‘Il sol dell’avvenire’: la recensione
FREDERIC PASCALI - In concorso nell’edizione 2023 del Festival di Cannes, seppur senza premi e con consensi non unanimi, Nanni Moretti torna a riproporre la strada del cinema che da sempre maggiormente lo identifica.
Sardonico al punto giusto, il suo piglio registico trasforma e plasma la realtà immaginaria con quella immaginata, in un trionfo di riflessioni, citazioni, sorrisi e piacevoli trovate.
Chi è il protagonista principale di questo suo lavoro? Moretti stesso, nei panni del suo alter ego Giovanni; la cara vecchia idea di sinistra, o forse meglio dire comunista, con i crucci degli albori post secondo conflitto mondiale e i difficili equilibri dei fasti togliattiani o un certo modo di fare cinema così bene espresso e lodato nella sua tradizione e nella sua capacità di dire senza recedere dal contatto diretto con il pubblico?
Il sol dell’avvenire spiega ma non conferma, palesando intuizioni e sentimenti senza voler essere a tutti i costi apodittico o, peggio, definitivo. La porta resta aperta, per tutti.
È una vicenda nella vicenda con Giovanni, regista di successo ma un po’ depresso e forse a fine carriera, intento a narrare le gesta di una porzione romana pienamente intinta nel credo comunista dell’epoca, costretta a fare i conti con la propria coscienza dopo la rivolta ungherese del 1956. Messi davanti alla Storia che incrina prepotentemente le certezze ideologiche da tempo divenute fede, i compagni, insieme al segretario della locale sezione, si ritrovano di fronte a un bivio. Sposare la linea morbida ufficiale del Partito o agire secondo coscienza e pretendere una dichiarazione, una presa di posizione, un qualcosa che certifichi la volontà di abbandonare l’intento moscovita. Le storie degli uomini e dei loro sentimenti marciano in parallelo, sedate dalle sovrastrutture e le apparenze imposte dalla grande Storia meditano sul da farsi.
Nel suo circolo Pickwick Moretti palesa i suoi miti di sempre. Le citazioni si affastellano e comprese del loro ruolo scavano solchi di conoscenze ed apparenti estemporanee metafore sulle illusioni. Quelle che popolano sia la realtà della vita che la finzione e consentono di andare avanti e di non abdicare alle delusioni del tempo e della decadenza che attende la condizione umana. Tutti bravi gli interpreti a cominciare dallo stesso immarcescibile Moretti e i fedelissimi Margherita Buy e Silvio Orlando, ben coadiuvati da Barbora Bobulova.
Chi è il protagonista principale di questo suo lavoro? Moretti stesso, nei panni del suo alter ego Giovanni; la cara vecchia idea di sinistra, o forse meglio dire comunista, con i crucci degli albori post secondo conflitto mondiale e i difficili equilibri dei fasti togliattiani o un certo modo di fare cinema così bene espresso e lodato nella sua tradizione e nella sua capacità di dire senza recedere dal contatto diretto con il pubblico?
Il sol dell’avvenire spiega ma non conferma, palesando intuizioni e sentimenti senza voler essere a tutti i costi apodittico o, peggio, definitivo. La porta resta aperta, per tutti.
È una vicenda nella vicenda con Giovanni, regista di successo ma un po’ depresso e forse a fine carriera, intento a narrare le gesta di una porzione romana pienamente intinta nel credo comunista dell’epoca, costretta a fare i conti con la propria coscienza dopo la rivolta ungherese del 1956. Messi davanti alla Storia che incrina prepotentemente le certezze ideologiche da tempo divenute fede, i compagni, insieme al segretario della locale sezione, si ritrovano di fronte a un bivio. Sposare la linea morbida ufficiale del Partito o agire secondo coscienza e pretendere una dichiarazione, una presa di posizione, un qualcosa che certifichi la volontà di abbandonare l’intento moscovita. Le storie degli uomini e dei loro sentimenti marciano in parallelo, sedate dalle sovrastrutture e le apparenze imposte dalla grande Storia meditano sul da farsi.
Nel suo circolo Pickwick Moretti palesa i suoi miti di sempre. Le citazioni si affastellano e comprese del loro ruolo scavano solchi di conoscenze ed apparenti estemporanee metafore sulle illusioni. Quelle che popolano sia la realtà della vita che la finzione e consentono di andare avanti e di non abdicare alle delusioni del tempo e della decadenza che attende la condizione umana. Tutti bravi gli interpreti a cominciare dallo stesso immarcescibile Moretti e i fedelissimi Margherita Buy e Silvio Orlando, ben coadiuvati da Barbora Bobulova.