Giuliani e la solitudine dei numeri 1


FRANCESCO GRECO -
“Puoi vincere uno, dieci, cento scudetti al Nord: ma quando mai lo festeggerai così, la sera dell’ultima partita, in mezzo al mare a bordo di una nave, aspettando i fuochi d’artificio come un bambino a Capodanno, guardando Maradona vestito di viola che balla il tango con Claudia”.

Già, quando mai?

Eppure, indirettamente, fu proprio il fuoriclasse argentino la causa del crollo inaspettato di Giuliano “Giulio” Giuliani, che dava del “tu“ a Zenga e Tacconi (ma più efficace e meno plateale, diciamo scuola Zoff e Albertosi), vinse una coppa Uefa e il secondo scudetto dell’epoca di Maradona con la maglia del Napoli. Eroe crepuscolare, “malinconico, introverso”, partecipò alla sua festa di addio al celibato, tre giorni di baldoria sfrenata a Buenos Aires. Da cui tornò malato. Lo scrisse anche la moglie lanciando un atto di accusa, che però, chissà perché, si rimangiò tutto. Così oggi quel numero uno è finito nelle infide plaghe dell’oblio e della rimozione (un po’ come le malattie misteriose dei giocatori dell’Inter di Mazzola).

Perché il calcio è un giocattolo che ricaccia violentemente ai margini chi vuole guardarci dentro, un tempio dove anche il sospetto è considerato blasfemo: accetta solo incenso per i suoi idoli, poeti che cantino le loro gesta, folle che applaudano senza se e senza ma.

Sono passati trent’anni e pare un’altra epoca, il Paleolitico, il calcio piccolo mondo antico delle passioni genuine, fusaje e caffè Borghetti, non ancora strangolato dal business, svenduto a Satana e le sue pompe.

Mentre in Qatar il Brasile è liquidato ai rigori dalla Croazia, gettando nell’angoscia un continente e il meraviglioso Marocco operaio ha asfaltato Spagna e Portogallo, facendone esultare un altro, a Bruxelles arrestano parvenu che facevano da ufficio-stampa ai Mondiali e la Juventus è in liquidazione, esce “Giuliano Giuliani, più solo di un portiere”, del giornalista veneto Paolo Tomaselli, 66THA2ND, Roma 2022, pp. 208, € 16,00, collana “Vite inattese”, progetto grafico di Silvana Amato, cover di Francesco Sanesi, illustrazione cover Guido Scarabottolo, ufficio stampa Giulia Capotorto.

E’ la ricostruzione della vita interrotta al top del solo calciatore, che si sappia (ma il mainstream è abile a occultare), morto per un virus e del suo magmatico tempo storico. Inclusa un’appendice giudiziaria, giusto per riecheggiare Tangentopoli, conclusasi con un’assoluzione.

Tomaselli ci fa respirare, pagina dopo pagina, gli umori di quegli anni formidabili e romantici, rivivere le passioni di un calcio che odorava di cuoio e grasso, di attese in panchina e di esordi, di amore per la maglia e la città (basti dire di Gigi Riva e delle proposte più o meno indecenti della Juventus). Il calcio dei riti propiziatori, le superstizioni, sale e cornetti rossi. Di Oronzo Canà, palla lunga e pedalare. Di presidenti folkloristici (da Ferlaino a Massimino), cronisti della barba al palo (da Tonino Carino a Luigi Necco), e poeti figliocci di Trilussa, scusa Ciotti, a te Ameri….

I fondi d’investimento, le multinazionali, le speculazioni finanziarie e i paperoni arabi e cinesi sarebbero arrivati molto dopo. Ma i petrodollari e i bitcoin non si traducono in sentimenti, passione, bellezza.

Ci viene in mente lo scrittore uruguagio Eduardo Galeano: “Per una bella giocata, andrei in capo al mondo”. Noi, addirittura, sul pianeta scoperto dall’immaginifico Gianni Brera, Eupalla...