Freddie Mercury, che il suo lavoro piaccia o no, è stato in assoluto uno dei personaggi più memorabili del pop britannico, e una figura talmente caratterizzata da intimidire biografi, registi e soprattutto attori che dovessero impegnarsi nel raccontare la sua vita al cinema. A quasi trent’anni dalla sua scomparsa, Bryan Singer e Rami Malek hanno affrontato la scommessa. Mercoledì 1 marzo, alle 21.25, Rai 1 propone “Bohemian Rhapsody”, vita, arte e imprese del leader dei Queen, gruppo fra i più popolari e acclamati del secolo scorso, in Gran Bretagna e in tutto il mondo. Il film racconta i primi quindici anni di carriera della band, dalla loro formazione nel 1970 fino all’esibizione del 1984 durante il Live Aid londinese.
Oltre al percorso artistico dei Queen, la storia traccia un approfondito ritratto di Freddie Mercury, uomo dal traboccante talento artistico e dalla movimentata vita personale. La riflessione su omosessualità e bisessualità del musicista è molto presente, ma il film ha anche il pregio di approfondire tutta una serie di elementi che caratterizzano il rapporto fra la creatività artistica e la strategia commerciale dei produttori che vorrebbero far rientrare i loro musicisti in sentieri più prevedibili. La canzone Bohemian Rhapsody - che dà il titolo al film ed è a tutt’oggi uno dei brani più amati della band - fu ad esempio prodotta e distribuita grazie all’ostinazione di Mercury e dei suoi amici; secondo i manager discografici il brano era esageratamente lungo, con i suoi oltre sei minuti, per risultare tollerabile a un ascoltatore medio e soprattutto ai palinsesti radiofonici.
Il lavoro di Rami Malek, l’attore americano di origine egiziana che interpreta Mercury, gli è valso l’Oscar per la migliore recitazione maschile (in tutto le statuette vinte da Bohemian Rhapsody sono state quattro): la somiglianza è impressionante, così come fa colpo la qualità del lavoro sulla corporeità e le movenze del cantante.