Ciao Maestro


FRANCESCO GRECO
- Ho incontrato per la prima volta il Maestro Gianni Minà negli spogliatoi dello Stadio Olimpico di Roma dopo un’amichevole Italia-Argentina finita 2 a 2. Di cui la rete, stranamente, non conserva memoria.

Qualcuno mi smentirà, ma credo che Maradona non avesse segnato. C’era anche un’altra grande firma del giornalismo: Gianfranco de Laurentiis. Entrambi alla Rai. Gianni trattava il fuoriclasse con familiarità, credo fossero amici. Parlavano in spagnolo come padre e figlio. Mi colpì la bassa statura dell’argentino.

Noi ragazzini appuntammo qualcosa sui taccuini e tornammo velocemente in redazione a fare la cronaca della partita e gli spogliatoi per chiudere la pagina. I giornali, si sa, hanno tempi strettissimi e a volte si dettava “a braccio” alla ragazza del dimaphone.

Gianni era amico di tutti, non se la tirava, era prodigo di consigli, era autorevole di per sè. Si dedicava ai grandi campioni e agli uomini che hanno fatto la Storia, ben sapendo che ci sarebbe entrato anche lui. Celebri le sue interviste con Fidel Castro, Cassius Clay e tanti altri.

Un Maestro di giornalismo e di vita, parlava a voce bassa, aveva quel sorriso sornione di chi ha i contatti giusti, entrature ovunque. D’altronde, se non hai quelli, puoi solo passare comunicati-stampa e scrivere della sagra del pesce fritto.

Possiamo dirlo: abbiamo avuto ottimi maestri. Oltre a Gianni e de Laurentiis, Gianni Brera, Paolo Valenti, Maurizio Barendson, Nando Martellini, Mario Gismondi, Massimo Lo Jacono, e poi Montanelli, Biagi, Galeazzi e qualcun altro. Quando il giornalismo, e non solo sportivo, era epica, favola, mito.

Oggi non si sono più maestri, nel senso che tutti si sentono e si “vendono” come tali. Scrivono come i verbali delle forze dell’ordine, o come se a ogni articolo dovessero salvare il mondo o fare la rivoluzione. Sarà anche per questo che i giornali stanno morendo?