpo cilindrico che si conclude come coronamento del terrazzo di copertura. L’ambiente interno è voltato a cupola. Nello mura è ricavata una scala che porta alla sua sommità da dove il paesaggio lascia senza parole. Al 1987 risale l’ultimo intervento di consolidamento. Da allora, il tempo e gli agenti atmosferici hanno lavorato intensamente. Da qui la preoccupazione dell’assessore Chiffi.
Il background ci dice che la Torre è tracciata in alcuni documenti e nella cartografia antica dal XVI secolo. Citata nel 1569 negli elenchi dei Viceré. Lo storico Tasselli la data al 1555 ad opera di Andrea Gonzaga, Conte di Alessano nel 1560.
Nella seconda metà del XVII secolo era ancora un baluardo per la difesa dalle incursion e fu riparata dopo un crollo causato da eventi atmosferici. Lo prova un documento riportato da Giovanni Cosi nel 1989. Lo storico scrive: “Verso la metà di febbraio del 1694, per le continue piogge e per la neve abbondante e per i forti venti, crolla la muraglia della Torre verso tramontana, con la gettarola in corrispondenza della porta, per circa tre passi di muro. La Torre che, armata di un cannone di tre libbre di palla (in sostituzione della prima arma della portata di due libbre), potrebbe non solo impedire lo sbarco dei nemici, ma anche danneggiarli, ora è inabile a difendersi dai corsari nel caso tentassero lo sbarco.
Il caporale Domenico Greco di Salignano ed il sopra guardia Diego Brigante di Racale, il 20 marzo successivo al crollo, si recano a Lecce dal Capo-Rota e vice Preside della Provincia Giovanni Battista Ravaschiero per presentare rispettivamente un memoriale ed una relazione. Il Ravaschiero dà ordini al segretario Nicolò Serra di spedire le istruzioni per il restauro della Torre all’Università di Giuliano, ma costui fa presente che, essendo la spesa superiore a dieci ducati, bisogna avvertire Sua Eccellenza. Il caporale, poiché si avvicina il tempo della nuova navigazione ed i corsari possono tentare uno sbarco, a discarico di sua responsabilità, il 5 aprile dello stesso anno fa un atto pubblico in cui dichiara quanto sopra”. Nel 1846, secondo un altro storico, l’Arditi, la torre fu disarmata.
Oltre all’Omomorto, andrebbero valorizzate e protette le mitiche bagnalore, icona della “Bianca del Sud” nel mondo e oggi oppresse, soffocate da stabilimenti balnenari sparsi sulle scogliere e fatti di ferro e vetroresina, materiali pacchiani, estranei al paesaggio.
E infine anche i canaloni che da Castrignano scendono verso Leuca si potrebbero recuperare in modo sostenibile e offrire al turista. Come lo scrittore Vittorio Buccarello che qui è nato propone da anni: “Ne conosco 5: Canaleddu, Rena dei Cavaddi, Rena dei Pizzolanti (detto anche Scalo di Salignano), Canale San Vincenzo e un quinto che sfocia verso lo scalo di Castrignano, zona Punta Ristola”. Di lavoro da fare, per chi ama Leuca, ce n’è in abbondanza…