Da Joseph Tusiani a padre Damiano Bova e Angelo Ramunni: la poesia di maggio come atto di pace


LIVALCA
- Alcuni giorni fa, dopo aver salutato padre Cioffari nell’atrio della Basilica di San Nicola adibito a parcheggio, mi sono imbattuto in padre Damiano Bova che, nonostante stesse discutendo con tre persone sulla rampa di accesso alla chiesa, mi ha chiamato affermando che aveva qualcosa per me: in effetti, preso dalla tasca un foglio, mi ha detto «Gianni quando hai tempo leggilo».

Oggi 10 maggio 2023 alle ore 16,25 ho letto il contenuto di quel ‘messaggio’: si tratta di una poesia che padre Bova ha scritto il 13 maggio 2007 dal titolo “Celeste maggio”.

Il mio pensiero è volato ai primi anni ’70 del secolo scorso quando su «Il Meridionale», giornale fondato e diretto dall’avvocato Alberto Margherita da Latiano, mi sono occupato del mese di maggio e della festa della fertilità e dei canti propiziatori che venivano intonati. Ho piccole rimembranze sbiadite, ma anche ben precisi, seppure brevi, riferimenti.

Per il calendario romano maggio era il terzo mese, che si spostò in quinta posizione nel 153 a.C. quando l’anno fu fatto iniziare il 1° di gennaio, invece del primo marzo.

Anche nella riforma del calendario fatta da Giulio Cesare mantenne la quinta posizione, confermata dalla bolla “Inter gravissimas” di papa Gregorio XIII del 24 febbraio 1582 (meglio conosciuta come ‘calendario gregoriano’), che per il mese di maggio confermava i 31 giorni.

Una vecchia fonte attribuisce a Romolo il merito del nome, facendolo derivare da ‘maius’ come forma di rispetto per i ‘maiores’, ossia i senatori e i nobili romani; allo stesso modo giugno da ‘iunius’ dedicato ai giovani di Roma: ‘iuniores’. In verità Ovidio nel suo poema eziologico ‘I Fasti’ ci regala tre diverse e pur simili fonti etimologiche, ma io citerò solo quella forse più attinente: madre di Ermes ‘maius a Maia’ (vetusto appellativo greco per donne anziane, anche levatrici e spesso per indicare una nonna). Maia (dalla radice greca ‘ma’ maternità, la stessa per intenderci della più nota ‘ma’ieutica) era una ninfa figlia di Atlante e Pleione, a tutti nota come la stella maggiore della costellazione e senz’altro la più bella delle Pleiadi e, dal momento che era anche la ninfa dei boschi e viveva sul monte Cillene in Arcadia, Zeus andava a farle visita in una caverna solitaria e… nacque Mercurio (Ermes).

A maggio ogni scusa è buona per festeggiare e vi sono molti canti di lode per il rito che si può riassumere nel rendere protagonista l’albero: il piantar a maggio. In questo mese nell’antica Roma si dedicavano alla dea Flora le feste primaverili che, secondo alcuni storici, erano alquanto licenziose, e nel tempo il tema dell’amore è sempre stato protagonista, tanto è vero che Agnolo Ambrogini da Montepulciano (Siena) intorno al 1480 compose una canzone dal titolo ”Ben venga maggio”.

Meglio conosciuto come Angelo Poliziano: “Ben venga maggio/ e il gonfalone selvaggio…… che gli zitelli e i grandi s’innamorano di maggio” è un pacifico segnale: incentivo a stare insieme, amarsi, sposarsi e contribuire alla natalità.

Spero di non errare ma ad Accettura, magnifico borgo in provincia di Matera, immerso in una natura dominata da boschi rigogliosi, va in scena a maggio una processione che prima sceglie con cura un cerro, in modo che sia robusto, gagliardo e sano onde poter essere designato come ‘maggio’, poi si cerca un agrifoglio di piacevole ‘aspetto’ e con un innesto si ‘celebra’ il matrimonio.

Non va trascurato che dal 1° maggio 1890 viene celebrata la ‘Festa del lavoro’: fu il Congresso di Parigi del 1889 a ratificare come data ufficiale l’avvenimento che rievocava l’eccidio dei martiri di Chicago (il 1° maggio 1886 i sindacati organizzarono a Chicago nell’Illinois uno sciopero per chiedere una giornata lavorativa di 8 ore… i lettori interessati possono cercare dati su un avvenimento che procurò morti, processi ed esecuzioni).

Nei primi anni ’60 del secolo scorso a Bari le manifestazioni conosciute come ‘maggio barese’ erano in concomitanza con la ‘Sagra di San Nicola’ e con l’arrivo dei pellegrini che giungevano a piedi da diverse regioni italiane, ma in speciale modo dalla Campania, Abruzzi e Molise: in fila indiana con in testa al gruppo il più anziano o autorevole che portava una croce; spesso con stendardi religiosi e un canto di devozione forte e commovente che terminava solo con l’arrivo presso la Basilica.

Qui tutti offrivano la loro candela al santo accompagnata dalle più genuine e schiette ‘richieste’ miracolose, elevate a voce non proprio silenziosa: di solito la prima promessa riguardava la ‘preghiera’ di avere la fortuna di esserci alla prossima festa e, in questo caso, sono valida testimonianza i racconti di alcuni anziani della città vecchia; salute e lavoro per i figli e magari la segreta speranza di un aiuto a far maritare qualche ragazza non ancora ‘sistemata’. In sostanza il Santo Taumaturgo Nicola aveva sempre del lavoro da ‘sbrigare’. Di solito, una volta, i pellegrini portavano con loro i viveri per sfamarsi e vi era la cerimonia della “Devozione” in cui trovavano il pane (tarallo per alcuni) benedetto posto in alcuni panieri o ceste; usanza vuole che il pane veniva riportato nei luoghi di provenienza dei pellegrini, in modo che fosse nella disponibilità di parenti ed amici impossibilitati a partire. La cerimonia rievoca un episodio da molti segnalato: San Nicola, gravemente malato, riuscì a guarire per intercessione della Vergine Maria che, apparsagli in visione gli disse: “Chiedi in carità, in nome di mio figlio, un pane”.

Dopo queste breve notizie possiamo finalmente riflettere sulla composizione poetica di padre Bova, il quale si trova presso la Basilica di San Nicola dal 1969 e, quindi, non ha vissuto l’esperienza che dal 1951 al 1968 va sotto il nome di “Maggio di Bari”, ma ciò non toglie che i suoi versi inizino con “Diversi sono i fiori e i petali loro,/ son petali di rose, petali di pace”.

Ritengo che il padre calabrese nativo di Bivongi, comunque, abbia sentito parlare della magnifica sfilata dei carri allestiti con fiori che concludeva il periodo noto come ‘maggio barese’, e non è un caso che i versi del suo “celeste maggio” sono linfa vitale per rammemorarne il ricordo.

Il componimento poetico - non poteva essere diversamente - è un inno al Santo di Myra con una ‘illuminazione’ attualissima (come ho riportato sopra è stato scritto nel 2007) nel momento in cui padre Damiano ci regala “Il dono di Dio a Nicola: la Pace”. Quest’anno lo stesso rettore attuale p. Giovanni Distante nel suo messaggio ai pellegrini non manca, avvalendosi della collaborazione di San Nicola, di rivolgere un appello ai Capi delle Chiese per avere il coraggio di dire all’unisono “NO ALLA GUERRA” e che l’intera umanità sia liberata da ogni disumana ingiustizia. Vi è un bellissimo riferimento a non perdere mai la speranza: “Dalle crisi e dai conflitti non solo si può uscire, ma la storia insegna che dalla sofferenza provocata dalle guerre sono nate le più forti e coraggiose esperienze di fratellanza umana, superando ogni barriera, soprattutto quelle religiose e confessionali”. Padre Giovanni ha tutti i difetti tipici delle persone nate in uno degli anni più ‘gloriosi’ del secolo scorso, ma ne possiede anche tutti i pregi che sono quelli di non risparmiare mai energie ed impegno anche quando la salita sembra inaccessibile: in lui la ‘Fontana’ della vita è una ‘Franca villa’ che culla anime e persone… e rivela anche una notevole attitudine al comando, inteso come servizio cui deve sottostare egli stesso e gli altri.

Queste note sul ‘maggio barese’ mi fanno riflettere su un particolare in apparenza insignificante: i cataloghi che erano pubblicati nei primi anni ’60 del secolo scorso, editi quasi sempre dall’Ufficio stampa del “Maggio di Bari”, definivano l’epoca «civiltà del vedere» e ci tenevano a precisare che da noi, per esempio il corteo storico e le manifestazioni artistiche-culturali del maggio, continuavano una tradizione di popolo che aveva il suo ‘cardine’ nella fede e nella tradizione. Le funzioni liturgiche davano spazio a tutti: il rito romano era affiancato a quello bizantino-greco, bizantino-ucraino e armeno: chiaramente i paramenti erano diversi, come i canti. Se quella era la «civiltà del vedere», oggi probabilmente abbiamo smarrito la civiltà… perché stiamo tutti a guardare quello che ci viene propinato dalla «civiltà dell’apparire o perire».

CELESTE MAGGIO

Diversi sono i fiori e i petali loro,
Son petali di rose, petali di pace,
Immagini iridate di angeli argentati,
Compagni di santi dal cielo calati.
Petali d’argento, su Bari, fiorito,
Sono Angeli puri per Nicola volati.
Sul mare egli venne dal sole guidato,
Riflessi dorati sul solco ha lasciato.
La luna in basso ha un riflesso rosato,
Riflette quel sole che tutta la indora.
Il Sole egli solo rende i corpi splendenti,
Simboli di Santi d’Infinito lucenti.
Un fiore germoglia tra loro gigante
Dei Santi nel mondo il più amato,
Nicola il myrese con mani piacenti
Affascina i bimbi dai volti innocenti.
La tomba ha un altare, il taglio è antico,
Son tanti gli angeli che girano attorno,
Nel cuore contiene una linfa vitale
Bevendola risuscita ogni mortale.
L’ampolla col miron innalza il Gran Priore
Sulla folla silente dagli occhi splendenti,
Svolazzano nell’aere angioli osannanti,
Intorno diffondono raggi brillanti.
Scendete a diecine, a centinaia, a migliaia,
Riempite la terra con volto giulivo,
La gente ha bisogno di pace e di gioia
Per scrollarsi di dosso il manto di noia.
Venite festanti voi petali cari,
Rinnovate per noi il Maggio di Bari,
Offrite un cuore nuovo a questi bambini
E pure agli adulti rimasti piccini.

Venite, volate sulla folla fedele,
Pellegrini e gente di ogni nazione,
Spandete nell’aere un canto giulivo
Portando in mano un ramo d’ulivo.
Le foglie dell’albero già sacro ad Atena,
Dell’Appula regione mediterraneo emblema,
Sempre nel tempo, nel mondo loquace
Il dono di Dio a Nicola: la pace.
Felice, te Bari, cantano in coro
Ragazzi e ragazze della Città Antica,
Insieme pellegrini in ginocchio piangenti
Col cuore devoto di tutte le genti.
Fra robuste colonne sotto volte a vela
Un angelo si posa, in mano una candela,
Avanza e inchinandosi qui egli rimira
Un vecchio imbiancato, il Santo di Myra.

In alto svolazzano pieni di gioia,
È festa - ricordano - della Traslazione.
Il popolo acclama mirando chi vola
Con giubilo esplode: Viva, viva S. Nicola.

BARI 13 Maggio 2007 

P. Damiano BOVA o.p

Fra i tanti romanzi, poesie e racconti che inondano giornalmente sia la rete che la mia scrivania, compreso il sempre valido ed insostituibile prodotto cartaceo, ho notato che l’amico medico di Conversano Angelo Ramunni, dall’inizio del corrente anno, ha accentuato la sua passione per i versi e lo scrivere con una cadenza di 48 ore. Cercando fra le mail ho trovato che in data 18 aprile 2023 è giunta una poesia dal titolo “Festa di San Nicola, primavera di speranza”, in cui la speranza può essere una sana colazione, il pranzo un ottimo motivo per stare insieme e la cena una buona abitudine per ritrovare quella PACE che è un bene per tutti: spirito e corpo.

FESTA DI SAN NICOLA, PRIMAVERA DI SPERANZA

Vivevano i miei
quella sera di maggio
di oltre 70 anni fa,
quando, in braccio a mio padre,
con accanto mia madre,
mi ritrovai sul lungomare di Bari,
a far parte d'una folla immensa
alla processione di San Nicola.
Ricordo e riecheggiano ancora,
in me,
le grida di gioia dei bimbi,
i richiami di ambulanti e pescatori,
le implorazioni di anziani,
i canti di giovani e fanciulle,
uomini e donne d'ogni età
in preghiera.
Ricordo anche il viso
e le lacrime
di un uomo silenzioso,
a noi vicino,
in abiti orientali...
Un tripudio di emozioni,
di musica, di fede,
accompagnavano
le sacre reliquie,
anticamente giunte
nella nostra terra...  

Un sì lungo percorso
porta a questi giorni,
nei fervidi preparativi
per la Festa del Santo
e dove, quest'anno,
si respira la speranza
di vederlo protagonista
di una nuova alleanza
tra popoli tormentati
da guerra fratricida,
con feroci distruzioni e lutti,
tra suoi stessi devoti
che non potranno
annunciare una vittoria
se non con il trionfo
del vero significato
della parola "Pace”

Angelo Ramunni, 18 aprile 2023

La descrizione che Ramunni fa della festa di San Nicola è quella che ha vissuto ogni bambino, anche se di generazioni diverse, e non tralascia particolari che ogni persona di Bari e provincia ha ‘interpretato da protagonista’ almeno una volta nell’esistenza: folla immensa, processione, ambulanti, tripudio, emozioni e fede. Angelo ai primi di aprile mi ha inviato un breve racconto di vita vissuta molto istruttivo nella sua semplicità, esperienza maturata nell’ambito della sua professione. Il titolo del racconto “Momenti di soavità a questo mondo” è puro amore come lo è ogni parola che lo compone: non sono riuscito a pubblicarlo per una serie di motivi che non interessano nessuno.

Questi versi, più che poetici di sentimento, di Ramunni si concludono con una richiesta di PACE che mi ha fatto pensare ad una frase di Tito Livio che mio padre ha sempre adottato nella sua esperienza di imprenditore serio, scrupoloso ed onesto: “Una pace certa è preferibile e più sicura di una vittoria sperata”. Non sono mai stato in sintonia con questo modo di vivere il corso dell’esistenza del genitore: mi sembrava assurdo avendo ragione, scendere a patti. Comunque, fin che è stato in vita, le decisioni finali sono state da noi figli sempre accettate.

A giugno del 1994 mi sono trovato in un luogo (un Ente) in cui mi pareva difficile essere ascoltato e la pazienza si era ridotta notevolmente, quando un signore che non mi pareva di conoscere mi ha detto: “Se sei il figlio di Mario Cavalli, vieni con me”. Mi ha condotto da una persona che ha avuto la disponibilità di ascoltarmi e quindi abbiamo avviato la pratica. All’uscita ho cercato il brav’uomo per ringraziarlo e lui mi ha ricordato l’episodio dandomi sempre del tu e concludendo: “Tuo padre 13 anni fa ha avuto la stessa saggezza nei miei riguardi, che io ho avuto, oggi, con te”. All’istante non sono stato in sintonia, ma mi sono convinto, con il tempo, che prima di giudicare conviene sempre cercare i motivi che spingono l’altra persona ad un comportamento poco rispettoso delle regole (chiaramente nei limiti che impone il vivere civile) e spesso mi ripeto una frase che ho letto da qualche parte: “Difficile ispirare la virtù con la forza”, che ritengo possa essere accettata da coloro che hanno a cuore il bene comune, che non sempre si presenta sotto forma di ,,, ARCOBALENO.

Mio carissimo Gianni,

forse non mi crederai se ti dico che in tutti i miei anni d’America non ho mai visto un ARCOBALENO. La rarità che qui descrivo mi è stata ispirata da una foto mandatami da mio fratello dalle Isole Vergini Britanniche, Ed è con questa rara meraviglia che ti auguro un felicissimo 2016. Un forte abbraccio, Joseph New York Giovedì 31 dicembre 2015, 09,07 Joseph Tusiani

I miei affezionati lettori si staranno chiedendo cosa può unire il grande MAESTRO poeta, traduttore e saggista Joseph Tusiani, nato a San Marco in Lamis il 14 gennaio 1924 e morto a New York l’11 aprile 2020, a padre Damiano Bova e Angelo Ramunni: erano e sono AMICI di Livalca. La vita è imprevedibile: ho cercato dei fogli riciclati (ossia già stampati da un lato, vecchia abitudine antispreco di mio padre) per stampare un piccolo saggio che deve pubblicare un conoscente che mi ha chiesto una postfazione e per caso mi sono imbattuto nella mail di Tusiani stampata sul verso opposto. Sono mail che ho perso dopo il furto del mio computer e che all’epoca 2015 stampavo perché avevo problemi di vista a leggerli sul video. Nel gruppo di pagine controllate ho rinvenuto 13 mail con allegato sempre un sonetto.

Caro Gianni, poiché, dato il bene che ci vogliamo, non posso e non devo nasconderti nulla, ti mando questi versi, piuttosto pessimistici, se non altro per salutarti e dirti che sei nei miei pensieri. Un abbraccio, Joseph New York, lunedì 23 novembre 2015, 11,20.

Da Giuseppe, sempre nel mese di maggio, a distanza di un anno ho ricevuto queste due composizioni che, entrambe, nel loro verso finale, fotografano il Tusiani italo-americano: ‘ammicca e sorridi’ è il ricordo più vero impresso nella nostra memoria quando la sua immagine torna a farci compagnia unito a ‘ed ora provvidenza ed ora sorte’ che fotografa il percorso di vita che lo condusse il 6 settembre 1947 a sbarcare nel porto di New York con il ‘sostegno’ di una laurea in lettere classiche. La nave che lo condusse sulla banchina si chiamava Saturnia ed ad attenderlo vi era Michele, il padre partito in cerca di fortuna quando lui non era ancora nato. Il padre viveva in una casa nel Bronx, da cui sarebbe partita l’ascesa di Joseph verso quel mondo che con il tempo imparò ad amare ed apprezzare. Passarono undici mesi prima che Giuseppe - nel 1956 ebbe la cittadinanza statutinense, ma era già… Joseph - ricevesse l’incarico di insegnante di letteratura italiana presso il College of Mount Saint Vincent. Mi confidò che la sua provvidenza si chiamava professore Cesare Foligno e padre Gerald Walsh. Di Tusiani ho parlato spesso nei miei scritti, come molto spesso mi sono occupato di padre Damiano Bova ed anche di Angelo Ramunni qualche volta. Questi tre amici sono accomunati da una normale passione: la venerazione per la mamma. Padre Damiano spesso nelle sue prediche cita con grande commossa partecipazione la mamma, Angelo quando deve ricorrere ad un monito afferma con candore ‘mia madre avrebbe risolto in questo modo’ e Joseph, dopo la malattia, il 14 marzo 2015 ha scritto una poesia dal titolo “A mia madre”, di cui vi regalo alcuni versi mandati a memoria: «Mamma sono caduto,/ma non mi ha spinto nessuno:/ il fato così ha voluto/ Ecco perché scrivo ancora,/ meglio (credo) e più di prima,/ con vocaboli che appena emersi/ diventano facili versi,/ ed ecco perché a te dedico,/ o Madre, Madre mia,/ quest’altra umile e spero non ultima/ mia poesia». Joseph non sono cambiato da quando scrivesti: «Ed ora, amico filosofo SAGGIO, a te la preghiera di una interpretazione di questo mio inesplicabile incubo». Con la mia risposta il tuo incubo rimase solo in versi e convenimmo che al poeta ‘vero’ il primo verso lo regala Dio.

IDI DI MAGGIO

Mi perseguiti, Maggio,
come il vento perseguita l’onda
e la goccia la gronda.
Dovrei cantarti maggiolate apriche
ma non sanno cantar le formiche
né potrebbe annullare la voce
ogni ricordo che nuoce.

Come han già fatto Marzo e Aprile,
continua continua, mese gentile,
a dissociarti veloce
dal mese del guaio,
il fosco Febbraio,
Ostenta i tuoi multipli fiori,

moltiplica frutti e sapori, e da queste radiose tue Idi
ammicca e sorridi
Joseph Tusiani

New York, Idi di Maggio 2015

SOGNO DI FINE MAGGIO

Ancòra vaga è la bellezza varia
che nella mente si dipinge senza
merito mio né movimento d’aria
né intervento d’esotica essenza.
Vago, ancor vago come ogni mio sogno
è il bello che al finir di questo maggio,
senza saper perché, cerco ed agogno
per un mio primo felice viaggio.
Non so dove si va, dove mi porta
questo pungente profumo di tiglio:
sol mi basta saper che mi è di scorta
ad uscir salvo da questo groviglio,
che ora si chiama vita ed ora morte,
ed ora provvidenza ed ora sorte.

Joseph Tusiani

New York, 29 maggio 2016

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