Martina Franca, la festa del dialetto e don Giuseppe Grassi


TERESA GENTILE -
Nella sala consiliare del Comune di Martina Franca il prossimo 17 gennaio alle 18, per iniziativa dell’Associazione culturale della Cutizza 2010 per la salvaguardia dei dialetti, presieduta da Giovanni Nardelli, della pro loco diretta da Vito Manzari e del gruppo Umanesimo della Pietra diretto da Nico Blasi, con il Patrocinio del Comune e dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Martina Franca, si terrà un interessante incontro culturale nel ricordo di don Giuseppe Grassi (1881-1953), a 70 anni dalla sua scomparsa e nel contesto della Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue locali. L’iniziativa della Giornata dedicata al dialetto, come da un decennio, sarà seguita con interesse anche dalle scuole locali d’ogni ordine e grado e dalle emittenti televisive.

Ciò sta avvenendo perché il presidente Giovanni Nardelli con l’ex presidente Rosa Maria Vinci, Martino Fumarola e numerosi altri esperti della parlata dei nostri avi appartenenti a tante altre associazioni locali e in particolare all'Umanesimo della Pietra, in questi anni stanno sempre più “contagiando” l’ambiente scolastico, artigiano, artistico e sociale con poesie, canti locali popolari, conoscenza, catalogazione e uso di antichi strumenti di lavoro (che ancora non hanno un museo attrezzato dove possano ancora essere custoditi, sottratti ai focolari ma utilizzati per prendere diretta conoscenza di preziosissime competenze lavorative e raccogliere anche testi realizzati da varie scuole in relazione a ricerca di tradizioni, approfondimenti culturali, ricerche di glottologia e storia tante bellezze d’ arte sparse sul nostro territorio urbano e rurale e realizzate in pietra, in ferro, in creta e persino utilizzando vimini). La giornata dedicata al dialetto attinge linfa vitale proprio dal passato che a noi appartiene e per questo passato si sta rivelando valido trampolino di lancio verso luminosi orizzonti di turismo, interscambio di esperienze e conoscenze ,recupero di ben definite identità culturali capaci di ridonare alle nuove generazioni una rinnovata speranza di poter fare… ancora in tempo a prender coraggiosamente in mano le redini dell’ardua impresa volta a rendere migliore il futuro non distruggendo o dimenticando qualcosa ma …recuperando valori che solo in apparenza sono in estinzione ma che... se i nostri scrittori, artisti, artigiani, scuole, famiglie e la politica sapranno collaborare in modo responsabile, costruttivo e sereno delineeranno, grazie a ben organizzati laboratori sparsi in ogni quartiere cittadino e in ogni contrada una nuova, attraente e beneaugurante aurora di Lavoro “da imparare a far presto, bene e con amore”. E se ci sarà LAVORO… ci sarà la PACE! Del resto la giornata dedicata nell’Italia intera al dialetto si sta rivelando come ottima occasione per poter organizzare e rendere visibili e attraenti innumerevoli manifestazioni: da quelle di danza e canto popolare alla raccolta di libri sui dialetti, ai convegni, ai concorsi vernacolari, alle raccolte poetiche, alle rappresentazioni teatrali, ecc.”.

Ogni talento, in questa giornata, è attivamente sollecitato dal… canto ammaliante da sirena delle tradizioni, del sentimento, degli affetti più cari a dare il proprio contributo di LUCE e di indomita speranza che ogni sogno coltivato e incastonato nel cuore costituisca realmente per noi tutti un prezioso faro per proseguire il viaggio della vita e sentirci realizzati, felici e consapevoli che a noi spetti il compito di trarre linfa vitale dal passato e operare con amore pure tra i bui marosi che ci riserva la vita. A noi spetta un comportamento aperto, partecipe, rispettoso, creativo, degno di Cavalieri e Dame dell’Arcobaleno capaci di attualizzare i loro ricordi, realizzare i loro sogni, condividere le loro idee di bellezza, creare emozioni positive e contribuire ad accrescere l'armonia ancora presente nel Creato evitando di divenire persone rinunciatarie, gregarie, egoiste, violente, anaffettive, indifferenti , crudeli e prive di capacità di amare e rispettare se stesse, gli altri, le proprie radici identitarie....abdicando a un futuro che, se lo volessero, potrebbe essere a misura d'uomo libero e non di robot privi di umanità e programmati per uccidere.

Interessante è il collegamento della Giornata del Dialetto (che sarà festeggiata a Martina il 17 gennaio 2023, alle 18, nell’aula Consiliare del Palazzo Ducale) con il ricordo di don Giuseppe Grassi di cui ho trattato nel testo “I sacerdoti poeti nella Martina del ‘900” (Ed. Arti grafiche pugliesi 1989), un sacerdote vissuto tra il 1881 e il 1953 e che ben presto rivelò doti non comuni non solo di genuino sentire religioso ma anche di profondo osservatore della realtà. In lui coesistevano bontà, cultura, oblatività, fede, visione poetica dell’esistenza, grande amore per la filosofia, la storia, la poesia, la musica, la scuola e i figli del popolo. Era consapevole che la chiesa dovesse concorrere nel migliorare le pessime condizioni sociali presenti a Martina. Divenne anche giornalista della redazione “Rinascenza salentina” di Lecce, della rivista Taras di Taranto e dell’Osservatore pugliese. Era consapevole che fosse l’uomo il vero artefice della storia che gli appartiene e, se vuole, può crescere non in capacità di bullismo ma in cultura, democrazia e libertà. Poi insegnò al seminario di Taranto e fu sostenitore del diritto delle donne a poter votare, a istruirsi, essere indipendenti e frequentare anche le università. Ben presto scoprì il proprio amore per la poesia popolare. Tra l’altro organizzò la riuscitissima Festa dell’uva che costituiva il trionfo della cultura contadina e compose mistiche liriche religiose, fece certosine ricerche storiche e folcloristiche, attinse molti proverbi, modi di dire, racconti morali, storia e storie dalla parlata ancora utilizzata nelle contrade dai più anziani e lo fece in un periodo in cui il dialetto non era accettato dal mondo della cultura che ancora era per ceti nobili e scoprì anche interessanti costumi locali utilizzati dai contadini durante le feste di corteggiamento, di fidanzamento, di matrimonio e che dopo ogni lauto pranzo venivano indossati per danzare sull’aia dopo i raccolti. In seguito egli si pose in contatto con cultori di glottologia di altre regioni italiane e specialmente del Salento. Nel 1922 dette alle stampe il testo “Il dialetto di Martina Franca - fonetica” e in esso ricostruì la parlata martinese intesa come lingua e linguaggio, espressione del vivere, materia di storia e fede, espressione del sentire e raccolse in esso anche nenie, filastrocche e proverbi. Nel 1917 pubblicò “Nenie e filastrocche salentine”. Egli amando il nostro dialetto lo considerò patria del cuore, culla dei ricordi più cari, legati alla memoria dei nostri padri che seppero essere onesti, laboriosi, legati alla puntualità, all’amicizia, alla parola data e al lavoro da fare tanto presto e bene da essere chiamati maestri pur non essendo mai andati all’università ma cercando con umiltà di farlo sempre meglio. Spesso egli diceva che ogni uomo non sia fatto solo di ragione fredda e calcolatrice ma abbia bisogno di un qualcosa in più per essere felice e realizzato.

Questo qualcosa che lo rende più degno di se consiste nella consapevolezza delle proprie emozioni, tra cui è basilare quella volta a saper distinguere tra di esse quelle positive dalle negative. Per questo sua norma di vita era questa “In qualunque azione che vuoi fare chiedi a te stesso se sia lecita e onesta e se avrà il potere di far felice o far soffrire qualcuno e non essere mai impulsivo ma soprattutto valuta il peso delle parole e se esse possano ferire qualcuno e troncare un’amicizia impara a tacere”. Seppe esprimere tale concetto anche in poesie e bozzetti di vita che offrivano norme di vita virtuosa non in modo cattedratico ma con la semplicità utilizzata in famiglia dai nonni nei loro racconti dedicati ai nipoti e le sue riflessioni trovavano nella immediatezza comunicativa della parlata popolare il modo più puro e più spontaneo per dar voce a sentimenti, iridescenze di sapere e saperi ereditati da ben sette etnie (QUI GIUNTE da nazioni lontane che erano in guerra, nel corso del tempo). Etnie che si stanziarono nella magica Valle d’ Itria e i cui discendenti sanno ancor oggi convivere in modo libero e democratico, continuando a scambiarsi cultura e crescendo in competenze lavorative, amicizia, rispetto e, soprattutto, in umanità.