'De foeminarum et rerum natura': un romanzo di Fortunato Dello Russo

LIVALCA - Non avrei mai supposto che Fortunato Dello Russo, laureato in lettere classiche e con un vissuto assoluto-incondizionato nel mondo della scuola, si interessasse, da mezzo secolo, di Ufologia (Ufo: Unidentified Flying Objects, letteralmente ‘oggetti volanti non identificati’).

Pensandoci bene, anzi avendolo conosciuto meglio in questi ultimi mesi, mi sono convinto che in sostanza all’uomo Fortunato si può perdonare tutto: anche se resta il dubbio se sia troppo ingenuo o, incredibilmente, astuto.

Recentemente ha pubblicato (sarebbe, eticamente corretto, dire ripubblicato, ma forse alla fine di questo scritto preciserò meglio) un romanzo dal titolo “De foeminarum et rerum natura-Sulla natura delle donne e delle cose” (SUSIL edizioni, 2023, pp. 312, € 24,90) che, nonostante abbia provato a collocare in un ‘filone’ di narrativa, ho avuto lo stesso impaccio che prova Marco De Grecis, il protagonista della storia narrata nel libro, ad… approcciarsi con le donne.

Il libro già con il riferimento al «De rerum natura» ti costringe a rivolgere il pensiero al poeta latino Tito Caro Lucrezio e, per rispetto dei docenti che ci hanno ‘spinto’ ad amare gli studi classici, per prima cosa dobbiamo provare a posizionarne la nascita in una circoscritta epoca storica e, quindi, individuarne la data. In ciò ci facilita il sapere che fosse amico di Cicerone, che tutti sappiamo essere nato ad Arpino, provincia di Frosinone, nel 106 a.C. da una famiglia agiata, la qual cosa non gli risparmiò di essere assassinato nel 43 a.C. a Formia, località in cui possedeva una villa.

Individuato il periodo ci viene in aiuto «La cronaca», Chronicon o Liber temporum, di San Girolamo il quale, nel 380 a Costantinopoli, traducendo in latino le tavole cronologiche degli avvenimenti realizzate da Eusebio di Cesarea così scrive in riferimento all’anno 96 a.C.: «Nasce il poeta Lucrezio T. che, condotto alla pazzia da un filtro amoroso, avendo scritto alcuni libri negli intervalli della follia, libri emendati da Cicerone, si uccise nel quarantaquattresimo anno di vita».

In verità i vecchi amici di Fortunato, quelli degli anni della passione politica e quelli che ho conosciuto anch’io per argomenti editoriali, ritengo la pensassero, nei riguardi del nostro, come Victor Hugo: «Il dolore è un frutto. Dio lo fa nascere solo su di un ramo ancora abbastanza forte per portarlo».

Non a caso ho citato Hugo: il romanziere, saggista, drammaturgo francese di Besançon ha sempre dichiarato che per scrivere il suo «I miserabili» ha impiegato oltre dodici anni… che gli hanno consentito di dividere l’opera in cinque parti. Amici lettori, pensate, il nostro professore, ex studente rivoluzionario se non disinvolto perlomeno adagiato sugli ‘allori’, dopo una sintetica presentazione (Fortunato possibile che nessun tuo Amico abbia voluto scriverti qualcosa oppure tu non hai ritenuto nessuno ‘degno’ di poter comprendere il tuo ‘capo-lavoro’?) ci racconta il suo piano dell’opera: «Questo volume, il primo di una saga di 12 volumi, pur facendo parte integrante di un unico disegno, si muove e si regge in modo autonomo e compiuto, non è un’autobiografia né un saggio storico; vero è che contiene episodi reali rivissuti successivamente dall’autore con il necessario distacco…». Il mio pensiero deferente, non ho detto sofferente, va alla professoressa Silvana Multari che, come afferma l’autore Dello Russo nei ringraziamenti finali, ha avuto l’ingrato compito, per ‘autentica carità cristiana’ (sono parole di Fortunato), di leggere tutti gli 11 volumi… ‘si può dare di più, senza essere eroi’.

Hugo per scrivere un romanzo ‘dignitoso’ si è servito di appena dodici anni, mentre il nostro Dello Russo ha preparato 12 volumi in meno di una mezza vita: va bene le lettere classiche, ma la matematica ‘terra terra’ invita ad una riflessione che non dovrebbe mai alterare i numeri: un romanzo 12 anni, 12 romanzi 144 anni. Non penso che Hugo, che nel suo ‘fortunato’ romanzo si è occupato dell’insurrezione parigina del 1832 e della sconfitta ‘patita’ nel 1815 da Napoleone Bonaparte a Waterloo ad opera della coalizione anglo-prussiana capitanata dal Duca di Wellington e von Blucher, si ‘offenderà’ se qualcuno, nato a Bari, ha ‘bruciato’ le tappe passando attraverso tante rivoluzioni che hanno confermato una pragmatica intuizione del giornalista-scrittore-editore Leo Longanesi (in pochi capiranno l’affinità, dell’illustre personalità nata a Bagnacavallo, Ravenna, nel 1905 e morta a Milano nel 1957, con Fortunato e Livalca, ma importante che ci arrivino loro… anche al ‘trotto’): «Cercava la rivoluzione e cercò l’agiatezza». Ho precisato gli anni di riferimento perché vi è una geniale frase del Lucrezio sopra citato (duemilacento anni fa vissuto) che recita facendo riferimento al termine ‘timore’: «Si pesta sotto i piedi con gioia quel che prima si è temuto». Temevo che Dello Russo, per essere alla mano, avesse dimenticato la provenienza classica ed invece ecco che, per giustificare la ‘messa in mare’ di uno scritto che, con la velocità con cui si pubblica oggi forse poteva essere considerato ‘eccessivo’, rispolvera un termine caro a Catullo: “phaselus” (barchetta leggera a forma di baccello di fagiolo). Lui partendo da questa ‘barchetta’ e navigando senza un piano di ‘bordo’, ma con meta ben definita nella sua mente di ragazzo del ’45, è approdato ad un ‘transatlanticus’… che la dice lunga su quanto, le frequentazioni dei classici, abbiano minato la sua non coerenza (a modo suo la possiede), ma capacità di valutare lo spirito di sopportazione di un eventuale lettore… che poi è la stessa cosa che sto facendo con questo scritto.

Il libro tratta accuratamente il percorso di vita di Marco De Grecis (il caso vuole che l’unico figlio del professore Fortunato Dello Russo si chiami Marco, cui l’autore… ‘fortunato’ dedica il libro) a partire da: scuola, casa, ambiente medio-borghese con pratica cattolica domenicale, amici d’infanzia (per cortesia finiamola con la descrizione della palla di pezze, avevamo già il ‘superflex’), cinema con il terzo incomodo, passioni politiche giovanili, amori con fisima del ‘seno turgido’ (chiaramente sono scorie di quella trigonometria che con seno, coseno e tangenti ha ‘frastornato’ il protagonista), la laurea, il servizio militare, il primo lavoro, la storia querula di “Anonimo veneziano” di E. M. Salerno e poi il coinvolgimento con le poesie Konstandinos Kavafis (poeta neogreco nato nel 1863 ad Alessandria d’Egitto e ivi morto nel 1933).

Dello Russo possiede, come età, solo un lustro in più di chi scrive e alcune affinità, specialmente per quanto riguarda il servizio militare ed il poeta Kavafis, che sono esperienze che possono aiutare a superare ‘incertezze’ che tutti abbiamo. Sono approdato nel 1976 al servizio militare dopo una ‘convalescenza malattia’ e tutti, a me pareva, volessero ‘annientarmi’. Per mia fortuna mi adatto ovunque e cerco, sempre con umiltà, di far capire che sono ‘sprecato’ in mansioni a me non consone. Finito in ‘maggiorità’ ho fatto del lavoro e della giustizia i miei cardini: il giorno dell’addio un semplice bersagliere è stato ‘salutato’ da ufficiali e truppa. Per esigenze mie sapevo a memoria la poesia “Itaca” di Kavafis e l’ho ricordata, sarebbe eresia affermare recitata, una sera a Civitavecchia in cui noi militari andammo ad assistere ad una breve ma intensa esibizione della “Nuova Compagnia di Canto Popolare”: «Quando inizierai il tuo viaggio verso Itaca,/ prega che la strada sia lunga,/ ricca di avventure, ricca di conoscenza/…….». Solo, carissimo Fortunato, in amicizia ti rivelo che vi è un errore di stampa (?) proprio nello scrivere correttamente Kavafis: in un libro non è il massimo. Probabilmente se ripensi al tuo lungo periodo in cui hai fatto l’insegnante, spesso, qualche studente ti avrà fatto notare: «Professore quel cognome è stato scritto in questo modo su quel libro, quindi non ho sbagliato io…» e tu, con tutta l’autorità del tuo ruolo avrai, comunque, dovuto ammettere che non sempre ‘carta canta è verità sacrosanta’.

Per fortuna con quella ‘classe’ che hanno tutte le persone nate a Bari, forse accentuata nel quartiere “Libertà”, tu stesso affermi che non ti sottrarrai alla veneranda tradizione che vede quasi tutti gli autori di romanzi essere fraintesi o non compresi, per cui tu stesso scrivi che: «L’autore ritiene, in ogni caso, che questo suo lavoro sia un’opera seria e che faccia anche, se non ridere o almeno sorridere i lettori, … perlomeno se stesso» (Fortunato non dimenticare che, in un prossimo futuro, il mercato editoriale dovrà tener conto dell’Ufologia, di cui tu sei… Maestro). Ultima considerazione, amici lettori, procuratevi il libro solo per la curiosità di leggere la dedica che Fortunato ha ‘studiato’ per il figlio: attesta che i 14 anni trascorsi dalla prima ‘edizione’ del libro non sono passati invano.

Mi permetto di consigliare Marco, il figlio di Fortunato, su una necessità che da sempre è la ragione di vita del mondo: se ti è possibile, fallo anche per te, rendi… nonno tuo padre. Io con tre nipoti, nonostante tutto, ho riassaporato la gioia di vivere e fa niente se qualcuno, per troppo affetto, mi ha fatto notare, che non ho saputo ‘vivere’… NON NO NON NO. A questo punto sono convinto che Fortunato, pensando al futuro nipote, possa scomodare Abraham Lincoln: «Io non so chi fu mio nonno, ma sono interessato a sapere chi sarà mio nipote».

Papa Francesco ha affermato: « Il nonno è padre due volte, la nonna è madre due volte»… insieme si vince e si vive lo diciamo NOI.

Ciò mi permette di ricordare Thomas More, italianizzato Tommaso Moro, umanista e politico cattolico inglese, che invocava: «Donatemi, o Signore, il senso del ridicolo e concedetemi la grazia di comprendere uno scherzo, affinché conosca nella vita un poco di gioia e possa farne partecipi, anche, altri».

Con affetto Fortunato ti auguro che il libro venga letto non solo da quelli della nostra generazione, ma anche da quelle successive perché da sempre nella vita chi ha piantato gli alberi, ritiene di aver procurato la desiderata ombra a chi viene dopo e… il ciclo continua.

PS: Ora dovrei dire che logica esigeva, anche per i molti o pochi lettori che si sono procurati il romanzo di Dello Russo nell’edizione del 2009, peraltro che ha visto la luce in una collana denominata “Bibliotechina di Tersite” (personaggio che preciso, senza pretesa di salire in cattedra, incontriamo nell’«Iliade» come campione di ‘sfrontatezza’ e ‘codardia’) che annovera illustri autori, che l’etica, che dovrebbe sempre contraddistinguere le nostre azioni, pretendeva: 1 edizione, Bari 2009, titolo, editore, ecc. ecc.; 2 edizione riveduta, migliorata ed ampliata, 2023 ecc. ecc. Ma non ti dirò niente: perché voi facenti parte di un determinato gruppo, per consuetudine che rivela complessi non ancora superati, siete abituati a cancellare il passato, anche quando è un passato recente, obliando che chi ‘dimentica il passato, è condannato a… ripeterlo’.

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