FRANCESCO GRECO - I media mainstream hanno ignorato la news, ma giorni fa il
centro storico della Capitale è stato bloccato da una
manifestazione di solidarietà verso i milionari in fuga dalla Rai
da parte di pensionati “sociali” a 500 euro al mese.
Cronache marziane o, se si preferisce, fake news. Eppure forse proprio questa avrebbero voluto leggere i vari Fazio, Litizzetto, Annunziata, Gramellini e altri.
Invece agli italiani della loro fuga sconsiderata non gliene può fregar di meno. Lo ha detto anche Fiorello nel suo programma quotidiano.
La nazione ha altre cose per la testa, ben più serie, non poteva andar dietro a chi non solo mangia da decenni pur senza avere meriti superiori ad altri, ma ha accumulato ingenti risorse per vivere di rendita e adesso vorrebbe anche modificare l’etimologia della professione giornalistica, visto che della deontologia hanno fatto, e non da oggi, carne di porco.
Scappando, i suddetti hanno fatto un incredibile autogol, hanno ammesso di essere di parte, al servizio di uno schieramento, talvolta di un leader. Non c’è niente di male, è negarlo che è poco etico, sa di doppia morale, che poi è il dna italico.
Se si ammette il paradigma della lottizzazione e si accetta che il Parlamento sia l’editore della Rai, quando la tua parte politica esce sconfitta dal voto, chi arriva cosa può fare se non mettere i suoi, ricopiandolo?
Esiliarsi quindi è grottesco. Come se si salisse in montagna dove fischia il vento a si alza la bufera. Tipicamente italiano.
I grandi del giornalismo hanno lavorato sotto tutti i regimi. Da Montanelli a Biagi e Bocca, per citarne solo alcuni. Oriana Fallaci ha sempre mantenuto la stessa postura professionale, sia quando intervistava Fellini vincitore dell’Oscar con “La dolce vita”, 1962 (per l’Europeo, esilarante) e sia che avesse davanti Gheddafi per il Corriere della Sera.
C’è uno scarto semantico abissale fra l’Oriana in Vietnam con l’elmetto sotto le bombe americane al napalm e questi borghesotti con il doppio mento e la pancetta che intervistano i loro compagnucci della parrocchietta a 1 milione di euro l’anno.
I giornalisti che stanno lasciando il servizio pubblico concepiscono il giornalismo come marchetta, indirettamente ammettono di essere dimezzati, asserviti, minori. Agitano strumentalmente valori con la “v” maiuscola.
Qualcuno ha suggerito loro di restare. E forse non ha tutti i torti. Se si usa la tv per fare la rivoluzione, perché lasciarla in toto al “nemico” senza accennare a un minimo di resistenza, almeno un po’ di ammuina borbonica per la platea?
Viene in mente la guardia giurata di Giorgio Faletti del Drive In anni ‘80: “Dove sono andati i ladri? Di qua? E io vado di là…”.
Cronache marziane o, se si preferisce, fake news. Eppure forse proprio questa avrebbero voluto leggere i vari Fazio, Litizzetto, Annunziata, Gramellini e altri.
Invece agli italiani della loro fuga sconsiderata non gliene può fregar di meno. Lo ha detto anche Fiorello nel suo programma quotidiano.
La nazione ha altre cose per la testa, ben più serie, non poteva andar dietro a chi non solo mangia da decenni pur senza avere meriti superiori ad altri, ma ha accumulato ingenti risorse per vivere di rendita e adesso vorrebbe anche modificare l’etimologia della professione giornalistica, visto che della deontologia hanno fatto, e non da oggi, carne di porco.
Scappando, i suddetti hanno fatto un incredibile autogol, hanno ammesso di essere di parte, al servizio di uno schieramento, talvolta di un leader. Non c’è niente di male, è negarlo che è poco etico, sa di doppia morale, che poi è il dna italico.
Se si ammette il paradigma della lottizzazione e si accetta che il Parlamento sia l’editore della Rai, quando la tua parte politica esce sconfitta dal voto, chi arriva cosa può fare se non mettere i suoi, ricopiandolo?
Esiliarsi quindi è grottesco. Come se si salisse in montagna dove fischia il vento a si alza la bufera. Tipicamente italiano.
I grandi del giornalismo hanno lavorato sotto tutti i regimi. Da Montanelli a Biagi e Bocca, per citarne solo alcuni. Oriana Fallaci ha sempre mantenuto la stessa postura professionale, sia quando intervistava Fellini vincitore dell’Oscar con “La dolce vita”, 1962 (per l’Europeo, esilarante) e sia che avesse davanti Gheddafi per il Corriere della Sera.
C’è uno scarto semantico abissale fra l’Oriana in Vietnam con l’elmetto sotto le bombe americane al napalm e questi borghesotti con il doppio mento e la pancetta che intervistano i loro compagnucci della parrocchietta a 1 milione di euro l’anno.
I giornalisti che stanno lasciando il servizio pubblico concepiscono il giornalismo come marchetta, indirettamente ammettono di essere dimezzati, asserviti, minori. Agitano strumentalmente valori con la “v” maiuscola.
Qualcuno ha suggerito loro di restare. E forse non ha tutti i torti. Se si usa la tv per fare la rivoluzione, perché lasciarla in toto al “nemico” senza accennare a un minimo di resistenza, almeno un po’ di ammuina borbonica per la platea?
Viene in mente la guardia giurata di Giorgio Faletti del Drive In anni ‘80: “Dove sono andati i ladri? Di qua? E io vado di là…”.