TARANTO - I carabinieri hanno tratto in arresto cinque persone a seguito di un’inchiesta sullo smaltimento illecito, nelle campagne tarantine, di rifiuti provenienti dalla produzione di divani nelle aree di Altamura, Gravina in Puglia (nel Barese) e Matera. L’inchiesta, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia e dalla Procura di Taranto ha visto la collaborazione del Gruppo Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica di Napoli e sella sezione di Polizia Giudiziaria di Taranto, con la collaborazione delle compagnie dell’Arma di Manduria, Castellaneta e Massafra (Taranto) nonché quella di Francavilla Fontana (Brindisi).
I provvedimenti cautelari riguardanti i cinque arresti domiciliari sono stati emessi, assieme ad altri 20 provvedimenti tra “reali e patrimoniali” al gip del Tribunale di Lecce su richiesta della Dda. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione per delinquere ed attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, gestione illecita di rifiuti speciali e discarica abusiva. Le indagini furono avviate nel 2019 dopo il ritrovamento nelle campagne tarantine di rifiuti pericolosi costituiti da ritagli e cascami di lavorazioni della pelle, che sarebbero stati di provenienza di alcune aziende produttrici attive nella Murgia barese e materana. Nel corso dell’inchiesta sarebbe emersa la figura di un indagato ritenuto “fautore del traffico illecito di rifiuti da almeno 30 anni (come da conversazione telefonica intercettata dalla Polizia Giudiziaria).
Si sarebbe presentato come titolare di un’azienda che avrebbe provveduto al recupero di rifiuti speciali con un costo di smaltimento pari a 0,15 euro al kg, inferiore, per gli inquirenti, a quello che sarebbe stato pagato in modo lecito, ovvero 0,40 euro al kg. Dopo aver ritirato i rifiuti stoccati all’interno dei piazzali delle aziende, si sarebbe fatto “pagare in contanti o anche tramite bonifico emettendo a loro carico, in questo caso, fatture con causali false di pulizia del verde o dei piazzali così da consentire alle aziende di contabilizzare, si ritiene illecitamente, un costo sostenuto di fatto di gran lunga inferiore rispetto a ciò che avrebbero pagato smaltendo lecitamente”.
Alla sua morte, il ruolo primario, sostengono gli investigatori, sarebbe stato assunto da un altro indagato il quale, sebbene incensurato, si ritiene essere colui che reclutava la manovalanza ed al quale i lavoratori si rivolgevano per essere pagati. Nel corso delle indagini sarebbero stati immortalati gli scambi di denaro tra i vari soggetti chiamati a effettuare i trasporti e i successivi sversamenti sui terreni. Si ritiene che siano circa 3mila le tonnellate di rifiuti smaltite tramite attività di abbruciamento, interramento e occultamento in aree agricole e capannoni industriali. L’illecito profitto ottenuto dagli indagati sarebbe di circa 550mila euro. Oltre agli arresti sono stati eseguiti sequestri in 5 capannoni industriali e in un’area agricola dove sarebbero stati smaltiti illecitamente i rifiuti. Requisiti anche 6 mezzi utilizzati per il trasporto del materiale. Disposto anche un sequestro, finalizzato alla confisca obbligatoria, di circa 100mila euro.
I provvedimenti cautelari riguardanti i cinque arresti domiciliari sono stati emessi, assieme ad altri 20 provvedimenti tra “reali e patrimoniali” al gip del Tribunale di Lecce su richiesta della Dda. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione per delinquere ed attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, gestione illecita di rifiuti speciali e discarica abusiva. Le indagini furono avviate nel 2019 dopo il ritrovamento nelle campagne tarantine di rifiuti pericolosi costituiti da ritagli e cascami di lavorazioni della pelle, che sarebbero stati di provenienza di alcune aziende produttrici attive nella Murgia barese e materana. Nel corso dell’inchiesta sarebbe emersa la figura di un indagato ritenuto “fautore del traffico illecito di rifiuti da almeno 30 anni (come da conversazione telefonica intercettata dalla Polizia Giudiziaria).
Si sarebbe presentato come titolare di un’azienda che avrebbe provveduto al recupero di rifiuti speciali con un costo di smaltimento pari a 0,15 euro al kg, inferiore, per gli inquirenti, a quello che sarebbe stato pagato in modo lecito, ovvero 0,40 euro al kg. Dopo aver ritirato i rifiuti stoccati all’interno dei piazzali delle aziende, si sarebbe fatto “pagare in contanti o anche tramite bonifico emettendo a loro carico, in questo caso, fatture con causali false di pulizia del verde o dei piazzali così da consentire alle aziende di contabilizzare, si ritiene illecitamente, un costo sostenuto di fatto di gran lunga inferiore rispetto a ciò che avrebbero pagato smaltendo lecitamente”.
Alla sua morte, il ruolo primario, sostengono gli investigatori, sarebbe stato assunto da un altro indagato il quale, sebbene incensurato, si ritiene essere colui che reclutava la manovalanza ed al quale i lavoratori si rivolgevano per essere pagati. Nel corso delle indagini sarebbero stati immortalati gli scambi di denaro tra i vari soggetti chiamati a effettuare i trasporti e i successivi sversamenti sui terreni. Si ritiene che siano circa 3mila le tonnellate di rifiuti smaltite tramite attività di abbruciamento, interramento e occultamento in aree agricole e capannoni industriali. L’illecito profitto ottenuto dagli indagati sarebbe di circa 550mila euro. Oltre agli arresti sono stati eseguiti sequestri in 5 capannoni industriali e in un’area agricola dove sarebbero stati smaltiti illecitamente i rifiuti. Requisiti anche 6 mezzi utilizzati per il trasporto del materiale. Disposto anche un sequestro, finalizzato alla confisca obbligatoria, di circa 100mila euro.