Manlio Chieppa, 'Chiancaluna' Ciclo 2022-23, tecnica mista e pietra calcarea, f.to cm. 38,5x40x3,5 |
LIVALCA - Il 15 aprile del 1452, un sabato, nasceva Leonardo in un piccolo borgo vicino Firenze da ser Piero da Vinci (ormai gli studiosi sono tutti concordi: nacque a Vinci da una famiglia che di cognome faceva da Vinci) e da una signora di nome Caterina, ma figlio illegittimo perché nato fuori del matrimonio. Il padre era un notaio in Firenze, luogo in cui i da Vinci svolgevano la professione notarile da generazioni.
Sulla madre alcuni hanno scritto contadina, altri discendente di una nobile famiglia caduta in disgrazia. Leonardo anche se non fu allevato dalla madre, ebbe sempre notizie di lei, tanto è vero che nel 1493, ossia nel periodo milanese ormai quarantenne, si fece raggiungere dalla stessa: la signora restò con il figlio fino alla morte, avvenuta due anni dopo. Si racconta che Leonardo sedicenne fu dal padre condotto presso la famosa bottega di Andrea del Verrocchio: scultore e pittore nato a Firenze nel 1435 e morto a Venezia nel 1488 che aveva iniziato come orafo, mestiere in quel periodo in auge. Voce unanime riferisce che Leonardo iniziò a collaborare con Verrocchio nel 1469, ossia quando la bottega di quest’ultimo era la preferita dalle potenti famiglie dell’epoca, compresa quella dei Medici. Verrocchio aveva due anni in più del doppio degli anni di Leonardo e con lui collaboravano a bottega: Pietro Vannucci (quello che tutti conosciamo come ‘il Perugino’ e che era nato a Città della Pieve, due anni prima di Leonardo) che annovera a suo merito opere famose come il “Battesimo di Cristo”, lo “Sposalizio della Vergine” e la “Lotta tra Amore e Castità ”; Sandro Botticelli (Alessandro di Mariano Felipepi nato a Firenze nel 1445) il pittore del “sogno”, reso immortale dalla famosissima “Nascita di Venere”; Domenico Bigordi, figlio di un rinomato orafo di nome Tommaso detto Ghirlandaio, per cui egli stesso è celebre come “il Ghirlandaio”, che ci ha lasciato una splendida “Madonna col bambino” ed una suggestiva “Adorazione dei Magi”, dalla quale prese l’idea per realizzare un’opera da tutti definita ‘unica’ dal titolo “Autoritratto nell’Adorazione dei Magi”: sia i fratelli Benedetto e Davide, sia il figlio Ridolfo e il cognato Sebastiano Mainardi furono provetti pittori e collaboratori all’interno della sua bottega; Lorenzo di Credi, pittore nato a Firenze nel 1459, molto noto per le sue “Madonne col Bambino”, di cui un esempio di maggior elaborazione creativa può essere visionato presso la Galleria Sabauda di Torino. Quando il Verrocchio si spostò nella sua bottega di Venezia, lasciò proprio a Lorenzo il compito di dirigere la sua attività fiorentina. Ho ricordato questi valenti artisti perché Botticelli, il Ghirlandaio ed il Perugino hanno affrescato in San Pietro le pareti della cappella Sistina: ‘scenario’ che tutti dovremmo ammirare, almeno una volta, nella nostra vita terrena.
Ritengo che qualche parola vada dedicata alla bottega del Verrocchio: i maggiori studiosi sono concordi nell’affermare che la sua fu una di quelle che prestò più cura e attenzione all’influsso fiammingo e, soprattutto, fu allineata al Rinascimento del Pollaiolo. A proposito di Antonio Benci, questo il vero nome dello scultore, pittore ed orafo ‘battezzato’ “il Pollaiolo”, meritano una citazione molte opere, ma mi limiterò solo a menzionarne un paio. Antonio, che spesso è stato affiancato nel suo lavoro dal fratello Piero Benci, è stato scultore, pittore ed orafo: proprio quest’ultima competenza gli è servita per i lavori in argento, come la croce di San Giovanni, oggi depositata nel Museo dell’Opera del duomo di Firenze. Tra le sue opere più note senz’altro vi è “Il martirio di S. Sebastiano” (olio su tela cui ha collaborato il fratello Piero) che si trova presso la National Gallery in Londra e i sepolcri di papa Sisto IV, situato attualmente nelle Grotte Vaticane della Città del Vaticano, e di papa Innocenzo VIII collocato in San Pietro. Il Pollaiolo merita un cenno particolare per essere stato uno dei primi incisori, non a caso la più volte ricordata “Battaglia dei dieci uomini nudi” è una perfetta incisione a bulino (scalpello con punta in acciaio), testimonianza lampante di quanto fosse ‘padrone’ della nuova tecnica in quel tempo ignota ai più: il miglior esemplare giunto a noi si trova presso il Museum of Art di Cleveland.
Bisogna ammettere che il Leonardo scienziato-inventore ed artista completo si è forgiato nella bottega del Verrocchio, luogo in cui venivano realizzate tutte le opere considerate ardite per l’epoca, motivo grazie al quale immagazzinava dati ed esperienze che lo avrebbero aiutato nei suoi studi. Leonardo appena compiuto vent’anni entrò a far parte della Compagnia di San Luca: una specie di albo professionale cui erano iscritti i pittori e che, in sostanza, significava che era idoneo ad accettare ordini da privati da realizzare in proprio. Pochi citano una notizia che avrebbe potuto sconvolgere la carriera di Leonardo: nel 1476, insieme ad un orafo, un sarto ed alcuni ragazzi della ‘Firenze bene’, fu accusato di sodomia nei riguardi di un ragazzo di 16 anni: furono tutti assolti, ma ciò non impedì al padre del futuro Raffaello, il pittore Giovanni Santi, nella sua “Cronaca rimata” di scrivere «Due giovin par d’etade e par d’amori» e, all’epoca, molti ritennero che il riferimento riguardasse il Perugino e Leonardo.
Fu Lorenzo de’ Medici, salvatosi dalla congiura dei Pazzi in cui perse la vita il fratello Giuliano, ad inviare Leonardo a Milano presso Ludovico Sforza, meglio conosciuto come il Moro. Leonardo, forte della sua qualifica di inventore, arrivò sul posto con il prototipo di una lira d’argento avente la forma di un teschio di cavallo e partecipò ad una gara musicale (non ancora Sanremo, ma quasi!) vincendola. Per non smentire quella favola che racconta che anche i geni necessitano di un pezzo di carta come ‘scorta’, Leonardo si presentò con un documento in cui si elencavano le sue molteplici conoscenze. Possiamo chiamarlo anche curriculum, ma forse fu preso in considerazione perché aveva ‘l’avallo’ del Magnifico Lorenzo. In questo ambiente raffinato Leonardo mette in mostra le sue doti di ingegnere realizzando opere di idraulica, dando consigli, frutto di attenta analisi, per l’assestamento della rete dei navigli, ma anche come convogliare, in modo organico, il flusso delle acque. Chiaramente Leonardo a corte allestiva non solo spettacoli, ma anche feste in cui stupiva tutti con le sue invenzioni scenografiche e le creazioni di macchine uniche non solo per quei tempi. Proprio in quegli anni milanesi gli viene commissionata la stupenda “Vergine delle Rocce” (un olio su tavola che si trova al Louvre), cui segue la “Dama con l’ermellino” (il ritratto di Cecilia Gallerani, sempre olio su tavola, che si trova al Museo Czartoryski di Cracovia) e, cosa non trascurabile, realizza il celeberrimo disegno dell’Uomo Vitruviano che si può visionare nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia ed anche riprodotto sulla moneta da un euro in circolazione.
Tra il 1495-97 Ludovico il Moro commissiona a Leonardo il “Cenacolo”, quello che tutti conosciamo come ‘l’Ultima Cena’, da realizzarsi sul muro del Refettorio di S. Maria delle Grazie, all’interno di un progetto grandioso che intendeva trasformare chiesa e convento nel futuro sepolcro del Moro. Pensate Ludovico aveva affidato l’ideazione del tutto, sul piano architettonico, a Donato Bramante da Monte Asdrualdo (Urbino) che era diventato ‘ingegnere ducale’. Quando Leonardo iniziò il suo capolavoro da poco aveva terminato di dipingere la scena della Crocifissione, sulla fiancata opposta, l’artista Donato Giovanni di Montorfano, il quale, secondo la testimonianza del Vasari si era avvalso di una tecnica di «vecchia maniera». Leonardo incentra la sua opera raffigurando il momento più drammatico della cena: quando Cristo annuncia con parole semplici e precise «In verità vi dico: uno di voi mi tradirà » (Non posso esimermi dal segnalare che l’amico scrittore-poeta- giornalista Enzo Quarto ha pubblicato due settimane fa, per la SECOP edizioni di Corato, un libro dal titolo “In verità vi dico…” che sono delle meditazioni poetiche della Via Crucis esternate nella parrocchia Santa Famiglia di Molfetta; il libro è arricchito dalle tavole in terracotta realizzate dallo scultore molfettese Vito Zaza, scomparso nel 2014, ed il fatto che si parta proprio dall’ultima cena ritengo abbia una finalità di sano affetto, quella tenerezza che da Leonardo a Zaza attesta che un mondo senza speranza ed amore per la vita… non ha ragione di esistere).
Il matematico Luca Pacioli - vestito l’abito francescano insegnò a Firenze, Venezia, Perugia, Bologna, Pisa, Milano, Roma e Parigi - non era solo amico di Leonardo, ma una volitiva eminenza grigia nell’ambiente rinascimentale, autore di un trattato in cui si accertava la preminenza della matematica. Il Pacioli fu il primo a notare come l’opera di Leonardo facesse apparire gli apostoli vivi e parlanti e che l’unico assente fosse solo il ‘suono delle voci’. Su questo capolavoro sono stati scritti saggi da vari studiosi: alcuni hanno notato come le lunette superiori contenessero espliciti riferimenti agli stemmi sforzeschi circondati da fiori e frutti che richiamano la crocifissione (pero), il martirio (palma) e la salvezza (il melo); altri hanno segnalato come il gruppo a sinistra con Bartolomeo, Andrea e Giacomo avessero le loro teste protese verso Gesù, mentre il gruppo con Giovanni, Pietro e Giuda rappresenta quest’ultimo - il traditore - mentre stringe con la mano destra il sacchetto contenente le monete ed infine Taddeo, Simone e Matteo sono ritratti mentre discutono ‘animatamente’; tutti gli studiosi concordano nell’affermare come la testa di Cristo sembri essere confinata nella luminosità del cielo, ecc. ecc. Su un aspetto importante le voci sono concordi: la grandiosa opera, già nel periodo in cui visse il pittore ed architetto Giorgio Vasari (Arezzo 1511- Firenze 1574), era in uno stato non ottimale, prova ne sia che il critico d’arte più volte lo ‘attesta’ nei suoi scritti.
Ormai passati quasi quattro lustri, Leonardo che ha assistito all’occupazione di Milano da parte delle truppe di Luigi XII re di Francia, si trasferisce a Mantova, dove la duchessa Isabella d’Este lo accoglie benevolmente e gli commissiona il proprio ritratto, posando pure per il disegno preparatorio. Leonardo si sposta a Venezia, dove su incarico della Serenissima studia la realizzazione di fortificazioni, canali, chiuse ed altro per difendersi da un eventuale attacco dei Turchi. Finalmente rientra a Firenze e si stabilisce nel convento dell’Annunziata.
Già nel 1502 troviamo Leonardo al servizio di Cesare Borgia, il quale avviato dal padre cardinal Rodrigo alla carriera ecclesiastica, dopo varie ‘peripezie’ tipo quella che molti ritennero avesse avuto una parte preminente nell’uccisione del fratello Giovanni, ottenne sempre dal padre, ormai divenuto papa con il nome di Alessandro VI, la dispensa dallo stato ecclesiastico. Nonostante Leonardo avesse avuto la qualifica di ‘Architetto e Ingegnere Generale’ ed un lasciapassare che lo faceva circolare liberamente tra Urbino e i vari possedimenti di Borgia, decise di rientrare a Firenze; aveva intuito, infatti, che le imprese del suo datore di lavoro erano destinate al fallimento (Cesare Borgia deve una fama - immeritata? - a Machiavelli che nel “Principe” lo designa come modello di principe ideale che conquista il potere con astuzia, forza e violenza).
A Firenze, cacciati i Medici, era stata proclamata la Repubblica e il segretario è proprio Niccolò Machiavelli che, coadiuvato da altri illustri fiorentini, progetta la decorazione della Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Vecchio. Il compito affidato a Leonardo è quello di dipingere la “Battaglia di Anghiari” e, sulla stessa parete subito dopo, Michelangelo Buonarroti avrà l’incarico di dare vita alla “Battaglia di Cascina”. Se i miei ricordi non si sono ‘usurati’ di entrambi i lavori rimasero solo i cartoni, oggi inesistenti, ma sono serviti agli artisti degli anni successivi come modelli di riferimento per le loro opere: non per niente era chiamata “la scuola del mondo”.
Nel 1504 Michelangelo aveva ultimato il suo famoso e mitico David (opera in marmo alta oltre cinque metri) e Leonardo, che faceva parte della commissione chiamata a decidere dove collocare quello che doveva essere l’emblema della Repubblica fiorentina, propose fosse situato davanti la facciata di Palazzo Vecchio: così fu. Sulla Gioconda ci vorrebbero dieci articoli per esporre tutte le congetture-ipotesi-supposizioni-interpretazioni cui ha dato vita fin dal 1503, data su cui sono tutti d’accordo sia iniziato il lavoro. Di certo, pare, sappiamo che il grande Maestro Raffaello si sia ispirato a quest’olio su tavola per il ritratto di Maddalena Doni. In gioventù sapevo che la Gioconda era Monna Lisa del Giocondo, nel mezzo del cammin la marchesa Isabella d’Este, oggi, la duchessa Costanza d’Avalos e la nobildonna Pacifica Brandano. I più ritengono l’opera ultimata da Leonardo entro il 1513-15, altri, i perfezionisti a prescindere, fino al giorno della sua morte. Anche se non smette mai di dipingere, a questo periodo si fa risalire l’opera perduta nota come “Leda”, Leonardo si cimenta nel creare-sognare-ipotizzare imprese tipo fare deviare il corso dell’Arno, in modo da essere navigabile da Firenze alla foce (…oggi, pur non avendo un Leonardo a disposizione, pensiamo ad un ponte sullo stretto di Messina). Anche i suoi geniali studi sul volo degli uccelli, con l’ideazione di una macchina che facesse volare, naufragarono sulle colline di Fiesole.
Nel 1506 il governatore francese Charles d’Amboise lo richiama a Milano per nominarlo consulente di tutti i progetti in cantiere di ingegneria e architettura; Leonardo anche qui propone una canalizzazione dell’Adda ed un monumento equestre funerario per il maresciallo di Francia Trivulzio: entrambi i progetti non andarono in porto.
Nel 1513 torna a Roma invitato dal cardinale Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, che è diventato papa con il nome di Leone X. Il nuovo papa, avendo un fratello Giuliano non solo poeta ma amante di tutte le arti, darà ospitalità a Leonardo per tre anni in Vaticano, nel palazzo Belvedere. Il suddetto Giuliano impegna Leonardo in complessi studi per la bonifica delle paludi pontine ed anche nella progettazione di un nuovo, maestoso porto in Civitavecchia («Creare e far vivere un’idea vuol dire trattare l’impossibile… come se fosse possibile» Goethe pensava a Leonardo quando ha pronunciato questa frase). Per non essere da meno: Raffaello dipinge nelle Stanze Vaticane “La scuola d’Atene”, in cui Platone possiede le forme, i lineamenti e la figura di Leonardo; Michelangelo si appresta a terminare i suoi affreschi nella Cappella Sistina; Bramante in Vaticano sta gettando le basi della Fabbrica di San Pietro. Va segnalato che per rendere omaggio a Francesco I, nuovo re di Francia, da Firenze fu spedito a Lione un leone meccanico ideato da Leonardo: il successo di tale invenzione fu strepitoso e Leonardo dovette chiarire che si era ispirato alla città di Lione, ma anche al papa Leone X e al simbolo di Firenze, che raffigura un leone seduto nell’atto di sostenere e proteggere lo stemma del giglio. Non sappiamo se fu determinante l’invenzione di Leonardo per convincere Francesco I a proporre al nostro artista di trasferirsi in Francia, dove era pronta per lui una dimora: un dignitoso ma piccolo castello a Cloux. Di certo, la morte di Giuliano de’ Medici nel 1516, facilitò la scelta di Leonardo che portò seco alcune opere fra cui la Gioconda (ecco spiegato perché si trova, per coloro che volessero contemplarla, presso il Louvre a Parigi). Leonardo muore il 2 maggio del 1519 a Cloux e lui stesso aveva chiesto di essere sepolto in una piccola chiesa: Saint-Florentin. Chiesa andata completamente distrutta, per cui anche i resti di Leonardo sono da considerare ‘introvabili’. Leonardo il 23 aprile del 1519 aveva redatto un testamento in cui nominava l’allievo prediletto, Francesco Melzi, esecutore e gli donava strumenti, disegni e manoscritti.
In questa veloce e sintetica ricostruzione della vita di Leonardo sono stato ‘assistito’ dall’amicizia e dalla consulenza del pittore ed incisore (Maestro in tutte le forme: siano calcografie, xilografie, serigrafie o litografie apprese frequentando Firenze, Bergamo, Venezia e Livorno) Manlio Chieppa: giovedì 13 aprile 2023 ho chiamato più volte, anzi molte volte Manlio senza che la sua proverbiale pazienza abbandonasse il suo corpo, e così ho scoperto che era grato al noto poeta, scrittore e giornalista Luciano Luisi (morto un paio di anni fa, quasi centenario) che si era occupato spesso della sua attività artistica che conta oltre 400 esposizioni. Ho conosciuto Luisi, a fine anni ’60 grazie al direttore Aurelio Papandrea ed a Pietro De Giosa: nonostante rappresentasse la RAI ed io fossi un ragazzino, fu di una semplicità ed umiltà fuori dal comune. Lui era nato a Livorno, ma il padre era di origini pugliesi: questo non spiega tutto, ma ci ricorda che il cuore pugliese è quello che emana la luce solo in apparenza più modesta, ma senz’altro più fulgida.
Tornando al Maestro Chieppa gli dico grazie pubblicando la foto di una sua opera che sarebbe piaciuta tantissimo anche al da Vinci «altro uomo fusse nato al mondo che sapessi tanto, quanto Lionardo, non tanto di pittura, scultura ed architettura, quanto che egli era un grandissimo filosofo». Così si espresse re Francesco I e riteniamo che anche Macron, oggi, possa…’con cor dare’.
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