Arte: Matteo Pizzolante, il bambino che sapeva le forme delle nubi
FRANCESCO GRECO - CASTRIGNANO DE’ GRECI (Le) – Ricorda Antonio
Pizzolante, artista di fama internazionale, padre di
Matteo: “Aveva circa 7 anni quando lo portai per la
prima volta alla Biennale di Venezia, promettendogli il
giornalino di Goldrake per attutire l’estenuante sforzo
che la visita comporta all’esposizione veneziana,
soprattutto nelle calde giornate di luglio”.
Ecco allora storicizzato l’inizio del percorso artistico di Matteo Pizzolante (Lecce, 1987), le sue prime “esperienze visive” di uno degli artisti emergenti italiani più apprezzati, in Italia e all’estero. Matteo è dunque figlio d’arte.
Laurea in ingegneria a Milano, ha affinato la sua ricerca artistica prima all’Accademia di Belle Arti di Brera sotto la guida di Vittorio Corsini e poi l’Hochschule für Bildende Künste di Dresda con Wilhelm Mundt e Carsten Nicolai.
Numerose le esperienze espositive di rilievo e i premi acquisiti, tra cui il prestigioso “JaguarArt” per Artissima \Torino.
Oggi in Italia due importanti esposizioni confermano il grande valore della sua ricerca personale, la prima da Futurdome a Milano (via Giovanni Paisiello, 6), “La linea che ci divide dal domani” (fino al 28 Gennaio 2023) curata da Atto Belolli Ardessi, e l’altra, a cura di “Random” dal titolo “Sapeva le forme delle nubi”, un progetto espositivo ospitato all’interno di “A Sud di Marte”, un piano di residenze artistiche realizzato in collaborazione con la Fondazione Elpis presso gli spazi di KORA – Centro del Contemporaneo a Palazzo baronale de Gualtieris, Castrignano de’ Greci (Lecce), fino a febbraio 2023.
“Sapeva le forme delle nubi” è un progetto che si inserisce all’interno di una riflessione più ampia che “Ramdom” sviluppa ormai da parecchi anni sul concetto di margine, una riflessione attraverso la quale si prova a rimettere in discussione la nozione di centro.
Nello specifico, “A Sud di Marte” intende portare alla
luce la visione di un Sud inteso non solo come luogo
ricco di una sua complessità, ma anche come
opportunità per l’attivazione di uno sguardo obliquo
capace di sollecitare costanti interrogativi.
Il titolo del programma prende ispirazione dal
pianeta rosso, appunto, Marte, che, nell’immaginario
collettivo ha sempre rappresentato il luogo “altro” per
eccellenza, un’utopia a cui approdare, l’annuncio di
qualcosa che è ancora da compiersi, ma il cui
accadimento è sempre più prossimo.
Il progetto di Pizzolante per KORA è il naturale proseguimento e dilatazione della sua ricerca dedicata tanto all’interesse per lo spazio, quanto alle immagini, alla loro corposità materica e alla loro temporalità.
Questo duplice interesse, rende quello dell’artista pugliese di origine un lavoro che abita e abbraccia diverse discipline e che, seppure utilizzando i media contemporanei derivati dall’uso della tecnologia applicata – render, 3D, ecc. – paradossalmente trova nel rigore compositivo della pittura rinascimentale la sua sintesi più coerente.
Le immagini che il giovane artista che vive in Lombardia (ri)costruisce per la mostra, stampate sulle quattro porte attraverso la tecnica della cianotipia, sono espressione, come egli stesso afferma, “di una lucida memoria del suo passato”.
La ricchezza e la finitura dei dettagli che da esse emerge è, quindi, ciò che le rende universali facendo leva, prima sull’importanza che esse hanno per la sua famiglia, e poi per tutti noi che in quegli stessi dettagli possiamo riconoscere dei piccoli frammenti della nostra vita.
Questo sistema di “rimandi”, enfatizzato dalla presenza nello spazio delle quattro porte come elemento architettonico che allude costantemente all’idea di soglia e di passaggio, fa si che il tempo raccontato non sia più solo un tempo personale, ma anche un tempo collettivo e che le storie presenti siano storie di relazioni e incastri nei quali, almeno una volta, tutti noi ci siamo trovati. Quello della transizione è, infine, un elemento presente anche nelle due video proiezioni: due visi appartenenti a donne della sua famiglia ai quali Pizzolante ha adattato la texture del suo ritratto fotografico.
Questo processo di deformazione, ambivalenza e mistero, idealmente ispirato al personaggio della Mamà Grande, reso celebre dal romanzo “Cent’anni di solitudine”, dello scrittore colombiano Gabriel Garcìa-Màrquez, diventa quindi una riflessione sulla trasformazione dell’identità di genere, sull’identità dello spazio e della sua storia che, nel corso dei secoli, è stato prima fortezza, poi castello, palazzo baronale e infine dimora privata, assolvendo così a funzioni e modalità di utilizzo differenti.
Così come Ireneo Funes, protagonista del testo di Jorge Luis Borges “Funes o della memoria”, da cui il titolo della mostra prende le mosse, anche Pizzolante restituisce la complessità dei ricordi attraverso la successione di dettagli che in modo diverso – il racconto dei parenti o la propria memoria personale – riaffiorano diventando oggetto.
Ecco allora storicizzato l’inizio del percorso artistico di Matteo Pizzolante (Lecce, 1987), le sue prime “esperienze visive” di uno degli artisti emergenti italiani più apprezzati, in Italia e all’estero. Matteo è dunque figlio d’arte.
Laurea in ingegneria a Milano, ha affinato la sua ricerca artistica prima all’Accademia di Belle Arti di Brera sotto la guida di Vittorio Corsini e poi l’Hochschule für Bildende Künste di Dresda con Wilhelm Mundt e Carsten Nicolai.
Numerose le esperienze espositive di rilievo e i premi acquisiti, tra cui il prestigioso “JaguarArt” per Artissima \Torino.
Oggi in Italia due importanti esposizioni confermano il grande valore della sua ricerca personale, la prima da Futurdome a Milano (via Giovanni Paisiello, 6), “La linea che ci divide dal domani” (fino al 28 Gennaio 2023) curata da Atto Belolli Ardessi, e l’altra, a cura di “Random” dal titolo “Sapeva le forme delle nubi”, un progetto espositivo ospitato all’interno di “A Sud di Marte”, un piano di residenze artistiche realizzato in collaborazione con la Fondazione Elpis presso gli spazi di KORA – Centro del Contemporaneo a Palazzo baronale de Gualtieris, Castrignano de’ Greci (Lecce), fino a febbraio 2023.
“Sapeva le forme delle nubi” è un progetto che si inserisce all’interno di una riflessione più ampia che “Ramdom” sviluppa ormai da parecchi anni sul concetto di margine, una riflessione attraverso la quale si prova a rimettere in discussione la nozione di centro.
Matteo Pizzolante |
Il progetto di Pizzolante per KORA è il naturale proseguimento e dilatazione della sua ricerca dedicata tanto all’interesse per lo spazio, quanto alle immagini, alla loro corposità materica e alla loro temporalità.
Questo duplice interesse, rende quello dell’artista pugliese di origine un lavoro che abita e abbraccia diverse discipline e che, seppure utilizzando i media contemporanei derivati dall’uso della tecnologia applicata – render, 3D, ecc. – paradossalmente trova nel rigore compositivo della pittura rinascimentale la sua sintesi più coerente.
Le immagini che il giovane artista che vive in Lombardia (ri)costruisce per la mostra, stampate sulle quattro porte attraverso la tecnica della cianotipia, sono espressione, come egli stesso afferma, “di una lucida memoria del suo passato”.
La ricchezza e la finitura dei dettagli che da esse emerge è, quindi, ciò che le rende universali facendo leva, prima sull’importanza che esse hanno per la sua famiglia, e poi per tutti noi che in quegli stessi dettagli possiamo riconoscere dei piccoli frammenti della nostra vita.
Questo sistema di “rimandi”, enfatizzato dalla presenza nello spazio delle quattro porte come elemento architettonico che allude costantemente all’idea di soglia e di passaggio, fa si che il tempo raccontato non sia più solo un tempo personale, ma anche un tempo collettivo e che le storie presenti siano storie di relazioni e incastri nei quali, almeno una volta, tutti noi ci siamo trovati. Quello della transizione è, infine, un elemento presente anche nelle due video proiezioni: due visi appartenenti a donne della sua famiglia ai quali Pizzolante ha adattato la texture del suo ritratto fotografico.
Questo processo di deformazione, ambivalenza e mistero, idealmente ispirato al personaggio della Mamà Grande, reso celebre dal romanzo “Cent’anni di solitudine”, dello scrittore colombiano Gabriel Garcìa-Màrquez, diventa quindi una riflessione sulla trasformazione dell’identità di genere, sull’identità dello spazio e della sua storia che, nel corso dei secoli, è stato prima fortezza, poi castello, palazzo baronale e infine dimora privata, assolvendo così a funzioni e modalità di utilizzo differenti.
Così come Ireneo Funes, protagonista del testo di Jorge Luis Borges “Funes o della memoria”, da cui il titolo della mostra prende le mosse, anche Pizzolante restituisce la complessità dei ricordi attraverso la successione di dettagli che in modo diverso – il racconto dei parenti o la propria memoria personale – riaffiorano diventando oggetto.