FRANCESCO GRECO - “Dopo aver ignorato i Balcani per mezzo
secolo, la Nato ne ha fatto il teatro di maggior
impegno politico e militare nel trentennio
successivo”, (Fabio Mini, generale).
E’ la narrazione che definisce i confini della realtà e della sua rappresentazione mediatica che giunge nei tinelli dei cittadini. Essa enfatizza alcuni elementi, ne lascia sullo sfondo altri, altri ancora li ignora o li censura: nasce così il mainstream, che diviene un totem a cui ci si adegua per ideologia, militanza, conformismo, paura di finire borderline.
“L’ipocrisia dell’Occidente è un fenomeno colossale, ma il carattere servile della stampa occidentale è molto peggio. Perché, fra il padrone e il servitore, alla fine…”, (Luciano Canfora, storico).
Dal Peloponneso alle risaie del Vietnam, una guerra è per sua stessa ontologia fenomeno sfaccettato, polisemico, irriducibile ad unicum; banalizzarla all’insegna del manicheismo, sottoprodotto della cultura cattolica, è segno di miserabile provincialismo.
“L’informazione faceva fatica a raccontare che i droni del premio Nobel per la pace Barack Obama facevano strage di civili in Afghanistan, stentava a dire che le primavere arabe non promettevano nulla di buono, che Saddam Hussein non aveva armi chimiche ma ghigliottine, che…”, (Toni Capuozzo, reporter di guerra).
Che può dilatarsi sino alla disonestà intellettuale di trasmettere,dalla propria stanza dì’albergo, immagini tratte da videogiochi spacciandole per riprese sugli scenari di guerra. “Tratto comune delle antiche culture slave, non estraneo del resto ad affini tradizioni celtiche e germaniche, era il raccogliersi in gruppi caratterizzati da una comune derivazione e quindi dal culto dei medesimi”, (Franco Cardini, storico del Medioevo).
Tale postulato introduce un tentativo di aiutare il grande pubblico confuso dalla propaganda, stordito da esperti da bar sport (da Parenzo alla Lucarelli) che raccontano un conflitto asimmetrico, a decifrare la guerra iniziata il 24 febbraio, e che in realtà ha un retroterra di qualche anno (2014), oltre allo sfondo storico, etnico, antropologico, economico, culturale e quant’altro di ogni conflitto, dalle Termopili alle sabbie dell’Iraq e i Balcani.
“Nel novembre 2013, quando è iniziato il movimento di piazza che ha portato alla destituzione del presidente Yanukovych, molti media occidentali, nel tentativo di descrivere ciò che accadeva, hanno rispolverato l’espressione “rivoluzione colorata”.
E’ la narrazione che definisce i confini della realtà e della sua rappresentazione mediatica che giunge nei tinelli dei cittadini. Essa enfatizza alcuni elementi, ne lascia sullo sfondo altri, altri ancora li ignora o li censura: nasce così il mainstream, che diviene un totem a cui ci si adegua per ideologia, militanza, conformismo, paura di finire borderline.
“L’ipocrisia dell’Occidente è un fenomeno colossale, ma il carattere servile della stampa occidentale è molto peggio. Perché, fra il padrone e il servitore, alla fine…”, (Luciano Canfora, storico).
Dal Peloponneso alle risaie del Vietnam, una guerra è per sua stessa ontologia fenomeno sfaccettato, polisemico, irriducibile ad unicum; banalizzarla all’insegna del manicheismo, sottoprodotto della cultura cattolica, è segno di miserabile provincialismo.
“L’informazione faceva fatica a raccontare che i droni del premio Nobel per la pace Barack Obama facevano strage di civili in Afghanistan, stentava a dire che le primavere arabe non promettevano nulla di buono, che Saddam Hussein non aveva armi chimiche ma ghigliottine, che…”, (Toni Capuozzo, reporter di guerra).
Che può dilatarsi sino alla disonestà intellettuale di trasmettere,dalla propria stanza dì’albergo, immagini tratte da videogiochi spacciandole per riprese sugli scenari di guerra. “Tratto comune delle antiche culture slave, non estraneo del resto ad affini tradizioni celtiche e germaniche, era il raccogliersi in gruppi caratterizzati da una comune derivazione e quindi dal culto dei medesimi”, (Franco Cardini, storico del Medioevo).
Tale postulato introduce un tentativo di aiutare il grande pubblico confuso dalla propaganda, stordito da esperti da bar sport (da Parenzo alla Lucarelli) che raccontano un conflitto asimmetrico, a decifrare la guerra iniziata il 24 febbraio, e che in realtà ha un retroterra di qualche anno (2014), oltre allo sfondo storico, etnico, antropologico, economico, culturale e quant’altro di ogni conflitto, dalle Termopili alle sabbie dell’Iraq e i Balcani.
“Nel novembre 2013, quando è iniziato il movimento di piazza che ha portato alla destituzione del presidente Yanukovych, molti media occidentali, nel tentativo di descrivere ciò che accadeva, hanno rispolverato l’espressione “rivoluzione colorata”.
Il riferimento era ai fatti di
nove anni prima…”, (Paolo Calzini, Senior
Associate Fellow presso JHUBC).
Ecco allora “Guerra in Ucraina” (Cause,
conseguenze, retroscena), Sandro Teti editore,
Roma 2022, pp. 240, euro 18, collana
“Historos” diretta da Luciano Canfora (in
redazione Eleonora Pascuzzo e Giorgia
Susanna, progetto grafico e cover di Laura
Peretti, impaginazione di Ilaria Pittiglio), con
cartine molto esplicative, a cura di Elisabetta
Burba, che nella nota introduttiva spiega il
concept intimo del lavoro a più mani, che ha
chiamato a riflettere personalità di alto profilo:
“Essere d’aiuto per districarsi nel complesso
mondo del Terzo millennio. Per non affogare
nel caos contemporaneo e orientarsi nel mare
magnum della complessità ucraina…”.
“Ucraìna, Ucrà ina, ucraìni, ucrà ini. Dacché Putin ha scatenato l’«operazione speciale», così l’ha chiamata lui, invadendo il Paese “fratello” non si sente altro. Nelle gazzette, nelle televisioni, nei media sociali, nell’eloquio dell’uomo della strada…”, (Moni Ovadia, attore).
L’Ucraina dunque come grumo semantico, ipertrofico che contiene la complessità del mondo moderno che rimodula i suoi equilibri geo-politici, economici, culturali micro meso macro e con cui il mainstream planetario o non riesce a rapportarsi o, peggio, magari per pregiudizio, partito preso o interessi d’altra natura, si attarda su vecchi stereotipi ormai relativizzati in termini esponenziali.
“L’inizio della crisi ucraina è convenzionalmente stabilito il 21 novembre 2013, quando il Governo ucraino sospende i preparativi per la firma dell’accordo di associazione con l’Ue e del Deep and Comprehensive Free Trade Agreement…”, (Maurizio Carta, urbanista, architetto, docente).
Altri interventi illuminanti: della stessa Burba: “Ipernazionalismo, quel coltello piantato nella schiena del popolo ucraino”, Gian Micalessin “Piazza Maidan, le verità nascoste”, Gianandrea Gaiani “Le prime (amare) indicazioni della guerra”, Umberto Vattani “Quando l’Italia in prima linea per costruire la Casa comune europea”, Alberto Bradanini “Grandi potenze, multipolarismo e guerra in Ucraina” e Giacomo Gabellini, “Diario della crisi (2015-2022)”.
“Ucraìna, Ucrà ina, ucraìni, ucrà ini. Dacché Putin ha scatenato l’«operazione speciale», così l’ha chiamata lui, invadendo il Paese “fratello” non si sente altro. Nelle gazzette, nelle televisioni, nei media sociali, nell’eloquio dell’uomo della strada…”, (Moni Ovadia, attore).
L’Ucraina dunque come grumo semantico, ipertrofico che contiene la complessità del mondo moderno che rimodula i suoi equilibri geo-politici, economici, culturali micro meso macro e con cui il mainstream planetario o non riesce a rapportarsi o, peggio, magari per pregiudizio, partito preso o interessi d’altra natura, si attarda su vecchi stereotipi ormai relativizzati in termini esponenziali.
“L’inizio della crisi ucraina è convenzionalmente stabilito il 21 novembre 2013, quando il Governo ucraino sospende i preparativi per la firma dell’accordo di associazione con l’Ue e del Deep and Comprehensive Free Trade Agreement…”, (Maurizio Carta, urbanista, architetto, docente).
Altri interventi illuminanti: della stessa Burba: “Ipernazionalismo, quel coltello piantato nella schiena del popolo ucraino”, Gian Micalessin “Piazza Maidan, le verità nascoste”, Gianandrea Gaiani “Le prime (amare) indicazioni della guerra”, Umberto Vattani “Quando l’Italia in prima linea per costruire la Casa comune europea”, Alberto Bradanini “Grandi potenze, multipolarismo e guerra in Ucraina” e Giacomo Gabellini, “Diario della crisi (2015-2022)”.