Considerazioni del prof. Nicola Triggiani nella presentazione del saggio di Vittorio Polito all’Università di Bari
NICOLA TRIGGIANI* - Buonasera a tutti! Ringrazio Vittorio Polito, non solo per avermi affidato la redazione della prefazione del libro “STORIE, CURIOSITA’, PROVERBI E… ARTE”, ma anche per aver voluto che fossi io a presentarlo in questa Sala dell’Università, particolarmente importante perché dedicata ad un grande pugliese, il tarantino Alessandro Leogrande, così prematuramente scomparso.
Chi è Vittorio Polito?
…Per quei pochi che non lo conoscessero, ricordo che è … un “ragazzo” di quasi 88 anni, e dico “ragazzo” non solo perché è ancora in splendida forma, non solo perché ha una straordinaria dimestichezza con le tecnologie digitali e i ‘social’, ma soprattutto perché non ha perso l’entusiasmo e la voglia di fare tipica dei giovani, come testimoniato dalla sua prolificità in campo letterario. Scrittore, poeta, giornalista (firma storica del quotidiano on line diretto da Vito Ferri “Giornale di Puglia” e collaboratore in passato di tante altre testate, tra le quali mi piace ricordare “Barisera”), Polito è una persona eclettica, estremamente curiosa e la curiosità - lo sappiamo bene noi che facciamo ricerca per professione e cerchiamo di trasmettere questo desiderio di conoscenza ai nostri studenti - è la qualità indispensabile per chiunque voglia svolgere, per l’appunto, un’attività di ricerca, di studio, di approfondimento. Polito è stato per quarant’anni assistente bibliotecario nella nostra Università, per la precisione presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, e all’istituzione universitaria è rimasto profondamente legato, tant’è vero che oggi siamo qui a presentare il suo libro e altri suoi precedenti volumi sono stati presentati nell’Aula Magna dell’Ateneo.
Questo suo impegno lavorativo e il vivere quotidianamente tra i libri, i ricercatori e gli studenti, hanno rafforzato sicuramente la sua grande e antica passione per lo studio e i libri.
Alla curiosità e alla passione per i libri si aggiunge poi un amore incondizionato per la sua Città, per la nostra Bari.
Bene, questa miscela virtuosa di interessi e passioni lo ha portato ad approfondire la storia locale, le tradizioni popolari, il dialetto barese, tanto da essere ritenuto meritevole di vari premi, tra cui il “Premio speciale Lozito” dell’”Associazione Giovanni Falcone”, proprio per essersi distinto nell’ambito delle attività socio-culturali in terra di Bari come giornalista e cultore delle tradizioni e del vernacolo.
La sua attività di ricerca si è tradotta in numerose pubblicazioni e curatele sul dialetto barese, Bari e la “Baresità” – in tutte le sue declinazioni –, San Nicola e i personaggi illustri della nostra terra.
Mi voglio un po’ soffermare su questi scritti, prima di passare ad illustrare l’ultima fatica di Polito (… dico ultima, ma in realtà so che è già al lavoro per un prossimo libro, che sarà pronto prima della fine dell’anno!). Le prime pubblicazioni riguardano il dialetto, avendo curato due edizioni del volume “Il dialetto, dignità di comunicazione, dignità sociale” (1997 e 2000), promosso dall’Associazione Internazionale Ricerca e Recupero Disordini della Comunicazione Umana.
A queste sono seguite:
“Baresità e… maresità”, Levante Editori, 2008, con prefazione di Vito Maurogiovanni; “Baresità, curiosità e…”, Levante Editori, 2009, con prefazione dell’allora Rettore Corrado Petrocelli; “Pregáme a la Barése/Preghiamo in dialetto barese”, Levante Editori, 2012, volume scritto a quattro mani con mia madre Rosa Lettini, con prefazione del priore della Basilica di San Nicola, Padre Lorenzo Lorusso; “San Nicola, il dialetto barese e … Miracoli, leggende e curiosità”, Levante Editori, 2014, sempre con prefazione di Padre Lorenzo Lorusso. “Baresità”, Edizioni ECA, 2015, con presentazione di Vito Signorile; “Baresi Doc”, Wip edizioni, 2021, con prefazione di Nicola Simonetti; “Storie, curiosità e proverbi”, 2022, con prefazione di Matteo Gelardi.
Già nei titoli di questi volumi c’è l’essenza del lavoro di ricerca di Polito, nel voler appunto giustamente valorizzare la nostra “Baresità”, la nostra, possiamo dire, orgogliosa appartenenza a questa città, con le sue tradizioni, la sua cultura, la sua cucina, il dialetto, i modi di dire, i proverbi, i soprannomi, le poesie, i monumenti, le chiese, i teatri, il legame fortissimo con il mare e poi … San Nicola!
Spesso gli stessi baresi non conoscono le tante bellezze e meraviglie della nostra Città.
Qualche parola vorrei spendere per “Baresi Doc”, che racchiude ben 35 profili di uomini e donne che hanno fatto la storia di Bari, a ricordo dei quali sono intitolate delle strade cittadine, anche qui nel centro della nostra città, da Alessandro Maria Calefati a Giacinto Gimma, da Antonio Beatillo alla Beata Elia di San Clemente, insieme a tanti altri personaggi illustri.
E non posso non ricordare in proposito il bellissimo ed esaustivo profilo che Polito ha voluto dedicare a mio padre Domenico, autore di tanti testi teatrali sia in italiano (come “Il dramma di un giudice”, “Papà a tutti i costi”, “Peccati di provincia”), che in dialetto barese (come “Le Barìse a Venézie”, “La Candine di Cianna Cianne”, “U madremmonie de Celluzze”), più volte rappresentati in vari teatri, sempre con grande successo.
Anzi, approfitto di questa occasione per segnalare che a breve sarà pubblicata un’edizione critica di queste opere teatrali, che ho curato personalmente insieme a mia madre in un volume impreziosito dalla prefazione del Magnifico Rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini, che ringrazio pubblicamente. E il volume includerà anche un saggio di Polito, che ricostruisce tutta la complessa e articolata attività letteraria svolta da mio padre nell’arco di oltre cinquant’anni.
Altri due saggi di Polito meritano di essere ricordati “San Biagio tra storia, leggenda e tradizione”, scritto con Domenico Petrone, per le edizioni ECA nel 2017, e “I Santi protettori degli Otorinolaringoiatri tra storia, leggenda e tradizione”, scritto insieme allo stesso Petrone e al Prof. Matteo Gelardi nel 2019 per la medesima casa editrice.
La passione per le storie e le tradizioni non poteva non condurre Polito ad analizzare anche quel concentrato di saggezza popolare rappresentato dai proverbi, la cui presenza è attestata in tutte le società umane e che hanno talvolta una diffusione universale, essendo oggetto di studio da parte di una vera e propria scienza, la paremiologia.
Ecco allora nel 2021 il volume “Storie, curiosità e proverbi” della casa editrice WIP (con prefazione di Matteo Gelardi), che raccoglie un’ampia selezione di proverbi, classificati e distinti in base al tema. Un libro, quindi, che, pur avendo numerosi riferimenti a Bari e alla baresità, ne supera i confini, avendo un respiro di carattere nazionale.
Svariati gli argomenti affrontati attraverso storie, racconti, citazioni e detti popolari: dalla natura agli animali, dai beni di prima necessità ad alcune professioni (come quella del medico e dell’avvocato) fino ad arrivare al dialetto barese e all’immancabile San Nicola.
Il libro che presentiamo questa sera, pubblicato a distanza di un anno dal precedente, ad opera del medesimo editore, in una veste grafica particolarmente raffinata – come del resto raffinate sono tutte le opere di Polito, sempre curate anche nelle copertine e nella grafica – ne rappresenta l’ideale continuazione.
E ad indurre l’Autore a pubblicarlo hanno certamente contribuito i lusinghieri giudizi della stampa e della critica sul precedente, ma è stata evidentemente determinante soprattutto la “necessità”, da lui avvertita, di continuare a raccontare … storie, curiosità e proverbi che non avevano trovato posto nel precedente saggio, a cui si aggiunge un’attenzione particolare, che emerge anche dal titolo, per l’arte.
La struttura del libro è la medesima: in ordine rigorosamente alfabetico ritroviamo gli argomenti più disparati (ne cito qualcuno a caso: Amore, Caffè, Cibo, Legge, Musica, Preghiera, Male e Bene, Guerra e Pace, Moglie e Marito, Miracoli e Magia, Natale e Pasqua, Estate, Cuore, Vita), in tutto ben 32 capitoli tematici, per ognuno dei quali l’Autore riporta una definizione, cenni storici, citazioni, aneddoti e considerazioni di varia natura, per poi soffermarsi su delle curiosità (talvolta delle vere e proprie “chicche”) ed esporre alcuni proverbi, di cui chiarisce il significato (sono in tutto – mi sono preso la briga di contarli – ben 168).
Insomma … di tutto, di più.
Ogni argomento trattato è introdotto da una illustrazione – con un proprio titolo –- dell’artista Marialuisa Sabato, ormai apprezzata a livello internazionale: a lei si deve anche la splendida copertina (“Il volto di Era”), che riproduce un quadro che di recente ha voluto donare a Papa Francesco.
Marialuisa era stata già autrice della copertina del precedente volume sui proverbi e di alcune illustrazioni, ma qui il suo impegno è stato davvero notevole, dal momento che, come ricordavo, ogni argomento sviluppato nel libro è preceduto da una sua illustrazione. Ad arricchire il volume, ci sono anche delle fotografie (Polito è tra l’altro appassionato di fotografia e molti dei libri che ha pubblicato contengono suoi bellissimi scatti).
Il volume – scritto in modo chiaro, scorrevole, accattivante – è difficilmente classificabile in una precisa categoria, essendo come dicevo, il prodotto di una personalità poliedrica: sembra, in qualche modo, ricollegarsi, ovviamente con spirito moderno, alla tradizione aulica delle raccolte di aforismi, citazioni, sentenze, motti di spirito e proverbi di cui vi sono numerosi esempi nella nostra letteratura.
Ma cos’è esattamente un proverbio?
Così lo definisce l’“Enciclopedia Treccani”: “Breve motto, di larga diffusione e antica tradizione, che esprime, in forma stringata e incisiva, un pensiero o, più spesso, una norma desunti dall’esperienza”. Dunque, degli ammonimenti che fanno parte della memoria collettiva, tramandati di generazione in generazione.
L’incisività è data non solo dalla concisione, ma anche dall’utilizzo di particolari forme metriche, rime, assonanze, allitterazioni e altre simmetrie strutturali. Sotto il profilo del contenuto e della forma, i proverbi sono stati variamente classificati: con riferimento ai contenuti, merita di essere ricordata la classificazione elaborata da Giuseppe Giusti per la sua raccolta di “Proverbi toscani” (pubblicata postuma nel 1853 da Gino Capponi), articolata in ben 95 sezioni.
È interessante ricordare che la produzione dei proverbi nasce dalla cultura greca ed è stata intensa nel mondo romano, tanto da far parlare di una vitalità del patrimonio paremiologico antico.
Nell’Antico Testamento abbiamo un “Libro dei proverbi” e la produzione delle espressioni proverbiali è proseguita con il cristianesimo nel Medioevo, nel Rinascimento ed è via via continuata in Italia, fino al secondo dopoguerra, per poi diradarsi, fino quasi a scomparire, nell’ultimo mezzo secolo.
La ragione va ravvisata nell’evoluzione sociale, che ha visto il tramonto della civiltà contadina, l’industrializzazione, l’alfabetizzazione di massa: ciò ha sostanzialmente estinto una produzione di massime che nasceva soprattutto nelle campagne e si avvaleva di un preciso codice di valori e princìpi.
I proverbi risultano già in buona misura sconosciuti alle ultime generazioni, che utilizzano ben altri linguaggi e codici espressivi per comunicare: è sufficiente al riguardo sbirciare nel mondo dei ‘social’ (Instagram e Tik Tok in testa) per rendersi conto della distanza rispetto alla cultura popolare tradizionale: nei ‘social’, e in generale sul web, spopolano citazioni di canzoni, fumetti o massime di filosofi e scrittori.
I giovani, dunque, spesso non conoscono i proverbi, e anche se li conoscono, certamente non li usano nei loro discorsi. Nei dialoghi tra gli adulti della mia generazione e della generazione precedente, invece, i proverbi continuano ad essere utilizzati, anche se spesso sono citati un po’ stancamente, quasi per inerzia, e talvolta anche a sproposito, tradendo il significato originario. Tra i meriti di Vittorio Polito nello scrivere questo libro c’è, dunque, soprattutto quello di aver riscoperto e rinverdito degli elementi caratterizzanti della cultura popolare tradizionale che rischiano di essere completamente dimenticati.
Ma quali sono i proverbi più ricorrenti tra chi ancora li richiama nelle conversazioni?
È lo stesso Polito a ricordare i 10 proverbi che in un recente sondaggio sono risultati più utilizzati, proverbi sicuramente noti a tutti presenti qui in sala.
1) Il lupo perde il pelo, ma non il vizio
2) Chi fa da se fa per tre
3) L’erba del vicino è sempre più verde
4) Il buon giorno si vede dal mattino
5) Chi dorme non piglia pesci
6) Non è tutt’oro quello che luccica
7) Ride bene chi ride ultimo
8) Chi trova un amico trova un tesoro
9) Tra i due litiganti il terzo gode
10) Chi non risica non rosica
Ma Polito nel volume ne riporta tantissimi assai meno noti, talvolta davvero curiosi.
Ne cito qualcuno: intanto, un proverbio … sui proverbi: “Dov’è proverbio non chiedere consiglio”, a voler proprio sottolineare che il proverbio tramanda la saggezza di un popolo, è il frutto di una esperienza collettiva, e dunque per non sbagliare è sufficiente seguirne le indicazioni, senza chiedere consigli o pareri a chicchessia.
E ancora:
“Chi gioca al lotto è un gran merlotto”
“Chi sta accanto alla chiesa arriva tardi alla messa”
“Il miglior specchio è l’amico vecchio”
“La storia vera la fa chi la racconta meglio”
“Legge senza pena campana senza batacchio”
Il libro contiene anche tanti aneddoti, ne voglio richiamare almeno due.
Uno lo ritroviamo nel capitolo dedicato al “Pane” ed è legato alla storia della nostra città.
Non tutti probabilmente sanno che il 27 aprile 1898 a Bari ci fu la rivolta del pane. Per i baresi era una giornata come tante, nessuno avrebbe immaginato cosa sarebbe successo più tardi.
Nei pressi della Porta del Castello, detta Porta Napoli, a Piazza Mercantile o Piazza grande, molti lavoratori attendevano di essere ingaggiati per il proprio sostentamento e quello della famiglia.
Quella mattina una popolana, Anna Quintavalle, conosciuta col soprannome “La mosce” (dovuto alla faccia butterata dal vaiolo), si recò ad acquistare del semolone, per preparare ‘megneuicchie’ e ‘strascenate’ (cavatelli ed orecchiette), la famosa pasta fatta in casa ancora oggi.
Entrata nel negozio di ‘Vagghie Vagghie’, soprannome della venditrice, per il lavoro di vaglio che faceva alla farina, dopo aver salutato, chiese il solito chilo di semolone a cinque soldi.
Le fu risposto: «cinque soldi e due centesimi», invece di una garbata replica al suo saluto.
Mentre la donna meditava una reazione, la venditrice, dopo attimi di silenzio, tentò di giustificare l’aumento del prezzo in maniera un po’ sprezzante. «Se volete mangiare e riempire lo stomaco, pagate l’aumento, diversamente mangiatevi la crusca» e, nel contempo, gettò sul viso di Anna Quintavalle un pugno di crusca.
Questo gesto innesco una vera e propria sommossa, capeggiata dalla Quintavalle. Le fu dato un secondo soprannome, “La Portapannère” (La portabandiera), dal momento che in capo ad un’asta legò uno straccio a mo’ di bandiera, invitando la gente alla rivolta. Molti si riversarono nelle strade cittadine e occuparono il Municipio, devastandone i locali. Quella rivolta, rimasta nella mente del popolo barese, si svolse dunque in modo piuttosto violento e fu definita “La piccola rivoluzione francese”, dimostrando che non sempre il popolo è disposto a sopportare torti di qualunque genere ed ebbe ripercussioni anche in campo nazionale.
Un’altra storia simpatica che viene raccontata nel libro, nel capitolo dedicato al “Cibo”, è quella dell’origine della parola “carpaccio”.
Nella nostra tradizione gastronomica il ‘carpaccio’ è una pietanza costituita da sottili fettine di carne cruda, filetto di vitello o di manzo, macerata per breve tempo in olio e limone, e servita con sale e scaglie di grana.
Oggi il carpaccio si è esteso anche ad altri tipi di pietanze, come il pesce spada, il tonno, ecc.
Ma perché si chiama ‘carpaccio’?
Il nome del piatto – ci ricorda Polito – si deve a Giuseppe Cipriani (1900-1980), proprietario dell’Harry’s Bar di Venezia (divenuto monumento nazionale nel 2001).
Un giorno del 1963, la contessa Amalia Nani Mocenigo, sua amica, dopo aver partecipato alla mostra del pittore Vittore Carpaccio (1465-1525), si recò a pranzare all’Harry’s Bar e riferì al proprietario che i medici le avevano vietato di mangiare carne cotta. Allora Cipriani pensò bene di preparare il piatto a base di carne cruda, a cui dette il nome di ‘Carpaccio’, e di servirlo all’amica contessa. E il ‘carpaccio’ divenne in breve tempo l’ordinazione preferita di personaggi famosi come Orson Welles o Ernest Hemingway.
Abbiamo parlato finora di arte, di proverbi, di storie, ma il libro contiene anche tante curiosità. Occupandomi “per mestiere” di leggi e codici, concludo questo mio intervento ricordando alcune curiosità riportate da Polito nel capitolo dedicato alla “Legge”.
Polito ci ricorda che nel mondo vi sono anche leggi strane e assurde. In Inghilterra, ad esempio, apporre un francobollo capovolto sopra una lettera è considerato tradimento.
In Francia, non si può dare al proprio porcellino il nome di Napoleone. Nel sud-est del Brasile vige l'obbligo di far indossare al proprio animale da soma (asino o mulo che sia) un pannolino, quando si passa con il bestiame in città.
Nel Kansas è vietato bere vino in una tazza da the al posto del calice. Gli abitanti del Colorado sono tenuti alla pulizia e all’ordine: è infatti illegale avere erbacce nel proprio prato.
A Singapore nel 1992 è stata promulgata una legge che proibisce la vendita e il consumo di gomme da masticare, perché causava danni all’ambiente e ai cittadini.
In Thailandia appoggiarsi alle porte è offensivo, perché… è lì che, secondo la credenza locale, stanno le divinità.
Insomma, il volume di Vittorio Polito è godibilissimo in ciascuna delle voci tematiche prese in esame e nel suo insieme: il lettore avrà modo di soddisfare ogni tipo di curiosità e di apprendere innumerevoli nozioni, modi di dire, citazioni e detti popolari per ampliare le sue conoscenze in modo simpatico e Non mi resta quindi che augurare al libro tutta la fortuna che merita … in attesa della prossima fatica letteraria di Vittorio Polito.
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* Ordinario di Diritto processuale penale nell’Università di Bari “Aldo Moro”; autore della
prefazione.