Il pavone e il volto di Era, tra curiosità, arte e proverbi


VITTORIO POLITO -
Il pavone, particolarmente apprezzato per la sua bellezza, è il nome di due specie di uccelli galliformi appartenenti al genere Pavo, il primo “muticus” proveniente dall’Indocina, Sumatra e Giava, e il Pavo comune o crestato (pavo cristatus), di origine indiana, oggi diffuso in tutto il mondo. Sono animali lunghi anche più di un metro, esclusa la coda, e noti per la bellezza del piumaggio: nel maschio le penne del groppone e del sopraccoda, molto lunghe e sottili, sono brillanti di riflessi metallici, con all'apice una caratteristica macchia azzurra su fondo castano, durante il corteggiamento vengono sollevate a guisa di ventaglio (si dice allora, che il pavone fa la ruota). In senso figurato il pavone è simbolo di vanità e di superbia, soprattutto per la caratteristica dei pavoni di fare la ruota e per la tipica andatura.

Per il pomposo dispiegarsi a forma di ruota delle penne della sua coda era ritenuto un simbolo del Sole; attraverso Babilonia, la Persia e l’Asia Minore, giunse a Samo, dove diventò l’uccello sacro del santuario di Era. Nell’Atene del V sec. a.C., per vedere i pavoni, considerati rarità esotiche, si pagava il biglietto, mentre a Roma nel II sec. a.C. divennero gli animali sacri a Giunone. In India molte divinità erano raffigurate a cavallo di un pavone, mentre nel mondo occidentale il pavone era innanzitutto il distruttore dei serpenti e si spiegavano così i colori cangianti delle penne della coda con la sua capacità di tramutare il veleno dei rettili in sostanza solare.

In Cina, il significato positivo del pavone era dovuto all’influenza esercitata dalla cultura indiana (la dea Sarasvati cavalca un pavone, Indra siede sul trono del pavone. Il pavone incarna la bellezza e la dignità, scaccia le forze maligne e danza quando vede belle donne. Raramente il pavone è presente nell’arte araldica.

Una mia amica artista, Marialuisa Sabato, ha realizzato recentemente una sua opera denominata appunto “Il volto di Era”, opera che è stata oggetto anche della copertina di un mio libro. L’opera “Il volto di Era” descrive, secondo l’autrice, un sentimento. «Uno splendido pavone mostra la sua ruota cimentandosi in una deliziosa danza d’amore. Non si riesce a vedere l’amata dall’incantevole volatile, la fortunata destinataria del maestoso inchino, ma la nostra mente lavora e sviluppa la scena, architettando una sdolcinata schermaglia amorosa nella natura bianca come la purezza di ciò che sta nascendo. Nessuno potrebbe resistere a tanta bellezza… il pavone (il “volto di Era”, come lo chiamavano gli antichi greci per celebrarne l’incommensurabile splendore) ha già vinto e noi, sinceramente, sussultiamo di gioia per il coronamento di questo sogno d’amore».

(Marialuisa Sabato: “Il Volto di Era” – Acrilico su tela 60x80)

Ed ora vediamo i proverbi che dicono.

Al pavone piace solo la sua coda. Ciascuno si compiace di ciò che ha di più bello, mentre trascura quanto non lo è o lo disonora. Il pavone ha una coda bellissima ma non altre doti.

Al pavone manca la voce dell’usignolo. Se il pavone unisse alla magnificenza delle penne la grazia del canto sarebbe una creatura da favola.

Chi è nato pavone resta pavone anche senza le penne. Le abitudini al lusso, alla ricchezza, al potere non spariscono neppure quando vengono a mancare i mezzi, la forza.

Quando si sente lodato il pavone fa la ruota. Quando un vanitoso riceve delle lodi, diventa ancor più vanitoso, non può fare a meno, appunto, di “pavoneggiarsi”. Il comportamento del pavone con la sua ruota era già stato dei latini come segno di alterigia.

Chi vuol lodare il pavone non guardi i piedi e non ascolti la voce. Ognuno va apprezzato per quel che ha di buono. Il pavone ha piede di rapace e voce sgradevole. A proposito di tali caratteristiche un esametro di età medievale recita: “Il pavone è un angelo per la penne, ha il piede di ladro e voce d’inferno”.

Curiosità

Laura De Rosa, in una sua nota, racconta che nell’antica Grecia il pavone divenne protagonista di un famoso mito. «La bella e giovane ninfa Io stava rientrando a casa dal padre Inaco quando lo sguardo di Zeus si posò su di lei. Tentò di fuggire correndo nel bosco per nascondersi ma Zeus non ne volle sapere e fece scendere una fitta nebbia, che gli permise di avvicinarla e di farla sua. Giunone, moglie di Zeus, si insospettì vedendo tutta quella oscurità e così, gelosa, scese sulla terra ed eliminò la nebbia per capire cosa stesse accadendo. Zeus si accorse che la moglie era nei paraggi e per sviarla, tramutò Io in una giovenca. Giunone la vide e volle averla in regalo tanto era bella. Zeus accettò per non insospettirla e Giunone, che in realtà aveva intuito la verità, la affidò ad Argo dai cento occhi, che l’avrebbe custodita con attenzione.

Un giorno la giovenca Io si avvicinò a un fiume specchiandosi nelle sue acque ma vedendosi, si ritrasse intimorita. Vide suo padre e le sue sorelle che purtroppo non la riconobbero. Il padre però le porse dell’erba, lei tracciò con la zampa una scritta sulla polvere in modo da farsi riconoscere. Proprio in quel momento giunse Argo che la trascinò via. Ma Zeus si impietosì per la ragazza e decise di farla liberare da Mercurio. Quest’ultimo nei panni di un pastore si presentò ad Argo suonando una dolce musica e narrando la storia di Pan e Siringa. Argo si addormentò e Mercurio gli tagliò la testa dai cento occhi. Quando Giunone lo scoprì, si arrabbiò moltissimo e costrinse Io a peregrinare per il mondo finché raggiunse le sponde del Nilo. Qui Io supplicò Zeus di avere pietà. Quest’ultimo riuscì a convincere Giunone a liberarla e Io si trasformò finalmente in una fanciulla. Giunone raccolse la testa di Argo e per omaggiarlo mise i suoi cento occhi di luce sulla coda della sua creatura sacra, il pavone. Questi occhi simboleggiano le stelle, l’universo, la luna, la volta celeste. I Romani non a caso chiamavano il pavone “uccello di Giunone”».

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