Missione archeologica a Dime Es-Seba (Fayyum, Egitto): i risultati delle ricerche 2022 del Centro Studi Papirologici Unisalento


Nei giorni scorsi si è conclusa la diciannovesima missione archeologica del Centro di Studi Papirologici dell’Università del Salento a Dime es-Seba (Fayyum, Egitto), dove dal 2004 ricercatori dell’Ateneo dedicano almeno un mese all’anno allo scavo dell’insediamento di epoca ellenistica e romana (III secolo a.C. - III secolo d.C.) dell’antica Soknopaiou Nesos, nel deserto del Fayyum, a nord del Lago Qarun, in un ambiente iper-arido che ha conservato particolarmente bene gli edifici in mattoni crudi e il loro contenuto. Il sito è molto noto tra gli studiosi per il grande numero di papiri scritti in greco e in demotico che vennero rinvenuti soprattutto alla fine dell’Ottocento. Iniziata sotto la guida di Mario Capasso, ora professore emerito di Papirologia, la missione è attualmente guidata da Paola Davoli, professoressa di Egittologia a UniSalento.

Quest’anno la missione, possibile grazie al finanziamento dell’Università del Salento, del Ministero Italiano per gli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dell’American Endowment Fund (dell’American Research Center in Egypt), ha avuto come obiettivi lo scavo di alcune strutture di servizio del tempio dedicato al dio Soknopaios e il restauro di alcuni monumenti.

Lavori di scavo

L’area templare è racchiusa da un alto muro (temenos) in mattoni crudi, che si conserva in alcuni tratti per circa 15 metri in altezza e che venne costruito all’inizio dell’epoca romana (fine I sec. a.C.). All’interno del recinto sacro sono ancora visibili diverse strutture oltre ai tre templi, di cui due già scavati dal team salentino. Tra questi edifici di servizio ci sono case dei sacerdoti, come testimoniato dai papiri, cappelle per il culto, e strutture di servizio, come ad esempio le cucine in cui veniva preparata l’offerta giornaliera destinata agli dei.
Lo scavo di quest’anno ha posto in luce due ambienti usati per cucinare cibi e pane, situati a ridosso delle mura del temenos. Il loro stato di conservazione non è ottimale ma, nonostante ciò, lo spesso strato di cenere diffuso sui pavimenti dei due ambienti ha conservato molti materiali, tra i quali monete di Nerone, Antonino Pio e Traiano, papiri in greco contenenti testi documentari datati in alcuni casi all’epoca dello stesso Antonino Pio e di Commodo, strumenti in osso, vasellame in ceramica e ostraka scritti in demotico con elenchi di sacerdoti suddivisi in philae, ovvero in gruppi di servizio. I papiri erano probabilmente stati raccolti insieme con cesti e sandali in fibre vegetali e legni di vario tipo per essere usati come combustibile per forni e fornelli. Piuttosto interessante in questo contesto è la presenza di vasellame in vetro finissimo, trasparente bianco, di probabile importazione da centri di produzione egiziani e forse impiegato per la tavola degli dei.
L’altro edificio indagato si è conservato solo nel suo piano interrato, in cui vi sono tre cantine coperte con volta a botte, di cui una completa e ben conservata. Si tratta verosimilmente di una casa di sacerdoti di epoca romana, rimaneggiata più volte e costruita al di sopra di edifici di epoca ellenistica di cui rimangono alcuni muri. Le tre cantine hanno restituito materiali di uso comune molto interessanti e in ottimo stato di conservazione, come anfore, di cui una con parte del contenuto ancora sul fondo costituito da una conserva di pesce salato, un siga, ovvero un grande vaso globulare per liquidi importato dall’Oasi di Baharia, piatti e tazze in ceramica e in faïence azzurra, mortai, bicchieri e vasellame fine in vetro soffiato.
Livelli abitativi e di uso di epoca ellenistica sono stati raggiunti anche al di sotto di un altro edificio di culto, situato nell’angolo nord-ovest del temenos e scavato nel 2021. In questo caso si tratta di un’area utilizzata per il taglio di blocchi in calcare giallo che dovettero servire per la costruzione di edifici di epoca tolemaica. Successivamente la zona, che all’epoca doveva trovarsi all’esterno del temenos sacro, ospitò per lungo tempo pecore e capre, per poi essere inglobata nel temenos di epoca romana. I rinvenimenti di epoca ellenistica sono di particolare interesse per la ricostruzione delle fasi costruttive e abitative di Soknopaiou Nesos, di cui si conosce ancora troppo poco. I rinvenimenti di quest’anno aprono nuove prospettive di interpretazione dell’evoluzione dell’area sacra.

Lavori di restauro

I lavori di restauro si sono concentrati in alcuni punti delle mura del temenos, là dove vi era un pericolo di crollo dovuto all’erosione alla base dei setti murari. Sono quindi stati rinforzati due setti del muro ovest con mattoni di nuova fabbricazione, ma secondo le tecniche e le dimensioni antiche. Tale restauro è stato anche l’occasione per lo studio di dettaglio delle tecniche costruttive impiegate nel temenos.
Inoltre, sono state consolidate le mura ai lati del portale d’ingresso principale all’area templare, situato a sud e di fronte alla strada pavimentata (dromos) che attraversa da nord a sud l’abitato e che era usata per le processioni religiose. Anche in questo caso la costruzione dei nuovi corsi di mattoni crudi ha offerto l’occasione per uno scavo nell’area del portale, che ha posto in luce la base degli stipiti costruiti in blocchi di calcare giallo del portale monumentale. È stato così possibile capire che la pavimentazione originale si trova due metri al di sotto dell’attuale piano di calpestio costituito da sabbia e detriti. Purtroppo, il portale è stato demolito in antichità e si è dunque solo in parte conservato. Esso venne costruito con il reimpiego di blocchi, rocchi di colonne e fregi, recuperati da un precedente chiosco tolemaico.
Una cantina di un edificio di servizio costruito a ridosso del portale è stata indagata. Si tratta di un vano sotterraneo per la conservazione di derrate alimentari ancora coperto con volta a botte e pertinente ad un edificio che sarà scavato nel 2023. Al suo interno c’erano ancora monete di Vespasiano, ostraka in demotico e sigilli in argilla con stampiglia figurata, che dovevano sigillare contenitori in legno. Nello scavo di questa zona sono stati recuperati tra sabbia e detriti, e quindi privi del loro contesto originario di uso, alcuni papiri arrotolati e chiusi da sigilli, un frammento di statua raffigurante un personaggio maschile di epoca romana e un’anta in legno di cofanetto, dipinta con una immagine di giovane donna. Purtroppo, la mancanza di iscrizioni impedisce di identificare il soggetto così come l’uso del mobiletto a cui apparteneva.
Il restauro si è quindi esteso al tempio di epoca tolemaica in particolare stato di degrado, essendo in gran parte costruito con pietre locali irregolari. L’edificio si conserva per un alzato di una decina di metri e molti muri sono parzialmente crollati. La ricostruzione e consolidamento dei muri sono iniziati da un ambiente centrale, una scala, particolarmente pericolante. Lo scavo dell’ambiente ha consentito di mettere in luce due rampe di gradini ben conservate e di ricostruire parte della terza. L’edificio aveva due livelli di stanze e un terrazzo sul tetto, accessibili per mezzo di questa scala.

Il gruppo di lavoro

Il Rettore Fabio Pollice ha trascorso un’intera giornata nel cantiere archeologico; la sua visita è stata anche l’occasione per celebrare il rinnovo di un “Memorandum of Understanding” con l’Università del Fayyum, con la quale la missione salentina collabora dal 2011.
Del gruppo di lavoro hanno fatto parte quest’anno: Ahmed Abdelgawad, Stefania Alfarano, Elisa Arcadi, Ashraf Barakat, Bruno Bazzani, Alberto Buonfino, Clementina Caputo, Francesca Cozza, Giuseppe Dicanio, Silvio Di Cello, Cesare Iezzi, Salima Ikram, Roberta Petrilli, tre ispettori del Supreme Council of Antiquities e 43 operai egiziani.

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