La ASL protegge “chi cura”: una giornata di sensibilizzazione contro la violenza ai danni degli operatori sanitari e socio sanitari

BARI – Dalla testimonianza di una giovane infermiera presa a calci e inseguita da una paziente al Pronto soccorso dell’Ospedale di Venere, all'attivazione di un sistema di allerta nei pronto soccorso e nelle guardie mediche per la salute e la sicurezza degli operatori, dagli interventi da mettere in campo per fare informazione e prevenzione, alla introduzione di uno sportello di counselling psicologico dedicato a chi subisce aggressioni e/o minacce. Sono stati i temi e le proposte al centro della giornata di sensibilizzazione contro la violenza ai danni degli operatori sanitari e socio sanitari, organizzata oggi dalla ASL di Bari e dal CUG (Comitato unico di garanzia) dal titolo “Proteggiamo chi cura”, in vista del 12 marzo, data in cui ricorre la seconda edizione della Giornata nazionale per la educazione e prevenzione della violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, istituita dal Ministero della Salute.

L’Auditorium Arcobaleno dell’ex CTO a Bari ha ospitato, questa mattina, un momento di confronto, analisi e condivisione di testimonianze ed esperienze aperto a tutti i dipendenti della ASL sul tema della violenza. Una problematica sociale, in aumento, su cui la Prefetta della città di Bari, Antonella Bellomo, intervenuta per i saluti istituzionali, ha garantito il supporto della istituzione che rappresenta. “Su indicazione del Ministero, sono stati attivati tanti presidi di polizia nelle strutture sanitarie a livello locale – ha detto Bellomo - stiamo intervenendo anche con altre misure specifiche”. Per la ASL di Bari, infatti, una delle azioni messe in campo per potenziare la salute e la sicurezza dei lavoratori è l’attivazione di un sistema di allerta in collegamento diretto con la Centrale operativa della Questura in modo da garantire un intervento tempestivo in caso di necessità. “Gli uffici tecnici – ha confermato il direttore generale Antonio Sanguedolce - stanno predisponendo un nuovo sistema di allarme che sarà presente in tutti i pronto soccorso degli ospedali e nelle guardie mediche presenti sul territorio: l’allarme serve a tranquillizzare i nostri operatori che potranno chiedere aiuto in casi di emergenza spingendo semplicemente un pulsante”. Il sistema di allerta non è l’unico strumento per agire a tutela dei dipendenti e riconquistare la fiducia dei cittadini: “Servono formazione e comunicazione – ha ricordato il neo direttore sanitario Luigi Rossi - Ci dobbiamo interrogare sui servizi forniti e dobbiamo sapere accogliere, fare rete, cambiando l’approccio all’utenza”.

Per la presidente del Comitato unico di garanzia, Lorenzina Maria Proscia che quotidianamente opera per il benessere psico fisico dei lavoratori, “La violenza è inaccettabile e influisce anche sul modo di lavorare compromettendo la qualità delle cure. Il problema sta assumendo sempre più le dimensioni di una emergenza – ha proseguito nel suo intervento Proscia – è indispensabile promuovere buone pratiche, come ad esempio l’attivazione di uno sportello di counselling psicologico aziendale a sostegno dei dipendenti per diminuire lo stress lavoro - correlato”.

Sono state più di 40 le denunce di aggressioni sia verbali che fisiche ai danni di operatrici e operatori sanitari raccolte dal Servizio di Prevenzione e Protezione Aziendale (SPPA) nel corso del 2022. Gli episodi di violenza sono avvenuti non solo nei “luoghi sensibili”, come i Pronto soccorso, o nei servizi del Dipartimento Salute mentale, ma nel 30 per cento dei casi, si sono verificati anche in ambulatori, uffici amministrativi e in altri reparti. Chi aggredisce è quasi sempre un paziente. Chi subisce è quasi sempre un medico, o un infermiere ed è spesso donna. Come conferma l’ultima aggressione, in ordine di tempo, avvenuta il 14 gennaio 2023, ai danni di Francesca Fumai, 25 anni, infermiera, in servizio presso il pronto soccorso dell’Ospedale Di Venere, presa a calci e inseguita da una paziente che pretendeva di essere visitata immediatamente nonostante avesse una lieve ferita a un dito e un codice verde. “Dopo l’aggressione ho avuto tanta paura per le ritorsioni- ha raccontato l’infermiera – ma sono tornata al lavoro, proprio al triage, laddove mi ero fermata quella notte. Il triage è il primo punto di contatto con i pazienti ed è quindi un posto a rischio. Non mi hanno fatto male le ferite fisiche– ha continuato nella sua testimonianza – quanto l’ingiustizia del gesto subito.” Da qui l’appello alla popolazione: “Nessuna pietà, nessun vittimismo, nessuna medaglia al valore, chiediamo solo Rispetto”.

Gli episodi di aggressività nel contesto sanitario sono tuttora sottostimati, sebbene siano molto frequenti e in crescita costante. I dati che si evincono dalla letteratura evidenziano una maggiore prevalenza nei Servizi di emergenza-urgenza (Pronto Soccorso, SEU 118, Continuità assistenziale); Strutture Psichiatriche (CSM e SPDC); SERD, Strutture Geriatriche e luoghi di attesa.

Guido Quaranta, direttore del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo e in servizio da 27 anni, ha illustrato alcuni correttivi messi in atto per ridurre le attese e gestire meglio gli accessi dell’utenza, come l’istituzione di un corridoio di precedenza per le donne in gravidanza e per i bambini con attesa vicino al tempo zero. “In sala triage – ha spiegato Quaranta - in base alla disponibilità di personale, effettuiamo elettrocardiogramma nei dolori toracici, tamponamento e disinfezioni delle ferite, e anche trattamento acuto del dolore”. Fondamentale è, inoltre, la denuncia da parte del personale aggredito. “Per la nostra esperienza – ha aggiunto Quaranta – la pratica della denuncia e la tolleranza zero, sono servite a far diminuire le aggressioni, in quanto anche il passa-parola degli utenti sulla sistematicità dei comportamenti ha indotto una maggiore cautela, grazie anche alla stretta collaborazione con la nostra direzione strategica”.

Il 23,8 % delle denunce presentate proviene dai Centri di Salute Mentale dove ricoprono un ruolo centrale il rapporto medico-paziente e soprattutto la comunicazione. Su questo aspetto si è soffermata la dottoressa Maria Grazia Porcelli, referente del Dipartimento Salute Mentale, che ha proposto interventi di prevenzione con corsi di formazione sulla comunicazione non violenta e sulle tecniche da fornire agli operatori oltre che percorsi di intervento sulle persone che sono state vittime di violenza: “Esistono evidenze scientifiche per cui se le vittime di aggressione vengono trattate entro le 96 ore dell’accaduto – ha detto Porcelli - gli effetti di stress emotivo riescono ad essere nettamente contenuti”.

Dal 2015 in poi, l’azienda sanitaria si è, inoltre, dotata di una procedura per prevenire e contrastare gli atti di violenza: “Il documento è consultabile anche sul sito aziendale – ha

rimarcato Fulvio Fucilli direttore SPPA (Servizio Prevenzione e Protezione aziendale), ed è utile perché fornisce agli operatori indicazioni pratiche per mitigare e attenuare le aggressioni compresi alcuni consigli su come difendersi fisicamente”. Una volta ricevuta la denuncia di aggressione, il Servizio SPPA organizza un audit sul posto con l’operatore aggredito e con il responsabile della Unità operativa per analizzare in dettaglio l’evento segnalato, acquisire dati ulteriori e formulare indicazioni operative. “Il rischio di aggressione –ha proseguito Fucilli – si può gestire attraverso: procedure comportamentali, formazione, corretta progettazione degli ambienti di lavoro e assistenza post aggressione”.

La Medicina del Lavoro è una delle componenti aziendali più attive nella lotta alla violenza. Tra le proposte avanzate per promuovere il “benessere organizzativo” dei lavoratori nelle strutture a maggiore criticità, c’è l’individuazione di un responsabile della Security. “Nel programmare ogni forma di tutela dei lavoratori sanitari – ha ricordato Franco Polemio, direttore Medicina del Lavoro, Sorveglianza Sanitaria e Radioprotezione medica – bisogna aver chiaro che gli incidenti violenti non sono degli eventi tutti inevitabili, in quanto in alcuni casi sono dovuti a situazioni specifiche, non sempre prevedibili, conseguenti a condizioni, situazioni, comportamenti imponderabili. Diversamente bisogna mettere in campo ogni misura per prevedere e prevenire la gran parte delle manifestazioni di violenza. Oltre alle misure organizzative, tecnologiche, strutturali – ha concluso - va programmata una formazione specifica continua degli operatori”.

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