LIVALCA - Quando sabato 10 giugno ho visto la sagoma del professore Luigi Papa fare il suo ingresso con il solito ritornello «… non vogliamo andare in A», gli ho presentato il vecchio amico professore Pipino Pedone nella speranza che, entrambi ‘ignoranti’ in ambito calcistico, trovassero altri argomenti per esternare il loro sapere: ricordo che stavano parlando di crociere e viaggi fuori ‘rotta’. Inutile dire che tutte le volte che ‘vedo’ Luigi medito su «… cos’altro mi succederà oggi di ‘nuovo’?». Non vedevo Pipino da 4 anni, vive a Roma, ed era venuto a farmi visita in attesa che la moglie gli comunicasse che l’aereo in partenza da Roma, che aveva accumulato 70 minuti di ritardo, fosse finalmente in volo.
Presente Luigi la moglie di Pipino aveva telefonato che si stavano imbarcando. Pensavo di aver già pagato ‘dazio’ con il fatto che, un volo che dura 65 minuti, aveva accumulato alla partenza un ritardo di 70. Andato via Luigi, mi sono offerto di accompagnare il vecchio amico di liceo all’aeroporto per prelevare Claudia, la moglie, per imbarcarsi al porto. Sulla strada ci siamo imbattuti in un incidente che ci ha costretti ad andatura a passo d’uomo: l’entità dell’incidente l’abbiamo percepita sulla via del ritorno, quando sono apparse code chilometriche di macchine sull’altro versante della carreggiata. Quando Pipino viene di solito, con mia moglie Angela e Claudia, andiamo a pranzo o a cena, ma loro questa volta avevano orari tassativi d’imbarco.
In serata leggo un whatsapp di Papa con scritto “aspettati la stangata”. Con queste premesse ho assistito in televisione all’incontro della ‘paura’ di vincere: cento minuti in cui meriti e demeriti dipendono da un palo, dalla paura di prevalere, da quella imponderabile pazzia che si chiama calcio, che non sempre premia i ‘savi’ e, spesso, gli eroi per caso. L’antidodo esiste, ma non può essere ‘messo in campo’ nel momento del ‘dolore’, nell’istante in cui ogni riflessione assume le sembianze di una stupidaggine ‘irritante’. Non a caso il Napoli ha vinto uno scudetto, dopo averne sfiorati tanti, dominando dall’inizio alla fine… evitando ‘colpi di sole’. Detto ciò, anche se il sogno è svanito, è doveroso ringraziare gli attori che, per un pelo, non sono assurti alla… gloriA. Da Decaro a Aurelio e Luigi De Laurentiis, da Mignani a Vergassola, da Di Cesare a Antenucci, da Gheddira a Maiello, da Botta a Dorval, da Maita a Mazzotta, da Vicari a Ricci, da Folorunsho a Mallamo, da Puccino a Ceter, da Bellomo a Molina, da Frattali a Zuzek, da Caprile a Esposito, da Benedetti a Benali, da Scheidler a Morachioli, da Galano a Matino, da Sarri a Bosisio ed ancora da Picaro a F.S. Cosentino, da Maurantonio a Campofranco, da D’Urbano a Insalata, da Petruzzelli a Caputo, da Ippolito a Ungaro, da G. Cosentino a Schena, da Sorgente a Loiacono, da Bux a Lorusso: benedetti ragazzi sarete per sempre nei nostri cuori, per averci fatto sentire di essere, come direbbe Checco Zalone… ‘una squadra fortissimi’.
Forse proprio in questo frangente sarebbe il caso di ricordare quella serie D da cui siamo partiti il 31 luglio 2018 e i tre protagonisti ‘bandiera’ ideale: Antonio Decaro, Aurelio De Laurentiis e Valerio Di Cesare.
L’ingegnere civile sezione trasporti Decaro, laureato presso il Politecnico di Bari, ‘nasce’ alla politica attiva per merito del sindaco Michele Emiliano che, nel 2004, gli affida l’incarico di assessore al traffico e mobilità: uno dei pochi casi in cui l’esperienza professionale sposa il ruolo da ricoprire. All’epoca l’attuale sindaco era dipendente dell’ANAS e inizia la sua veloce e prestigiosa ascesa politica che lo porterà a diventare consigliere regionale della Puglia, collegio di Bari, nel 2010 e alle politiche del 2013 deputato della XVII legislatura con il Partito Democratico.
Nel giugno del 2014 diviene sindaco di Bari e si dimette da parlamentare.
Tra lo scetticismo di molti, a fine luglio 2018, il sindaco Antonio Decaro assegna il titolo sportivo della squadra biancorossa alla Filmauro di Aurelio De Laurentiis.
Per alcuni famosi uomini di pensiero «Lo scetticismo è l’umiltà dell’intelligenza», ma parlare di umiltà al cospetto del volto di Aurelio De Laurentiis è cosa non facile: ti accorgi subito che denota attitudine al comando e, in quelli che generalmente chiamiamo ‘affari’, è difficile ‘metterlo sotto’. Per lui potrebbe essere confacente una frase che viene attribuita a Golda Meir «Non essere umile. Non sei così grande!», che evito di propinargli perché, da fonti in mio possesso, forse assisteremo a qualcosa che farà di lui un personaggio unico nella storia di questo secolo. Le operazioni che hanno riguardato Lorenzo Insigne, Koulibaly e… Spalletti sono un nuovo modo di gestire le ‘bizze’ del mondo del pallone… che forse faranno ‘scuola’.
Con l’articolo apparso il 5 marzo 2022 mi ero permesso di citare i titoli di alcuni film prodotti dalla società fondata da Aurelio insieme al padre Luigi nel 1975: dal 2006 detta società è con il figlio Luigi, attuale presidente del Bari calcio. Chiaramente ho citato i titoli che ricordavo, che avevo visto e che ritenevo adattabili al senso di quello che stavo scrivendo. Tanti mi hanno scritto e telefonato suggerendomi pellicole che ho ignorato, ma la cosa bella è che il direttore Ferri ha ricevuto e continua a ricevere mail in cui mi ‘consigliano’ titoli e mi segnalano, per esempio, che esiste ‘Amici miei’ 1. Cari coniugi Enzo e Mada vi ringrazio della segnalazione, ma il film cui voi fate riferimento, pur essendo sempre una regia di Mario Monicelli, è datato 1975 e risulta una produzione Rizzoli Film, distribuito da Cineriz… io mi riferivo solo ai film di produzione “Filmauro”. Questa incursione mi permette di dar ragione alla signora Elena che mi ha fatto notare che, nel 2011, la “Filmauro” ha prodotto una pellicola di Neri Parenti dal titolo “Amici miei-Come tutto ebbe inizio”, di cui ignoravo l’esistenza. Mi sembra il caso di rispolverare “Nessuno è perfetto”, film del 1981 di Pasquale Festa Campanile, perché io in quell’anno una ‘cosa’ perfetta l’ho realizzata: la nascita di mia figlia Gloria. La quale Gloria il 6 maggio di quest’anno mi ha donato Giovanni, nato a Roma, che farà compagnia a Mario, mentre sette mesi fa l’altra figlia Madia (soggetto oltre la perfezione) metteva al mondo Virginia, la cui dolcezza, racchiusa in un sorriso disarmante e smagliante, è una tenerezza infinita che allieta e rallegra le mie giornate ‘solitarie’… senza la mia passione di una vita che, tolto il Bari, era…
Aurelio De Laurentiis era già un ‘mostro sacro’, nel settore di sua pertinenza, nel 2003 quando diventa presidente onorario a vita della Federazione Mondiale dei Produttori: nel 2004 salva il Napoli calcio, dopo un disastroso fallimento, e lo preleva in serie C e 19 anni dopo gli dona il terzo scudetto. Nell’articolo sopra citato dello scorso anno, in cui facevo gli auguri di buon compleanno al presidente Luigi De Laurentiis (5 marzo la data di nascita) mi ero servito di alcuni versi della lirica “La ginestra” di Giacomo Leopardi, perché il poeta di Recanati li scrisse in una villa situata sulla collina di Torre del Greco, centro che dista sette chilometri seguendo la via panoramica, da Torre Annunziata: luogo in cui tra il 1917 e 1919 videro la luce i fratelli Luigi e Agostino, detto Dino, De Laurentiis. Luigi a Roma diventerà padre di Aurelio nel 1949.
Molti amici mi hanno ricordato che Leopardi, per dirla alla Totò, portava ‘iella’, ma io nel proporre solo 10 versi dei 371 del capolavoro leopardiano mi ero ‘trattenuto’ uno di riserva coinvolgente, ma estremamente significativo “non per voler ma per fortuna avesti” che affido alla libera interpretazione del lettore, non senza proporvi la mia: il Bari ha avuto indubbia fortuna a ‘trovare’ Aurelio De Laurentiis, forse senza meritarla, tenuto conto che molti erano coloro in aperto dissenso; Aurelio e Luigi De Laurentiis hanno avuto fortuna nel trovare il Bari, forse senza meritarla, tenuto conto che la gente che sa tutto riferisce, in silenzio, che il sindaco Decaro nella notte precedente il passaggio ha sudato le proverbiali camicie, cambiandone sette, e andava chiedendo a tutti “Dove comincia la notte” (Maurizio Zaccaro) per arrivare alla meta: un funzionario fece notare che per celebrare il matrimonio mancava “Il testimone dello sposo” (Pupi Avati). Oggi entrambi dicono, al cospetto di cotanto tifo, grazie Bari e si scambiano, come avviene nelle famiglie in cui l’armonia regna sovrana, eterne “Dichiarazioni d’amore” (Pupi Avati).
In attesa che a fine anno Gianni Antonucci ci racconti questa piacevole, faticosa, ingrata, solo nell’ultimo atto, cavalcata in uno dei suoi libri di storia del Bari, lasciatemi ringraziare, in rappresentanza di tutta la squadra, un giocatore: il capitano Valerio Di Cesare.
Nasce a Roma nel 1983 e cresce nelle squadre giovanili della Lazio dove si fa subito notare per il temperamento grintoso, che decide di perfezionare accettando di andare al Chelsea, ambiente in cui l’aggressività viene premiata. Tralasciamo che vi fu una polemica con Massimo Cragnotti, figlio del celebre presidente Sergio, il quale aveva vinto l’anno prima un ‘rocambolesco’ scudetto con la Lazio. Ritorna in Italia giocando con l’Avellino, Catanzaro e Mantova, squadra in cui trova un estimatore nell’allenatore Di Carlo. Dopo due stagioni nel Vicenza, nel 2010 approda a Torino, dove l’annata successiva s’imbatte in Ventura allenatore e approdano in serie A. In serie A gioca 9 partite con il Torino e promette a se stesso di arrivare a dieci…
Dopo due anni a Brescia in B, nella stagione 2015-16 arriva a Bari sempre in B, dove totalizza 45 presenze, prima di passare al Parma. Nel 2018 accetta di tornare al Bari e partire dalla D. Ha sempre detto che si ritirerà solo quando avrà giocato la sua decima partita in serie A e per questo gli è stato rinnovato un anno di contratto.
Comanda come pochi la difesa, i suoi interventi ‘rischiosi’ hanno sempre una motivazione ineccepibile e, spesso, evitano un gol: magnifico il gol di testa realizzato con il Sudtirol nell’incontro d’andata di questo campionato; perdevamo 2-0 e sul calcio d’angolo realizzò uno splendido gol da attaccante puro dimezzando lo svantaggio, l’opera fu completata dal gol del pareggio di Calcedo. Forse, anzi certamente, con lui in campo Pavoletti non avrebbe toccato palla, ma questo non significa che Zuzek sia da mettere sui ‘carboni ardenti’. Altri, probabilmente, dovrebbero attraversarli a piedi nudi, affinché possano avvertire quanto bruci la ‘scottatura’ dei tifosi.
La felicità tutti calciatori la rincorrono per regalarla ai propri tifosi, i biancorossi non sono riusciti nell’impresa: prima con un terzo posto che profumava di A già a maggio, poi inchinandosi, ieri al calar della sera, al cospetto di quella squadra che fu campione d’Italia nella stagione 1969-70 con questa formazione base: Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Nicolai, Poli, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva.
Ieri sera vi erano atleti che piangevano di goia, mentre altri piangevano di ‘rabbia’ ritenendo amaro il destino riservato loro. Chi scrive ha pianto solo per lo sportivissimo e ‘sfortunatissimo’ pubblico barese, sperando che la generosa Sardegna non dimentichi che la loro serie A è frutto anche della nostra paura di ‘vincere’. Tito Livio: « Se hai paura, accresci l’audacia del tuo avversario».
In serata leggo un whatsapp di Papa con scritto “aspettati la stangata”. Con queste premesse ho assistito in televisione all’incontro della ‘paura’ di vincere: cento minuti in cui meriti e demeriti dipendono da un palo, dalla paura di prevalere, da quella imponderabile pazzia che si chiama calcio, che non sempre premia i ‘savi’ e, spesso, gli eroi per caso. L’antidodo esiste, ma non può essere ‘messo in campo’ nel momento del ‘dolore’, nell’istante in cui ogni riflessione assume le sembianze di una stupidaggine ‘irritante’. Non a caso il Napoli ha vinto uno scudetto, dopo averne sfiorati tanti, dominando dall’inizio alla fine… evitando ‘colpi di sole’. Detto ciò, anche se il sogno è svanito, è doveroso ringraziare gli attori che, per un pelo, non sono assurti alla… gloriA. Da Decaro a Aurelio e Luigi De Laurentiis, da Mignani a Vergassola, da Di Cesare a Antenucci, da Gheddira a Maiello, da Botta a Dorval, da Maita a Mazzotta, da Vicari a Ricci, da Folorunsho a Mallamo, da Puccino a Ceter, da Bellomo a Molina, da Frattali a Zuzek, da Caprile a Esposito, da Benedetti a Benali, da Scheidler a Morachioli, da Galano a Matino, da Sarri a Bosisio ed ancora da Picaro a F.S. Cosentino, da Maurantonio a Campofranco, da D’Urbano a Insalata, da Petruzzelli a Caputo, da Ippolito a Ungaro, da G. Cosentino a Schena, da Sorgente a Loiacono, da Bux a Lorusso: benedetti ragazzi sarete per sempre nei nostri cuori, per averci fatto sentire di essere, come direbbe Checco Zalone… ‘una squadra fortissimi’.
Forse proprio in questo frangente sarebbe il caso di ricordare quella serie D da cui siamo partiti il 31 luglio 2018 e i tre protagonisti ‘bandiera’ ideale: Antonio Decaro, Aurelio De Laurentiis e Valerio Di Cesare.
L’ingegnere civile sezione trasporti Decaro, laureato presso il Politecnico di Bari, ‘nasce’ alla politica attiva per merito del sindaco Michele Emiliano che, nel 2004, gli affida l’incarico di assessore al traffico e mobilità: uno dei pochi casi in cui l’esperienza professionale sposa il ruolo da ricoprire. All’epoca l’attuale sindaco era dipendente dell’ANAS e inizia la sua veloce e prestigiosa ascesa politica che lo porterà a diventare consigliere regionale della Puglia, collegio di Bari, nel 2010 e alle politiche del 2013 deputato della XVII legislatura con il Partito Democratico.
Nel giugno del 2014 diviene sindaco di Bari e si dimette da parlamentare.
Tra lo scetticismo di molti, a fine luglio 2018, il sindaco Antonio Decaro assegna il titolo sportivo della squadra biancorossa alla Filmauro di Aurelio De Laurentiis.
Per alcuni famosi uomini di pensiero «Lo scetticismo è l’umiltà dell’intelligenza», ma parlare di umiltà al cospetto del volto di Aurelio De Laurentiis è cosa non facile: ti accorgi subito che denota attitudine al comando e, in quelli che generalmente chiamiamo ‘affari’, è difficile ‘metterlo sotto’. Per lui potrebbe essere confacente una frase che viene attribuita a Golda Meir «Non essere umile. Non sei così grande!», che evito di propinargli perché, da fonti in mio possesso, forse assisteremo a qualcosa che farà di lui un personaggio unico nella storia di questo secolo. Le operazioni che hanno riguardato Lorenzo Insigne, Koulibaly e… Spalletti sono un nuovo modo di gestire le ‘bizze’ del mondo del pallone… che forse faranno ‘scuola’.
Con l’articolo apparso il 5 marzo 2022 mi ero permesso di citare i titoli di alcuni film prodotti dalla società fondata da Aurelio insieme al padre Luigi nel 1975: dal 2006 detta società è con il figlio Luigi, attuale presidente del Bari calcio. Chiaramente ho citato i titoli che ricordavo, che avevo visto e che ritenevo adattabili al senso di quello che stavo scrivendo. Tanti mi hanno scritto e telefonato suggerendomi pellicole che ho ignorato, ma la cosa bella è che il direttore Ferri ha ricevuto e continua a ricevere mail in cui mi ‘consigliano’ titoli e mi segnalano, per esempio, che esiste ‘Amici miei’ 1. Cari coniugi Enzo e Mada vi ringrazio della segnalazione, ma il film cui voi fate riferimento, pur essendo sempre una regia di Mario Monicelli, è datato 1975 e risulta una produzione Rizzoli Film, distribuito da Cineriz… io mi riferivo solo ai film di produzione “Filmauro”. Questa incursione mi permette di dar ragione alla signora Elena che mi ha fatto notare che, nel 2011, la “Filmauro” ha prodotto una pellicola di Neri Parenti dal titolo “Amici miei-Come tutto ebbe inizio”, di cui ignoravo l’esistenza. Mi sembra il caso di rispolverare “Nessuno è perfetto”, film del 1981 di Pasquale Festa Campanile, perché io in quell’anno una ‘cosa’ perfetta l’ho realizzata: la nascita di mia figlia Gloria. La quale Gloria il 6 maggio di quest’anno mi ha donato Giovanni, nato a Roma, che farà compagnia a Mario, mentre sette mesi fa l’altra figlia Madia (soggetto oltre la perfezione) metteva al mondo Virginia, la cui dolcezza, racchiusa in un sorriso disarmante e smagliante, è una tenerezza infinita che allieta e rallegra le mie giornate ‘solitarie’… senza la mia passione di una vita che, tolto il Bari, era…
Aurelio De Laurentiis era già un ‘mostro sacro’, nel settore di sua pertinenza, nel 2003 quando diventa presidente onorario a vita della Federazione Mondiale dei Produttori: nel 2004 salva il Napoli calcio, dopo un disastroso fallimento, e lo preleva in serie C e 19 anni dopo gli dona il terzo scudetto. Nell’articolo sopra citato dello scorso anno, in cui facevo gli auguri di buon compleanno al presidente Luigi De Laurentiis (5 marzo la data di nascita) mi ero servito di alcuni versi della lirica “La ginestra” di Giacomo Leopardi, perché il poeta di Recanati li scrisse in una villa situata sulla collina di Torre del Greco, centro che dista sette chilometri seguendo la via panoramica, da Torre Annunziata: luogo in cui tra il 1917 e 1919 videro la luce i fratelli Luigi e Agostino, detto Dino, De Laurentiis. Luigi a Roma diventerà padre di Aurelio nel 1949.
Molti amici mi hanno ricordato che Leopardi, per dirla alla Totò, portava ‘iella’, ma io nel proporre solo 10 versi dei 371 del capolavoro leopardiano mi ero ‘trattenuto’ uno di riserva coinvolgente, ma estremamente significativo “non per voler ma per fortuna avesti” che affido alla libera interpretazione del lettore, non senza proporvi la mia: il Bari ha avuto indubbia fortuna a ‘trovare’ Aurelio De Laurentiis, forse senza meritarla, tenuto conto che molti erano coloro in aperto dissenso; Aurelio e Luigi De Laurentiis hanno avuto fortuna nel trovare il Bari, forse senza meritarla, tenuto conto che la gente che sa tutto riferisce, in silenzio, che il sindaco Decaro nella notte precedente il passaggio ha sudato le proverbiali camicie, cambiandone sette, e andava chiedendo a tutti “Dove comincia la notte” (Maurizio Zaccaro) per arrivare alla meta: un funzionario fece notare che per celebrare il matrimonio mancava “Il testimone dello sposo” (Pupi Avati). Oggi entrambi dicono, al cospetto di cotanto tifo, grazie Bari e si scambiano, come avviene nelle famiglie in cui l’armonia regna sovrana, eterne “Dichiarazioni d’amore” (Pupi Avati).
In attesa che a fine anno Gianni Antonucci ci racconti questa piacevole, faticosa, ingrata, solo nell’ultimo atto, cavalcata in uno dei suoi libri di storia del Bari, lasciatemi ringraziare, in rappresentanza di tutta la squadra, un giocatore: il capitano Valerio Di Cesare.
Nasce a Roma nel 1983 e cresce nelle squadre giovanili della Lazio dove si fa subito notare per il temperamento grintoso, che decide di perfezionare accettando di andare al Chelsea, ambiente in cui l’aggressività viene premiata. Tralasciamo che vi fu una polemica con Massimo Cragnotti, figlio del celebre presidente Sergio, il quale aveva vinto l’anno prima un ‘rocambolesco’ scudetto con la Lazio. Ritorna in Italia giocando con l’Avellino, Catanzaro e Mantova, squadra in cui trova un estimatore nell’allenatore Di Carlo. Dopo due stagioni nel Vicenza, nel 2010 approda a Torino, dove l’annata successiva s’imbatte in Ventura allenatore e approdano in serie A. In serie A gioca 9 partite con il Torino e promette a se stesso di arrivare a dieci…
Dopo due anni a Brescia in B, nella stagione 2015-16 arriva a Bari sempre in B, dove totalizza 45 presenze, prima di passare al Parma. Nel 2018 accetta di tornare al Bari e partire dalla D. Ha sempre detto che si ritirerà solo quando avrà giocato la sua decima partita in serie A e per questo gli è stato rinnovato un anno di contratto.
Comanda come pochi la difesa, i suoi interventi ‘rischiosi’ hanno sempre una motivazione ineccepibile e, spesso, evitano un gol: magnifico il gol di testa realizzato con il Sudtirol nell’incontro d’andata di questo campionato; perdevamo 2-0 e sul calcio d’angolo realizzò uno splendido gol da attaccante puro dimezzando lo svantaggio, l’opera fu completata dal gol del pareggio di Calcedo. Forse, anzi certamente, con lui in campo Pavoletti non avrebbe toccato palla, ma questo non significa che Zuzek sia da mettere sui ‘carboni ardenti’. Altri, probabilmente, dovrebbero attraversarli a piedi nudi, affinché possano avvertire quanto bruci la ‘scottatura’ dei tifosi.
La felicità tutti calciatori la rincorrono per regalarla ai propri tifosi, i biancorossi non sono riusciti nell’impresa: prima con un terzo posto che profumava di A già a maggio, poi inchinandosi, ieri al calar della sera, al cospetto di quella squadra che fu campione d’Italia nella stagione 1969-70 con questa formazione base: Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Nicolai, Poli, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva.
Ieri sera vi erano atleti che piangevano di goia, mentre altri piangevano di ‘rabbia’ ritenendo amaro il destino riservato loro. Chi scrive ha pianto solo per lo sportivissimo e ‘sfortunatissimo’ pubblico barese, sperando che la generosa Sardegna non dimentichi che la loro serie A è frutto anche della nostra paura di ‘vincere’. Tito Livio: « Se hai paura, accresci l’audacia del tuo avversario».