PISA - In Kenya a realizzare un sistema di diagnosi in vitro della malaria: è il viaggio di Florinda Coro, studentessa di
dottorato presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione all’Università di Pisa e in forze al Centro di
ricerca E. Piaggio della stessa università. Coro, partita a giugno, lavorerà circa due mesi e mezzo alla Kenyatta
University di Nairobi con un obiettivo preciso: rimediare alla mancanza di sistemi diagnostici per la malaria
efficaci, robusti, di facile e veloce impiego, ma soprattutto realizzabili sul posto e di facile manutenzione.
“Il problema è che nelle aree a basse risorse, come le zone rurali dei paesi dell’Africa Sub-sahariana, la maggior parte delle strumentazioni mediche arriva grazie alle donazioni. Ma alla fine meno di un terzo funziona davvero”, spiega. La ragione è semplice: le strumentazioni pensate per gli ospedali europei o statunitensi non trovano, negli ospedali di queste aree, le condizioni per funzionare.
“Quindi il mio primo compito sarà quello di capire precisamente perché: – prosegue Florinda Coro – le ragioni possono essere mancanza di corrente o sbalzi di tensione, difficoltà nel reperimento di acqua potabile, mancanza di personale specializzato...”. Questa fase si chiama “need assessment” e richiede di visitare di persona le strutture. “Abbiamo già un primo prototipo di sistema diagnostico: con questa analisi lo adatteremo con maggiore precisione al contesto in cui dovrà funzionare”.
Nella fattispecie, il sistema di diagnosi in vitro sviluppato a Pisa e affidato a Florinda Coro è composto da un dispositivo per fare lo striscio di sangue, un microscopio a basso costo e un algoritmo di intelligenza artificiale che permette la diagnosi in automatico. Tutti dispositivi open-source, quindi liberamente condivisi, in cui ogni componente, dal design al codice sorgente, può essere studiato, modificato, riprodotto. “Questo permetterà di usarlo anche in assenza di tecnici esperti”, incalza Coro.
Ma non si tratta solo di sperimentare uno strumento di diagnosi: il viaggio di Florinda, più in generale, sperimenterà un metodo di lavoro. L’ingegner Coro, infatti, lavorerà fianco a fianco coi colleghi africani per sperimentare, aggiustare, modificare e perfezionare un metodo di progettazione che sia “context-based. Cioè tagliato su misura”. In particolare, la referente numero uno alla Kenyatta University sarà la dottoressa June Madete, con cui il Centro E. Piaggio collabora da tempo. Madete, infatti, è una dei partner del progetto Ubora, progetto finanziato dalla comunità europea 2017-2019 con cui si è realizzata una piattaforma di progettazione collaborativa di dispositivi medici.
“La ricerca dell’ingegner Florinda Coro – chiosa il professor Carmelo De Maria, uno dei responsabili della piattaforma Ubora – si inserisce in un percorso più ampio di collaborazione internazionale sulle tecnologie sanitarie, che negli anni coinvolto anche le Nazioni Unite, cioè da quando si è capito che la salute della popolazione è l’asset più importante di un paese”. E anche per Coro non è la prima volta in Kenya: “nel 2017 ho partecipato a una summer school sempre alla Kenyatta University: una interessante design school che mi è stata di grande aiuto per il progetto che porto avanti oggi”.
“Il problema è che nelle aree a basse risorse, come le zone rurali dei paesi dell’Africa Sub-sahariana, la maggior parte delle strumentazioni mediche arriva grazie alle donazioni. Ma alla fine meno di un terzo funziona davvero”, spiega. La ragione è semplice: le strumentazioni pensate per gli ospedali europei o statunitensi non trovano, negli ospedali di queste aree, le condizioni per funzionare.
“Quindi il mio primo compito sarà quello di capire precisamente perché: – prosegue Florinda Coro – le ragioni possono essere mancanza di corrente o sbalzi di tensione, difficoltà nel reperimento di acqua potabile, mancanza di personale specializzato...”. Questa fase si chiama “need assessment” e richiede di visitare di persona le strutture. “Abbiamo già un primo prototipo di sistema diagnostico: con questa analisi lo adatteremo con maggiore precisione al contesto in cui dovrà funzionare”.
Nella fattispecie, il sistema di diagnosi in vitro sviluppato a Pisa e affidato a Florinda Coro è composto da un dispositivo per fare lo striscio di sangue, un microscopio a basso costo e un algoritmo di intelligenza artificiale che permette la diagnosi in automatico. Tutti dispositivi open-source, quindi liberamente condivisi, in cui ogni componente, dal design al codice sorgente, può essere studiato, modificato, riprodotto. “Questo permetterà di usarlo anche in assenza di tecnici esperti”, incalza Coro.
Ma non si tratta solo di sperimentare uno strumento di diagnosi: il viaggio di Florinda, più in generale, sperimenterà un metodo di lavoro. L’ingegner Coro, infatti, lavorerà fianco a fianco coi colleghi africani per sperimentare, aggiustare, modificare e perfezionare un metodo di progettazione che sia “context-based. Cioè tagliato su misura”. In particolare, la referente numero uno alla Kenyatta University sarà la dottoressa June Madete, con cui il Centro E. Piaggio collabora da tempo. Madete, infatti, è una dei partner del progetto Ubora, progetto finanziato dalla comunità europea 2017-2019 con cui si è realizzata una piattaforma di progettazione collaborativa di dispositivi medici.
“La ricerca dell’ingegner Florinda Coro – chiosa il professor Carmelo De Maria, uno dei responsabili della piattaforma Ubora – si inserisce in un percorso più ampio di collaborazione internazionale sulle tecnologie sanitarie, che negli anni coinvolto anche le Nazioni Unite, cioè da quando si è capito che la salute della popolazione è l’asset più importante di un paese”. E anche per Coro non è la prima volta in Kenya: “nel 2017 ho partecipato a una summer school sempre alla Kenyatta University: una interessante design school che mi è stata di grande aiuto per il progetto che porto avanti oggi”.