(Agenzia DIRE) ROMA - "In Grecia sono volontario di primo soccorso nella Croce Rossa dal 2003, e dal 2015 mi occupo di assistere i migranti appena sbarcati, ma il naufragio di mercoledì scorso forse è stato il peggiore, per l'enorme numero di persone a bordo di un peschereccio che era già in mare da giorni. Quando abbiamo raggiunto i sopravvissuti i spiaggia, abbiamo assistito solo uomini tra i 15 e i 50 anni: niente donne o bambini". Parla con l'agenzia Dire Dimitris Chaliotis, tra i primi volontari che a Kalamata ha accolto i 104 superstiti dell'imbarcazione affondata al largo di Pylos, in Grecia, nella notte tra il 13 e il 14 giugno. Eppure secondo i testimoni almeno un centinaio di minori e svariate donne dovevano essere nella stiva del peschereccio, che la Guardia costiera ellenica, supportata anche da navi della marina militare e aerei di ricognizione, ha cercato di trarre in salvo. Alla fine, sono stati recuperati 78 corpi senza vita ma a bordo, come suggeriscono le ricostruzioni delle organizzazioni umanitarie e dei media, dovevano essere circa 750 persone, tra cui siriani, afghani, palestinesi, egiziani e pachistani.
Da allora, si moltiplicano le accuse contro governo, guardia costiera e Frontex di ritardi nei soccorsi. Mentre le Nazioni Unite chiedono un'indagine indipendente, alle inchieste di stampa si aggiunge quella della Bbc, che cita dati riservati che smentirebbero la Guardia costiera: prima di affondare, il peschereccio sarebbe rimasto sette ore nello stesso punto, e non era affatto in movimento verso l'Italia, come affermato dalle autorità marittime elleniche, che hanno giustificato l'assenza di un'operazione di soccorso sostenendo che dalla barca l'avrebbero rifiutata. Oggi intanto davanti al giudice si sono dichiarati non colpevoli i nove egiziani arrestati con l'accusa di essere i trafficanti partiti da Tobrouk, in Libia.
I pochi sopravvissuti, racconta Chaliotis, "sono arrivati esausti e traumatizzati. Erano da giorni in mare, poi il naufragio. Molti di loro avevano ingerito acqua salata. Tutti chiedevano di familiari o amici". Delle loro storie il volontario non sa molto: "In quei momenti- continua Chaliotis- fai di tutto per non fargli ricordare cosa gli è successo e devi accertarti che stiano bene: all'inizio sembra di sì, ma spesso i malori sopraggiungono dopo".
Sulla spiaggia e poi nel campo di prima accoglienza di Kalamata, la Croce rossa ha distribuito acqua, cibo, vestiti e offerto visite mediche e sostegno psicologico. Chi già stava in piedi "chiedeva continuamente dei propri familiari: moltissime le famiglie distrutte, quasi tutti piangevano" dice il volontario, che conclude: "Ora i migranti sono stati trasferiti per proseguire con le procedure d'asilo, ma noi di Croce Rossa continuiamo a rispondere alle chiamate da tanti paesi europei, del Nord Africa o asiatici: sono parenti che chiedono informazioni dei loro cari. Il nostro lavoro è cercare di dare risposte". Ma con 500 dispersi in uno dei punti più profondi del Mediterraneo, le speranze di riottenere almeno i corpi sono sempre più scarse.
Da allora, si moltiplicano le accuse contro governo, guardia costiera e Frontex di ritardi nei soccorsi. Mentre le Nazioni Unite chiedono un'indagine indipendente, alle inchieste di stampa si aggiunge quella della Bbc, che cita dati riservati che smentirebbero la Guardia costiera: prima di affondare, il peschereccio sarebbe rimasto sette ore nello stesso punto, e non era affatto in movimento verso l'Italia, come affermato dalle autorità marittime elleniche, che hanno giustificato l'assenza di un'operazione di soccorso sostenendo che dalla barca l'avrebbero rifiutata. Oggi intanto davanti al giudice si sono dichiarati non colpevoli i nove egiziani arrestati con l'accusa di essere i trafficanti partiti da Tobrouk, in Libia.
I pochi sopravvissuti, racconta Chaliotis, "sono arrivati esausti e traumatizzati. Erano da giorni in mare, poi il naufragio. Molti di loro avevano ingerito acqua salata. Tutti chiedevano di familiari o amici". Delle loro storie il volontario non sa molto: "In quei momenti- continua Chaliotis- fai di tutto per non fargli ricordare cosa gli è successo e devi accertarti che stiano bene: all'inizio sembra di sì, ma spesso i malori sopraggiungono dopo".
Sulla spiaggia e poi nel campo di prima accoglienza di Kalamata, la Croce rossa ha distribuito acqua, cibo, vestiti e offerto visite mediche e sostegno psicologico. Chi già stava in piedi "chiedeva continuamente dei propri familiari: moltissime le famiglie distrutte, quasi tutti piangevano" dice il volontario, che conclude: "Ora i migranti sono stati trasferiti per proseguire con le procedure d'asilo, ma noi di Croce Rossa continuiamo a rispondere alle chiamate da tanti paesi europei, del Nord Africa o asiatici: sono parenti che chiedono informazioni dei loro cari. Il nostro lavoro è cercare di dare risposte". Ma con 500 dispersi in uno dei punti più profondi del Mediterraneo, le speranze di riottenere almeno i corpi sono sempre più scarse.